Michael Jackson, Billie Jean non è il mio amore – racconto undicesimo

Mister Jackson, ne è arrivata un’altra… – disse il cameriere perplesso, mostrandogli il vassoio sul quale era depositata una lettera rosa.

Michael, in quella Hayvenhurst demolita e ricostruita in stile Tudor, persino nei garage dove era custodita la Roll Rooyce nera che aveva scelto insieme a Tatum O’Neal, smise di giocare con il pappagalo ed esclamò:
Un’altra?! Adesso ho davvero paura…
Afferrò la busta, sedette e l’aprì. Conteneva due foto: una della scrivente, una ragazza nera dall’aria persa,  l’altra di una pistola. Michael iniziò a scorrere le parole ansioso:

Amore mio ti allego uno scatto di quando andavo al liceo, non puoi avermi dimenticata. Non puoi aver dimenticato la nostra storia d’amore, né che i miei gemelli siano tuoi. Possiedo una pistola, una pistola vera come puoi constatare, una Luger P08 che appartiene a mio fratello, che è uno sportivo. L’ultimo giorno di questo mese, a mezzanotte,  la userò per uccidere i nostri figli e per suicidarmi, a te non resterà che ammazzarti a tua volta.

Fuck!  –  commentò il pappagallo per abitudine e presentimento, Michael continuò a leggere:

“Riconosci  la tua paternità, se non vuoi che succeda. Sei sempre stato l’unico  e lo sarai per la vita.
Tua per sempre
Billie Jean Jackson

Michael prese la sua fotografia e la sistemò su uno scaffale perché voleva tenere a mente quel volto, pensava che se l’avesse incontrata  poteva diventare davvero pericolosa.  Gli avevano detto che si era arrampicata sui muri della sua villa e, arrivata alla piscina, vi si era distesa in costume da bagno. Il guardiano, accorso in preda allo spavento,  l’aveva buttata fuori. Si trattava di una stalker che lui, ovviamente, non aveva mai corteggiato. Una groupie certamente no, forse la conquista imprudente di un fratello? The Jacksons conoscevano spesso ragazze che, manipolando la realtà,  attribuivano loro dei figli. Comunque quelli di Billie Jean non erano suoi. La sensazione di essere un piatto di spaghetti pronto per il pasto dei fan si acuì terribilmente e invidiò le persone qualunque: a lui piaceva essere Dio, ma solo sul palcoscenico. Raggiunse la sala di registrazione nella quale, insieme a Quincy, lavorava al nuovo  LP.

Quincy – Michael entrò trafelato – ancora quella pazza!
Ma dai!
Dice che il tal giorno, alla tale ora ammazzerà lei e i suoi gemelli e che è meglio che mi suicidi…
Quincy Jones prese il telefono:
–   Chiamiamo subito la polizia…
Già fatto… forse non dobbiamo andare in  tournée…
Non fartela sotto! – protestò l’altro alzando le braccia al cielo
Quella mi ha portato in tribunale! I giornali sono pieni di stronzate… non posso mettere piede ad Hayvenhurst che schiere di ragazze mi saltano addosso…  un inferno!
–    Quando hai l’udienza?
E’ imminente…   – Jacko quasi singhiozzava.

Il giorno del processo infatti Michael Jackson era stravolto. L’ immagine che aveva dato di se al mondo, per la gioia di sua madre, era stata quella di un giovanotto pudico e asessuato, anche troppo a detta di qualcuno. Immagine che non si era cucita addosso ma gli era venuta naturale perché in fatto di sesso era riservatissimo, talmente chiuso e nevrotico che uno psicanalista, più che il suo cuore, avrebbe fatto prima ad aprire una cassaforte.  Per colpa di Billie Jean ora quell’armatura rischiava di saltare. Jacko distrutto, pensava che la sua faccia  era quella che il mondo gli attribuiva: spada di Damocle pendente su chiunque appartenga allo show businnes, la cui legge è che “l’abito fa il monaco”.  Il processo durò un mese e  a lui sembrò un anno. Ma, quando non ci sperava più,   a due passi dal verdetto,  accadde un miracolo: la ragazza ritrattò le accuse. Al colmo della gioia Michael Jackson organizzò una conferenza stampa nella quale dichiarò:
Perdono Billie Jean perché è stata spinta dall’ amore per me…
Ed era vero, tanto si sentiva sollevato.

