MILANO – Colpita da diversi anni da questa tragedia umana, fatta di storie strazianti, da viaggi della speranza verso un apparente mondo migliore mi sono sentita in dovere di approfondire i mie interogativi attraverso questa testimonianza fotografica. Queste immagini sono state realizzate due anni e mezzo fa.
All’epoca il centro di prima accoglienza di Lampedusa era completamente deserto, poichè su decisione del ministero degli Interni, tutti gli sbarchi erano stati dirottati altrove o le persone a bordo rispedite tempestivamente nei loro luoghi d’origine, spesso in violazione di tutti gli accordi della comunità europea. Insomma bisognava far capire che gli sbarchi di Lampedusa erano cessati. Quale triste follia, se pensiamo ai giorni nostri, che si ripete costantemente nella sua implacabile crudeltà e indifferenza mentre la tragedia passa inosservata sotto gli occhi di tutti.
La mia scelta fotografica si svolge sull’assenza completa di volti, ma si incammina sul sentiero delle tracce lasciate dal passaggio di uomini e donne, nel loro doloroso viaggio di salvezza e di speranza. Come il cimitero delle barche sulla collina assolata di Lampedusa. Una scenografia inquietante che vuole raccontare la terribile odissea che molti profughi hanno dovuto affrontare prima di raggiungere la terra ferma..
Segmenti di vita all’interno di un centro di prima accoglienza completamente vuoto, ma sulle cui mura sono rimasti indelebili i segni di un passaggio dove la sofferenza è diventata una costante percettibile nello spazio e nel tempo, quasi volesse urlarci: “Io qui c’ero”
Le immagini di Agnes Spaak
Clicca sulla foto per aprire la galleria fotografica
{gallery}lampedusa{/gallery}