2. Disegnare il cielo

Gli adulti vedono il cielo ben lontano dalla terra. Credono però che vi sia una linea netta che li separi. Che il cielo si respiri e che la terra si viva. il Piccolo Principe è in mare, si tiene a un pezzo di legno e invece di guardare la costa oramai raggiunta volge lo sguardo indietro e pensa al cielo. 

– Perché se due persone si toccano dovrebbero essere lontane? Perché se il cielo tocca la terra questi dovrebbero essere lontani? Forse è solo un errore dei grandi, di quelli che vivono in città, che non vedono l’abbraccio dell’orizzonte perché sommersi dallo smog o perché ovunque si girino vedono grandi palazzi.

Nel villaggio del Piccolo Principe sono gli alberi a mediare l’incontro del cielo chiaro e della terra rossa, ma di notte avviene qualcosa di magico, il mondo diventa un tutt’uno, un cielo immenso, un quadro dove i bambini possono cercare i disegni che vogliono guidati dal canto delle proprie mamme. Fa caldo in Mali la notte, e allora la sirena prendeva in braccio il suo piccolo e lo portava fuori a vedere la luna: il faro. “Basta una luce per vedere cose e questa luce può anche essere solo immaginata, basta chiudere gli occhi amore mio, e io sono da te”, questo gli diceva ogni sera e questo gli ha detto la mamma al Piccolo Principe prima che lui iniziasse il suo viaggio. Bastava chiudere gli occhi e si vedeva meglio. Bastava chiudere gli occhi ed era come alzarli al cielo di notte e rivedere i racconti della propria madre tra le nuvole, nella diffusione di calore che la luna fa. “Le cose vanno male quando c’è differenza tra ciò che si vede in cielo e ciò che si vede a terra. Io le cose le vedo prima in cielo e poi a terra, dentro di me. Le immagino”. Il Piccolo principe è in mare, è la sua ultima notte in mare, la prima solo fuori dal barcone. “Eravamo tanti, ma io guardavo il cielo e vedevo mia madre e mio padre: la stella”. Nella tradizione la stella è l’amore per tutta la vita. E l’amore dei genitori è la stella più grande. Il Piccolo Principe è cresciuto imparando ad orientarsi guardando il cielo. Per lui il sorgere del sole, il tramonto, la sua altezza, come la forma della luna, dei suoi sorrisi e la distanza tra le stelle, mappa il mondo, scandisce il tempo. “Mi facevo forza grazie a mio nonno che ora si trova a un palmo di mano ben aperto dalla stella dei miei genitori. Basta puntare i piedi a terra, ma devono essere ben saldi perché è sufficiente un tremolio e non lo trovi più. Poi si guarda di fronte la stella e si stende la mano, prendendo la mira, chiudendo con forza l’ occhio più debole. Il pollice deve toccare il punto di partenza e staccando ogni dita l’una dall’altra, il mignolo va a scovare i ricordi che mi legano a mio nonno. Tutte le volte che mi ha rialzato quando sono caduto a terra. Tutte le volte che ha nascosto le mie marachelle”. Fa freddo in acqua, fa sempre più freddo quando si ha voglia di sentire qualcuno, di sentirlo forte. Faceva freddo sul barcone quando accanto a sé c’erano altre persone che strette come un mazzo di fiori volevano avere vicine quell’erba che le ha viste crescere. Fa freddo quest’ultima notte perché vedendo indietro ci si accorge che di fronte si ha un mondo nuovo, sconosciuto.

“Riuscirò a vedere il cielo? Riuscirò a sentire il cielo?”. Quasi non vuole mettere piede sulla terra. La notte è buia, ma basta chiudere gli occhi, anche stanotte, per vedere meglio, e allora le nuvole diventano violacee e il mare ha una schiuma argentea che schizza e fa muovere i pensieri. Le nuvole si muovono legate alle onde del mare e il vuoto che circonda il Piccolo Principe è riempito dal rumore del vento. Allora si inizia a sentire: sono le voci dei bambini che corrono sul prato, che si sfidano a far volare i loro aquiloni, acquistati al mercato di Timbuctu. Fanno alzare al cielo il loro gioco e srotolano il loro filo, lo regalano al vento in cambio di una danza colorata tutta da ammirare. 

Il Piccolo Principe non aveva un aquilone da battaglia, ma aveva di più. “L’aquilone è un regalo che un uomo venuto da lontano, all’inizio del mondo, ha fatto a tutti i bambini”, gli hanno spiegato il papà e il nonno. Insieme ogni anno nel mese di maggio il papà tornava con le cannucce raccolte vicino al fiume e il Piccolo Principe capiva che stava per arrivare il giorno più bello dell’anno. Correva dal nonno lo tirava per la maglia e lui andava a prendere la carta buona, quella con cui incartava le uova da regalare agli zii. Il papà pensava alla struttura romboidale e il nonno a rivestirla di carta e ad attaccare le frange. “Più lunghe sono più cielo coloriamo!”, diceva con gli occhi di un bambino ogni anno, anche prima di morire, il nonno. Poi il Piccolo Principe lo colorava, lo faceva suo e lo teneva per mano: “Devi tenerlo per mano, devi tenerlo stretto. Come faccio io con te”, gli insegnava il papà. “Per farlo volare alto devi dargli il filo, un filo sottile, quasi invisibile, che lo rende libero. Lui sa volare e fa volare anche noi, ma devi tenerlo stretto. Non possederlo. Devi averne cura. Devi amarlo. Devi seguirlo e recuperarlo se cade a terra. E’ il vento che incontreremo e il cielo che abiteremo. E’ un gioco, ma è anche un’arte, Non vince chi ha l’aquilone più bello, né chi lo fa volare di più. Ma chi vi gioca con amore. Con onestà. Chi gioca insieme agli altri. Un giorno capirai che l’aquilone è un  modo di vedere il mondo. Nel cielo potrai sempre vedere quello che ti piace, ma ti occorrerà la fantasia e la voglia di scoprire. Le cose vanno male quando c’è differenza tra ciò che si vede in cielo e ciò che si vede a terra, figlio mio”. Così il Piccolo Principe si fece forza, lasciò quel pezzo di legno, e nel pieno della notte girò la testa verso la riva e, pensando a Mario, al ragazzo che lo aveva visto da lontano, trovò la forza per riprendere a nuotare. Per andare a conoscere lui e il suo mondo. Per raggiungere la costa, salutare la luna e andare a giocare insieme.

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