***

Scampato il pericolo Michael giubilò ma si rese anche conto che non poteva dimenticare l’episodio. La  paura dei fan centuplicò e ora andava in giro solo se scortato da un numero copioso di guardie del corpo. Le poche volte in cui si travestiva per svignarsela, provava l’ebbrezza che dà il lusso della libertà. In quel periodo con Quincy Jones  stava lavorando a un disco-fiaba dove si raccontava la storia dell’extraterrestre protagonista del film di Steven Spielberg: E.T.  Per ispirarsi, un sabato sera, decise di rischiare e di andare a vedere una pellicola di fantascienza. Si travestì con un impermeabile, un paio di occhiali scuri, raccolse i capelli sotto il basco e fece venire un taxi  a due isolati.   Al cinema si sentì felice come un galeotto a cui è riuscita l’evasione e infischiandosene della dieta, prima di sparire in sala, comprò pure un secchio di pop corn.  Sedette al buio perdendosi estatico nella visione. Adorava i film che avevano un risvolto infantile perché toccavano profondamente il suo cuore spontaneo. Il tempo passava, cominciava a sentirsi al sicuro e stava bene, la stessa espressione divertita di  Thriller.  Ma qualcuno, all’improvviso,  lo riportò alla realtà scrollandolo per la spalla:
Michael, mi fai un autografo?
Lei si sbaglia… – sussurrò preso dal panico.
Ti ho riconosciuto dai…
Lei si sbaglia.
Lo maledisse,  si alzò subito e fuggì come inseguito da zombies.

Il giorno dopo, in sala di registrazione,  Michael Jackson raccontava a Quincy Jones e a Steven Spielberg la sua avventura:
Me la sono vista brutta,  per fortuna è  finita lì… comunque –  si rivolse a Steven Spielberg  – ho bisogno di vedere E.T. … di toccarlo, di capire come è fatto  per ispirarmi… assolutamente…
Il regista acconsentì:
Ma certo! Ti capisco… ti accompagno io a vedere il pupazzo di Rambaldi, ti piacerà … è fantastico!
Così raggiunsero insieme gli studios cinematografici. Jacko era eccitato come un bambino. Quando il re del pop fu davanti ad E.T. pensò che sembrava nato dall’accoppiamento tra un’iguana e un canguro:

–   Da vicino  è irresistibile!   Mi piacerebbe averne uno …  lo metterei tra i miei animali… i bambini e gli animali sono le creature più belle…
La fragilità del cantante  si palesava anche nella predilezione per gli esseri indifesi, perché non  li doveva temere, mai gli avrebbero usato violenza, con loro entrava in sintonia. Tornato a casa, soddisfatto dell’esperienza,  finì di scrivere “Qualcuno nel buio”  per la colonna sonora del film di  Spielberg .

Michael Jackson – Someone in the dark

***

Quando si seppe che Billie Jean, una povera ragazza sofferente di disturbi mentali, era stata rinchiusa in una casa di cura Michael, come sempre al lavoro in sala di registrazione, tirò un sospiro di sollievo e canticchiò  a Quincy Jones in inglese, sulle note del ritornello che conosciamo, parole che in italiano potrebbero essere infilate così:
Billie Jean non è il mio amore
Lei dice che io sono l’unico
Ma quel  figlio non è mio
Io sono l’unico
Ma quel figlio non è mio…
Schioccò le dita, girò su se stesso e guardò il produttore:
Qiù io la scrivo…
Non usare quel nome… Billie Jean è una tennista famosa, la gente si confonde…
Mi piace Billie Jean … non credo proprio che la gente si confonda…
Per me sbagli… a parte il fatto che alla vera Billie Jean daresti quello che voleva: stare al centro dell’attenzione…
I pazzi l’ottengono sempre!

