5. Piccolo Principe blu e Piccolo giallo

Il Piccolo Principe nero, accompagnato al campo, è stato sistemato su una branda grigia in un tendone marrone. Si sente più solo di quando camminava nel deserto con gli occhi coperti dalla sua sciarpetta rosa per non farsi accecare dal vento.

E’ con duecento persone, ma tutte come lui sembrano essere state vittime di un sortilegio occidentale: sono stanche, non parlano e hanno la testa bassa, come se avessero commesso un reato. E’ già tardi per conoscere gli altri bambini, loro sono stretti dalle loro mamme o sono stati trasferiti altrove, allora Amadou Re si ripiega su se stesso, stringe la sua sciarpetta e chiude gli occhi. Quando il medico lo visita gli domanda se ha la scabbia, ma lui non lo sa. Il dottore, vestito con un  camice bianco, indossa una cuffietta e una mascherina celeste e ha in mano una lente di ingrandimento per scrutare con attenzione la pelle del piccolo. Lo osserva scrupolosamente e lui domanda: “E’ perché sono nero? Ma io in realtà sono blu!”. Il medico segna sul referto che il bambino è in condizioni idonee per vivere in comunità e gli chiede a sua volta: “Come? Sei blu?”. Il Piccolo Principe, che prima era tutto sul lato opposto, si volta e tende la mano verso il volto del medico, che si ritrae spaventato. “Volevo solo vedere di che colore sei. Fatti vedere, sono un bambino”, gli chiede Amadou. Il medico si alza in piedi: “Non si può, questo è il protocollo, ora fa’ il bravo, piccolo blu!”. Dalla tenda si vede uno spiffero di luce, come se qualcuno sbirciasse dall’esterno, poi si sente un fischio. Il Piccolo Principe finge di dormire, ma ha capito che c’è qualcuno. “Ehi! Ehi! Vieni qui…”. Finalmente una voce amica, viva, che subito però viene fatta tacere da un signore anziano: “Sto male! Non strillare! Via, questo non è posto per giocare!”. Era la voce di un bambino, di uno sveglio, e si rivolgeva a lui, al Piccolo Principe: quest’occasione non può lasciarsela scappare. Doveva superare tre letti a castello e passare nella fessura. Piano piano si sposta sul lato sinistro della branda, poi, come quando sfuggiva al riposino pomeridiano per andare al fiume coi cugini, abbraccia il cuscino, lo fa scorrere lentamente sotto la coperta sporca che aveva trovato sulla branda, lo scavalca e scivola a terra, senza far rumore, lasciando un sacco pieno di lana e di acari a fare la presenza. Come un serpente privo di veleno, ma vittima del pregiudizio, si muove sotto i riposi degli adulti, incontrando mozziconi di sigarette, un topolino e scarpe maleodoranti, fino alla tenda. Alza gli occhi alla luce e intravede l’amico, Mario, dall’altra parte del mondo. Trattiene il sorriso e subito gela quello dell’amico, facendogli segno di fare silenzio. Gli serve un aiuto, il telo è fissato a terra, staccarlo farebbe filtrare troppo sole e chi ha creato quell’ambiente non lo sopporterebbe. Una manina nera riesce ad attraversare una fessura a un metro da terra e si protende verso il vuoto, Mario la vede blu e gli porge la sua. E’ salito su una cassetta per afferrarla e allora si stringono forte fino ad essere una presa. Il Piccolo Principe si lancia in un salto di danza, Mario lo tira, spingendosi indietro, fino a cadere, insieme, fuori dal tendone. “Ora corri!”, grida Mario. “Dove?”, risponde il Piccolo Principe. “Via con me”. Così i due escono dal cancello, mano per la mano, mentre i grandi, chiusi nei loro confini, continuano a giocare alla guerra, a scrivere nomi, cognomi e colori di pelle. “Dobbiamo nasconderci!” afferma Mario, che aggiunge: “Sarà divertente!”. 

In ogni parte del mondo esiste il nascondino, ognuno ha regole diverse, ma il segreto per non essere trovati sta nel colore. “Dobbiamo trovare qualcosa di grande che non contrasti coi nostri colori, non siamo dei camaleonti”, spiega il Piccolo Principe. “Ma ti ho sentito dire che sei blu. Allora io posso essere giallo?”, chiede Mario. Il Piccolo Principe è rinato: “Certo, ognuno è del colore che gli piace e lo è per tutta la vita quando è da solo. Me lo ha detto mia madre, lei colorava i tessuti, conosce tutto dei colori”. L’amico è incuriosito: “Perché quando è solo? Se sta insieme ad altre persone cambia colore?”. “Dipende”, risponde il Piccolo Principe, “Se si sta fermi sulle sedie, come quando si guarda la televisione, allora no, non si cambia colore. Ma se ci si mescola, come mia madre mescolava i colori, allora sì, si cambia colore, per un po’ di tempo”.  Amadou e Mario giocano per la strada nera d’asfalto a guardare il colore interno dei passanti, dall’arancione del fruttivendolo che ha esposto per prime le casse di mandarini, al color melanzana di una signora anziana che, pallida e con i capelli argentei, sfoggia lo smalto viola sulle sue lunghe unghie. Attorno al campo profughi c’è un arcobaleno rovesciato, colori evaporati, frammentati, cristallizzati nella loro bassa tonalità tra il cemento abusivo, la frenesia e la precarietà della modernità. Nel grigiore il giallo e il blu sono troppo evidenti. “Andiamo su un albero!”, è l’idea del Piccolo Principe. “Il giallo e il blu fanno il verde. Tra le foglie sembreremo un frutto tu e un uccello io”. 

Restano a giocare sul loro albero dell’amicizia fino a sera. Il Piccolo Principe è molto felice ma scorge un po’ di preoccupazione nel volto di Mario: “Vuoi andare a casa? Posso venire con te”. Mario non vorrebbe lasciarlo ma pensa non sia facile portarlo con sé: “Tu sei scappato, sei diverso. Ho paura che non possa venire. Le persone blu, qui, mettono paura. Pensa che mio padre ha paura anche degli uomini neri”. I due si mettono a ridere, Mario salta giù e il Piccolo Principe lo segue, si prendono per mano e iniziano a camminare. Si sono accorti di non essere più soli, di aver cambiato colore, e se i genitori di Mario faranno storie, giocheranno a mescolarsi anche con loro. Come il giorno che si è fatto sera mentre il sole fa l’inchino a una bella luna rosa. 

(Dedicato allo splendido “Piccolo blu e piccolo giallo” di Leo Lionni, censurato dal sindaco di Venezia) 

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