“Furore”, l’odissea nella famiglia Joad

Nel 1940 usciva il film di John Ford con Henry Fonda tratto dal celebre romanzo di John Steinbeck

“Io sarò dovunque, dovunque ci sia un uomo. Dovunque ci sia un uomo che soffre e combatte per la vita, io sarò là. 

Dovunque ci sia un uomo che lavora per i suoi figli, io sarò là. Dovunque il genere umano si sforzi di elevarsi, 

coi ricchi e coi poveri, in questa comune aspirazione di continuo miglioramento, e dove una famiglia mangerà 

le frutta d’un nuovo frutteto, o andrà a occupare la casa nuova, là mi troverai”

(Monologo finale di Henry Fonda, dal film “Furore”)

“Un uomo può essere sconfitto ma non distrutto”

(Ernest Hemingway)

“Non so se ci siano uomini nati al di fuori della natura umana, o se alcuni uomini siano tanto umani da far sembrare irreali gli altri.

Forse un semidio vive di tanto in tanto sulla terra”

(John Steinbeck)

La Grande depressione

All’inizio del XX Secolo gli Stati Uniti erano già virtualmente la più grande potenza economica del mondo. Dopo il decisivo intervento nella Prima Guerra Mondiale con la sconfitta della Germania e dell’impero Austro-ungarico, iniziò il dominio effettivo del potere economico statunitense sul resto del mondo. Eppure cinquant’anni prima questo giovane Paese aveva dovuto affrontare una sanguinosa e devastante guerra civile che aveva causato enormi distruzioni e oltre un milione di morti.

Dopo la fine del primo conflitto mondiale, gli Stati Uniti, grazie alle enormi risorse del sottosuolo, al rapido sviluppo dell’agricoltura e alla speculazione finanziaria di Wall Street, erano diventati un Paese con enormi ricchezze. Nelle grandi città come New York e Chicago si costruivano enormi grattacieli simbolo del potere incontrastato dei magnati della finanza e del settore immobiliare. Per tutti gli anni ’20 descritti meravigliosamente da Francis Scott Fitzgerald, il grande Paese sembrava crescere ad una velocità irreale.  Dietro questo sviluppo incontrollato vi erano invece le contraddizioni di un Paese giovane con sacche di povertà e sottosviluppo, soprattutto negli stati del sud, dove ancora regnava incontrastata la segregazione razziale nei confronti dei neri.

Dopo anni di boom azionario giovedì 24 ottobre 1929 ci fu un vero e proprio improvviso crollo azionario a Wall Street. Il panico si diffuse rapidamente in tutti gli Stati Uniti e in Europa in pochissimi giorni. Le maggiori città di tutto il mondo furono duramente colpite, in special modo quelle che basavano la loro economia sull’industria pesante. Il settore edilizio subì un brusco arresto in molti paesi. Le aree agricole e rurali soffrirono considerevolmente in conseguenza di un crollo dei prezzi fra il 40 e il 60%. Le zone minerarie e forestali furono tra le più colpite a causa della forte diminuzione della domanda e delle ridotte alternative d’impiego occupazionale. In poche settimane fallirono banche, imprese e industrie. Nel 1930 la disoccupazione in Usa raggiunse la cifra record di 12 milioni di persone. Il Paese era sotto shock.

Contemporaneamente le grandi praterie nel mid-west furono colpite da una spaventosa siccità e da enormi tempeste di polvere. Anche l’agricoltura americana fu colpita a morte. Decine di migliaia di contadini americani si trovarono ridotti alla fame e senza raccolti. Per sfuggire a questa drammatica siccità molti braccianti cercarono la sopravvivenza emigrando in massa nella fertile California. 

Da questo enorme e disperato esodo, lo scrittore premio Nobel John Steinbeck scrisse nel 1939, “Furore”, il suo capolavoro letterario. Il libro raccontava con toni epici e realistici l’odissea di una famiglia di braccianti che dall’Oklahoma ridotto ad un cumulo di polveri trasmigrò su un camioncino attraverso il Texas, il New Mexico, l’Arizona e il Nevada per raggiungere gli aranceti della California del Sud in cerca di riscatto, dignità e sopravvivenza. L’anno successivo il celebre regista John Ford decise di girare un film da questo toccante pietra miliare della letteratura americana.

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“Furore”, l’istinto di sopravvivenza dell’uomo

Il regista famoso in tutto il mondo per i suoi western chiamò a scrivere la sceneggiatura lo stesso John Steinbeck e il suo fido Nunnaly Johnson. Il cineasta voleva una trasposizione fedele e descrittiva di quella drammatica fase della recente storia americana. Per questo importante sforzo artistico e produttivo John Ford si circondò dei suoi più fedeli collaboratori come il produttore Darryl Zanuck, lo straordinario direttore della fotografia Gregg Toland, l’autore del montaggio Robert Simpson, gli scenografi Richard Day e Mark Lee Kirk i compositori James Kerringer e Alfred Newman. Per il cast Ford non ebbe alcun dubbio: l’eroico protagonista non poteva che essere il leggendario Henry Fonda, affiancato da Jane Darwell, John Carradine e l’onnipresente Ward Bond.

Come narrato nel celebre romanzo di Steinbeck, il film di Ford è una vera e propria odissea nel deserto di una famiglia di poveri braccianti ridotti alla fame. Con gli ultimi soldi rimasti i Joad comprano un traballante camioncino e in preda alla disperazione e alla voglia innata di sopravvivere compiono un lungo e rischioso viaggio attraverso la “ruote 66”. La loro meta sono gli aranceti del sud della California che richiamano altre decine di migliaia di agricoltori senza più terreni e cibo.

Il film di John Ford, anticipando il Neorealismo italiano, descrive con straordinario realismo estetico le innumerevoli sofferenze che la famiglia Joad deve subire per arrivare all’eden californiano. Nel corso del viaggio, alcuni componenti della famiglia moriranno per stenti e malnutrizione. I sopravvissuti dovranno affrontare una serie di ostacoli e difficoltà che metteranno a dura prova l’integrità e la statura morale di questo nucleo familiare che rappresenta secondo le intenzioni di John Ford l’archetipo dei valori fondamentali della natura umana: la libertà, il rispetto e la dignità che deve essere garantita per ogni essere umano.

I volti e i personaggi che popolano questo capolavoro della settima arte emanano con forza i principi etici cari alla poetica fordiana, in particolar modo il concetto che la povertà anche se estrema non deve fare arretrare i diritti e i doveri di ogni individuo.

Il film si chiude con un momento estremamente commovente: il celebre e drammatico commiato fra Tom Joad (Henry Fonda) e  la madre che recita esattamente il testo del romanzo di John Steinbeck. Un finale di grande speranza, di profondo coraggio nonostante la separazione di questa famiglia che non si era mai arresa alle tante difficoltà per poter sopravvivere.

Il film di John Ford fu proiettato nel febbraio del 1940 ed ebbe un grande successo di pubblico negli Stati Uniti. In Europa arrivò solamente dopo la guerra e in Italia fu disponibile nel 1952. Alla cerimonia degli Oscar del 1941 il film ottenne due statuette, una per la miglior regia e l’altra per la miglior attrice non protagonista, la straordinaria Jane Darwell.

 

 

 

 

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