Nei giorni seguenti lavorarono solo alla composizione del motivo. Il re del pop sentiva  ciò  in cui si identificava e Billie Jean parlava della sua vita, non solo per via della stalker, anche per i dissapori con suo padre: Joe non se ne era andato di casa quando avevano scoperto la figlia illegittima? La musica convinceva Michael Jackson  che amava il basso e  le sequenze ripetute dell’introduzione, non così pensava  invece Quincy, che finì per arrabbiarsi:
Che palle Michael! Prima del ritornello c’è tutto il tempo di farsi la barba…
Ma è la parte migliore… Qiù mi viene voglia di ballare –   e Jackò strusciò i piedi all’indietro,  un passo che stava studiando.
Che palle ho detto!
Ma malgrado l’assoluta contrarietà di Quincy Jones il brano si intitolò Billie Jean e i tempi  fu solo Jacko a determinarli.  La canzone fece parte dell’album “Thriller”. Il videoclip, affidato alla regia di Steve Barron era garbato come la camicia rosa di Michael e non lasciava trapelare, se non in parte, la storia vera. La CBS lo inviò come sempre a  MTV perché lo trasmettesse ma, tali erano i pregiudizi, caso non strano,  una segretaria della casa discografica un giorno ricevette una telefonata dall’emittente televisiva che, preoccupatissima,  corse a riferire al presidente Walter Yetnikoff :
Mister Yetnikoff! MTV dice che non possono mandare in onda filmati con artisti neri… è spiacente ma ci restituisce il video…
Walter Yetnikoff, un bianco,  fece allora un salto sulla sedia.
Razzisti! Chiamali subito!
Quando MTV fu in linea il presidente della CBS urlò nelle orecchie dell’incaricato:
Stammi bene a sentire, se non mandi in onda il video di Michael Jackson, io ritiro tutti gli altri! Poi farò una conferenza stampa per dire che MTV rifiuta la divulgazione di un artista di colore!
Così MTV dovette accondiscendere e fortunatamente trasmettere “Billie Jean”: da quel momento gli artisti di colore ebbero spazio.

***

Nel 1983, per il venticinquesimo anniversario di attività della Motown, la prima casa discografica di Michael, venne realizzato lo show televisivo “Motown 25: yesterday, today and forever”. Susanne de Passe,  braccio destro di Berry Gordy e Presidente della Motown Production, volle riunire per l’avvenimento tutte le star che ne avevano fatto parte. Compito non facile perché molti cantanti avevano troncato i rapporti con acrimonia.  Ciò che solleticò l’interesse dei Jackson fu il potersi ritrovare tra fratelli: Jermaine, il maggiore, rimasto con la prima casa discografica, a parte qualche invito a rare apparizioni televisive, non si era più esibito con la famiglia dal 1975.   Dopo una riunione con gli altri, Jacko decise di accettare ponendo però una condizione al vecchio Gordy:
Berry, devi lasciarmi cantare Billie Jean.
Che cavolo c’entra…  è un disco della CBS! – si inalberò Gordy
Voglio presentare un passo di danza…. il moonwalk, l’ho imparato dalla breakdance…
Ma  che c’entra con noi?
Per me è fondamentale… ci lavoro da tempo… se non ti va bene non vengo.
Il presidente della Motown tentò di opporsi ma alla fine dovette accondiscendere. La Motown ebbe così l’onore di ospitare per prima la “passeggiata sulla luna”: il moonwalk, quel ballo che Michael Jackson aveva affinato e fatto suo ispirandosi alla strada,  sorta di scivolata all’indietro che misteriosamente lo portava avanti.  A ogni esibizione risuonavano grida di stupore ed entusiasmo, stupore ed entusiasmo che paiono immortali.

Michael Jackson – Billie Jean – il primo moonwalk

(continua)

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