ROMA – Dopo una lunga pausa (sono passati esattamente 5 anni dall’album ‘Stadium Arcadium’) sono tornati i Red Hot Chili Peppers con il nuovo lavoro ‘I’m with you’, uscito il 30 agosto e preceduto dal singolo ‘The Adventures of Rain Dance Maggie’ e da un pre-show che lo ha lanciato in 900 sale in tutto il mondo.
L’album si compone di 14 pezzi e dura circa un’ora rimanendo fedele allo stile caratteristico che da sempre contraddistingue i RHCP, pur con delle variazioni dovute essenzialmente ai recenti cambiamenti avvenuti all’interno della band californiana. Orfani infatti ancora una volta di John Frusciante, che per la seconda volta “è uscito dal gruppo”, citando anche un libro e un film omonimi (il primo abbandono risale al 1992), i RHCP hanno acquisito un nuovo chitarrista, Josh Klingerhoffer, amico dello stesso Frusciante, che aveva già collaborato con la band nei concerti dell’ultimo tour. Se la natura di Frusciante lo portava quasi spontaneamente ad avvicinarsi a sonorità prettamente ‘hendrixiane’, e quindi a una propensione verso assoli tanto esplosivi quanto imprevedibili, lo stile di Klingerhoffer appare più composto e in un certo senso più equilibrato e al ‘servizio’ della band e dei brani, senza necessità di inerpicarsi in territori e in architetture sonore inesplorate.
Dopo quasi trent’anni di attività tra alti e bassi, la band è riuscita a sopravvivere a vari tentativi di autodistruzione. D’altra parte come ogni rock band che si rispetti, i RHCP sono passati attraverso le classiche tappe, dove oltre al rock, il sesso, la droga e l’alcol a fiumi hanno avuto un loro ruolo fondamentale, complicando notevolmente il rapporto della band con il successo, rischiando più volte lo scioglimento e trovandosi ad affrontare anche situazioni drammatiche: nel 1988 il chitarrista Hillel Slovak muore infatti per overdose e verrà sostituito dal diciassettenne Frusciante, fan di Slovak.
Oggi i RHCP alla soglia dei cinquanta appaiono ancora in forma, ma lontani da tutti quegli eccessi che negli anni hanno sicuramente fruttato in fatto di notorietà, tra cui l’abitudine di esibirsi perlopiù nudi o vestiti di un solo calzino sul pube, motivo anche dell’assegnazione del nomignolo di “socks on cocks”. Di recente in un’intervista, Anthony Kiedis, fondatore e voce dei RHCP, parlando dei vecchi tempi ha affermato: “Se fosse ancora tutto come allora, se facessi ancora la vita degli anni Ottanta mi sentirei e sarei un vero idiota”, così come ha rivelato di essere un mattiniero e di preferire ai bagordi notturni, la possibilità di alzarsi presto la mattina, fare surf e accompagnare il figlioletto a scuola!…. insomma verrebbe proprio da dire, citando una “vecchia” gloria del rock come Bob Dylan, “the times they’re changing”.
I tempi e le abitudini sono infatti cambiate, ma ciò che resta è comunque una grande energia, sul piano musicale, i RHCP sono sostanzialmente rimasti fedeli a se stessi e alla loro storia, soprattutto a quelle sonorità che li avevano portati al top con ‘Californication’. Risultano ancora decisamente “piccanti” e ci regalano un altro assaggio del loro variegato funk rock, ripassato da abrasioni punk, con svolte pop, venato di hip hop, ma dal sapore decisamente originale e multiforme. Anthony Kiedes nonostante la recente scelta di una vita più serena e ‘normale’, conferma sempre la sua presenza scenica coinvolgente e quel suo modo unico di cantare rappando. Il disco risulta ricco di contaminazioni e di spunti, forse non ha la stessa originalità ed unicità di ‘Californication’ ma rimane tuttavia un buon lavoro. Inoltre la produzione è stata affidata a Rick Rubin vero e proprio santone del rock americano.
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