George Clooney ed Elisabetta Canalis. Sul matrimonio le star sono conformiste?

ROMA – Tra le mille voci che si susseguono in questo periodo sulla coppia Clooney/Canalis ce n’è una che vuole George aver lasciato Elisabetta perché  non voleva sposarla, oppure – il risultato è lo stesso  – che lei avrebbe lasciato lui per identico motivo. Prima della rottura la coppia avrebbe discusso più volte e  quando Ely ha capito che non sarebbe mai riuscita a farsi impalmare, avrebbe deciso di andarsene e trovare un uomo disposta a portarla all’altare in pompa magna.

Tempo fa la Canalis aveva dichiarato a “Chi” di volersi sposare, aggiungendo un sibillino “ma per adesso sono felice così”. Voci vicine a George Clooney raccontavano invece di un attore da tempo stanco della relazione,  col desiderio di uscirne.  Se davvero la prospettiva del matrimonio ha causato la rottura  del rapporto, in un clima di grande curiosità suscitata dalle nozze dei reali, c’è da chiedersi quanto anche fra i divi –  donne soprattutto –  la canonizzazione di un vincolo sia sentito come urgenza, prova di amore, normalizzazione e sicurezza. Alla faccia di chi li vuole più liberi e anticonformisti.

Si sa che George Clooney è stato sposato con Talia Balsam, da cui ha divorziato dopo quattro anni nel 1993. L’esperienza non deve essere stata positiva se lo ha spinto a dichiarazioni inequivocabili.  Se si risposasse, ha detto,  “sarebbe un pessimo marito. Non voglio mettermi, e non voglio mettere l’altra persona, attraverso la sofferenza nella condizione di scoprirlo”. Secondo il gossip dunque avremmo il solito maschio in fuga e la donna alle calcagna. Anche se questa ha una popolarità e una posizione sociale che, Clooney a parte, può fare invidia a molte ragazze.

Le motivazioni che portano al desiderio dell’ufficializzazione formale di una relazione sono di vario genere, e solitamente non sono uniche: motivazioni sentimentali, sessuali, che necessitano di approvazione sociale o religiosa, motivazioni economiche, patrimoniali o politiche che richiedono una legittimazione giuridica. Ma anche matrimonio come status symbol, consacrazione del proprio valore di donna, implicitamente la “femmina” si realizza solo e soprattutto come moglie e madre piuttosto che, come all’uomo accade, per le conquiste conseguenti al proprio lavoro.

Se  diamo un’occhiata ad alcune antiche tradizioni matrimoniali che ancora oggi sopravvivono nelle cerimonie vediamo che  le donne possono essere simbolicamente “date via”: tale è la tradizione secondo la quale il padre accompagna la sposa all’altare, dove l’attende lo sposo. Se la sposa è orfana, il ruolo del padre viene assunto dal maschio più anziano della sua famiglia. Oggi le spose ancora giurano di “obbedire” ai mariti, come alcuni sposi giurano di “prendersi cura” delle mogli.  In Russia vi era la tradizione che il padre della sposa donasse al genero una verga per autorizzarlo a picchiarla se non fosse stata obbediente. Nel nord dell’Albania, il giorno delle nozze il padre della sposa regala al genero una pallottola, da usare in caso d’infedeltà da parte della futura moglie.

Questa cultura è trasversale e può permeare tutti gli stati sociali: le veline, come ogni brava ragazza di provincia e non, hanno come obiettivo di sposare un buon partito,  per diventare importanti agli occhi del mondo, per essere completate, esistere in una parola. Un bisogno di sicurezza che ha radici lontane perché è un bisogno istintivo. Dai tempi di Cenerentola e ancor prima, è così.  Anche se tra George ed Elisabetta le cose non fossero andate proprio in questo modo,  il fatto che il gossip la racconti così  la dice lunga.

Una donna che sfugga al cliché del matrimonio è destinata a esser definita di “spiccato lato maschile”. A tal proposito basti citare la scrittrice Aurore Dupin (1804 – 1876), meglio conosciuta con lo pseudonimo maschile di George Sand. Sposata al barone Casimir Daudevant, che non aveva i suoi interessi, ebbe un primo amante e mise in crisi il suo matrimonio. In seguito lasciò il marito, si stabilì a Parigi per intraprendere la carriera di scrittrice –  non indicata alle donne tanto da obbligarla a firmarsi da uomo –  insieme ad un altro nuovo compagno, un giornalista più giovane di lei.

Che una donna dissimulasse con un nome maschile la propria identità di autrice letteraria era un escamotage utilizzato per superare la diffidenza che il pubblico medio provava nei confronti di una signora, pregiudizialmente ritenuta  artista di qualità inferiore. George Sand amava vestirsi da uomo perché, oltre a essere più economico, come ella stessa confessa nelle sue Memorie, era anche un modo per poter frequentare luoghi interdetti alle donne. Non si trattava di un fenomeno di travestitismo sessuale,  ne era una  dichiarazione di lesbismo:  solo la maniera di manifestare la propria volontà di indipendenza da ogni pregiudizio e il rifiuto del conformismo in nome della libertà dello spirito, anche a costo di provocare scandalo. Il matrimonio non c’entra nulla con l’amore, tanto che George Sand è ricordata per le relazioni sentimentali avute con lo scrittore Alfred de Musset e con il musicista Fryderyk Chopin: passioni vere e profonde che hanno ispirato il cinema.

Ciò detto, queste sono figure solitarie,  donne eccezionali che confermano la regola. E’ vero che la nostra società è cambiata e con essa anche i ruoli femminili, ma alcuni capisaldi restano e sono conformi a quelli delle epoche passate. Anche tra le star.

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