ROMA – Aveva un talento raro, prezioso, purissimo. Impossibile da descrivere e da definirsi a parole. Stop.
Aveva una voce grande, dal timbro opulento: colori caldi e compatti, carichi di luce. Durante i primi anni aveva anche un fisico aggraziato ed un seno notevole. Nel tempo è dimagrita di tre taglie ed ha iniziato a coprirsi di tatuaggi. La voce, per fortuna, non ne ha risentito. Stop.
Secondo alcuni era affetta dal male oscuro, secondo altri è stata una pulsione autodistruttiva. Un fatto è che fino a sabato scorso è stata in vita, regalandoci perle assolute; un fatto è che da alcuni giorni non è più in vita. Il resto è contorno. Stop.
Secondo alcuni, la tumultuosa relazione con l’ex marito – non citiamo il nome non perché sia così famoso ma per evitare servizi di pubblica inutilità – è stata causa del suo breakdown depressivo. Nulla di più falso. Se è vero che dietro ogni uomo c’è stata una grande donna, è altresì vero che dietro ogni grande donna c’è stato un uomo da poco. Nulla di che approfondire. Stop.
Ovviamente – e come era inevitabile – è iniziato il refrain della maledizione dei ventisette anni e dei grandi del rock che ne sono stati colpiti. Permetteteci di scendere dal tram, per favore. Se c’è qualcosa in comune tra Janis Joplin e Amy, come tra Jim Morrison e Brian Jones, tra Kurt Cobain (forse) e Jimi Hendrix, è che sono stati semplicemente grandi, non che siano morti a quell’età (il grande Tim Buckley morì che ne aveva ventotto, allora?). Che resti e splenda ciò che di grande hanno fatto e ci hanno regalato in vita, non la mitopoiesi funesta del loro commiato terreno. Stop.
Per tornare al punto di cui sopra, e sempre a proposito di grandi: Wolfgang Amadè(!) Mozart a ventisette anni conobbe Lorenzo Da Ponte, il librettista con cui scrisse alcuni fra i suoi maggiori capolavori operistici. Gustav Mahler, a ventisette anni, raggiunse l’apice della fama come direttore d’orchestra ed iniziò a scrivere la sua prima, monumentale sinfonia, “Il Titano”. Igor Stravinskij, a ventisette anni, era sul punto di lasciare la sua amata Russia per Parigi, dove scrisse alcune fra le pagine musicali più vibranti dell’intero novecento: “L’uccello di fuoco”, “Petrushka”, “La sagra della primavera”. Siamo seri, per favore. Stop.
Per tornare a Amy, se volete scorgere, tra le righe, qualcosa in più del suo grande talento, di quel che di speciale la elevava dalla mediocrità generale, guardate il video “Tears dry on their own”, con grande attenzione. Stringe il cuore a vederlo ora, ma lì c’è un pò tutto di lei. Stop.
Il suo ultimo concerto, a Belgrado, a detta di molti è stato il peggiore di sempre in terra serba. Fischi e critiche a non finire, con tanto di tour annullato. A guardarlo adesso, viene da pensare che Amy non potesse regalarci miglior commiato di questo, ma del senno di poi son piene le fosse. Seppure in piedi a fatica, sorretta dal corista, le parole di “Back to black” e “Just friends” cantate “a raglio”, tutto in lei era perfetto, geniale, sublime. Tanto da sembrar quasi preparato per il gran finale tragico. Se qualcuno non riesce a capire che è molto meglio ascoltare Amy Winehouse ubriaca o strafatta piuttosto che Lady Gaga e Madonna sobrie e perfettamente in tono, poco ha capito della musica, dell’arte, meno ancora della vita. E non dovrebbe uscire di casa per andare a concerti; magari guardare la televisione italiana col satellite, da quelle parti molto seguita. Magari guardare X-Factor con Ventura e Maionchi: lì troverà sicuramente qualche ex cassiera di supermercato o qualche sciampista capace di scopiazzare (male) Amy, ricevendo così ampia soddisfazione. Lo spettacolo di Amy a Belgrado può permetterselo solo chi è grande e solo a chi è grande riesce. I mediocri, al massimo, prendono qualche mediocre stecca e poi si scusano. Stop.
Come al solito, in casi del genere, i commenti più avveduti sono quelli degli ignoti, dei molti che l’hanno amata e continueranno a faro. Poche righe, a commento dei suoi video postati su Youtube e affini. Parole dolci e garbate, atti d’amore della misura di un verso. E una sigla, a chiudere. R.I.P., Rest in peace. Sono queste le parole cui vogliamo unirci. Che tu possa trovare la pace, cara Amy, l’unica cosa che questo mondo non ti ha riservato, l’unica che forse cercavi. Ciao cara, e grazie.