7. Nascosto in treno come la sua ombra

Sembra più leggero, Amadou, ma invece è appesantito. Non guarda a terra e non sa che direzione prendere. Senza un progetto e con tanta amarezza, è una foglia che sta per arrivare in basso, ma è piccolino e prova a volare.

“Scusi signore sa dove sta la stazione dei treni?”, domanda a un uomo con gli auricolari collegati, che non risponde e tira dritto, poi lo ripete a una signora che discute al telefono: “Sto parlando, e che diamine! Un poco di educazione”. Mentre attraversa l’incrocio prova a fermare delle macchine, ma i clacsono lo sommergono, allora si rivolge a una vigilessa: “Per favore mi aiuti, dove sta la stazione?”, la vigilessa fischia forte, poi abbassa lo sguardo verso il bambino e  con un cenno con la testa fa capire ad Amadou qual è la strada. Sembra solo, il Piccolo Principe, ma non lo è, ha la sua ombra. “Bella mia, sei la mia valigia anche in questo piccolo viaggio”, si piega a terra e la tocca, vicino ai propri piedi, come ad accarezzarla, a ringraziarla di non lasciarlo lungo il cammino. A lei la mamma lo ha affidato, con lei ha percorso il deserto e lei, ha aspettato ogni mattina lontano dalla sua casa, appena messo piede per la strada.”Forza, ce la faremo”, dice il bambino tra se e la sua ombra, quando macchine gialle in fila segnano il traguardo.

Gli si avvicina un tassista: “Dove sono i tuoi genitori?”, “Lontano, molto lontano”, risponde Amadou. Il tassista in cerca di clienti continua: “Dove devi andare?”, “Lontano, molto lontano. Puoi accompagnarmi?”. “Dipende. Quanti soldi hai?”. Amadou fissa la sua ombra e le chiede: “Bella, quanti soldi hai?”, “Ma cosa fai, sei matto ragazzino?” borbotta il tassista. “No, lei è l’unica amica che mi è rimasta, solo lei mi può prestare del denaro”. “Vattene! Vattene dai tuoi genitori”, queste le parole dell’uomo prima di risalire nella sua vettura, sbattendo lo sportello. Amadou non ci fa più caso, entra nella stazione e pian piano che aumentano le luci, l’amica ombra va a nascondendosi: “Nasconditi bene, che se ti vedono se la prendono anche con te”. I corridoi sono lunghi e stretti, le pareti ricoperte di marmo amplificano il vociferare delle persone e ogni due, tre minuti si sente un rumore simile a quello di uno squillo interrotto sul nascere, dopo di che girano le lettere e i numeri del cartellone indicante gli aggiornamenti coi treni in partenza e in arrivo. Si sente il fischio che benedice chi va e il dlin dlon con la comunicazione di turno, ben scandita da una voce umana sporcata di metallico. Sono diversi i binari e ad ognuno Amadou controlla se c’è del fuoco. Scambia le pietre con il carbone e immagina un treno che entra ed esce dai camini, che accende gli incendi quando arriva e li spegne quando parte. Al binario 5 vede due signori ricoperti dai cartoni, all’angoletto. Uno ha i brividi di freddo e l’altro sembra aver perso il respiro. La gente gli passa affianco, alcuni addirittura sopra. Nessuno gli presta uno sguardo. Il Piccolo Principe si toglie la sciarpetta e chiede all’uomo tremante se la vuole. “No. Non la voglio. E che ci faccio? Lo vedi come sto?”. Amadou non fiata, ma si avvicina all’altra persona, quella più in difficoltà. E’ bianca in volto, le tocca la mano, è molto fredda, le accosta le labbra sulla guancia e sussurra: “Ora la bua sparisce, starai meglio”. Di colpo il signore apre gli occhi, accenna un sorriso: “Ho freddo!”. Amadou prende la sua sciarpetta e la mette in torno al collo del signore. Questi lo ringrazia: “Parti! Vattene via da qui. Qui non c’è futuro. Nessuno ti guarda. Nessuno ti vuole.” “E perché?”, risponde il piccolo principe. “Perché se sei grande devi pensare a te stesso e se sei piccolo sei di qualcuno che ti ha parcheggiato altrove.” Il bambino ora deve partire, ha guardato bene dove va la gente e solo un binario è stracolmo, con tante teste che non si incontrano, è quello per la capitale. Amadou entra nel primo vagone e si siede al primo posto libero. Gli sembra un trono dove sprofondare in un lungo sonno, con la speranza di aprire gli occhi e ritrovarsi in un paradiso pieno di piante giganti, fiori colorati e animali dolci e buffi con cui giocare. Ma partito il treno e iniziato il sogno, un’anziana signora lo sveglia: “Ce l’hai il biglietto?”, “No, quale biglietto?”, la signora si mette a ridere e poi indicando il controllore avvisa il ragazzo: “Se quello ti vede senza biglietto ferma il treno e ti fa scendere!”, “Ma come? E dove? Sui carboni ardenti?”. Amadou inizia allora una lunga passeggiata, in senso opposto a quello del controllore, fino alla carrozza 5, dove vede una donna vestita nello stesso modo di chi lo avrebbe potuto sbattere fuori, è in trappola, quando un ragazzo lo afferra per la maglia e lo tira dentro al bagno, mettendogli la mano sulla bocca: “Non parlare se non se ne sono andati”. E da fuori si sentono i due controllori che si salutano: “Quanti ne hai beccati oggi?”, “Pochi. I soliti stranieri. Alla prossima li facciamo scendere”. Il ragazzo toglie la mano dalla bocca del piccolo principe e si presenta: “Piccole’, io lo faccio per mestiere, sono un pendolare, se mi mettessi a pagare pure il treno… Mi chiamo Nico e te che fai qua, ti sei perso?”, “No, ho la mia ombra, ora si è nascosta, la rivedo quando scendo, nella capitale”. Il ragazzo apre la porta del bagno: “Se, se, ho capito va, vieni con me che è ancora lungo il viaggio”. Si muovono verso il vagone 7, il ragazzo entra in uno scompartimento dove conosce tutti, poi tira giù dal mobiletto alto una valigia molto grande, vuota, gli amici si lanciano un’occhiata per sincerarsi che tutti siano d’accordo e poi lui fa l’occhietto ad Amadou e tira giù la zip della valigia: “Entra qua dentro e fatti un pisolino”. Amadou non dice nulla, entra nella valigia, si accovaccia come può e chiude gli occhi,  mentre viene accatastato con gli altri bagagli. Quando si stringono forti gli occhi per un attimo si prova quel che è stato quando eravamo nella pancia di nostra madre. Così Amadou, affamato, stanco, trasforma i commenti dei suoi compagni di viaggio, tutti esperti nel non pagare il biglietto, in ninne nanne a più voci e si stringe forti le mani, come se stesse tenendo il cordone ombelicale, che la distanza ha ricostruito. Non deve stare sveglio per proteggersi dalle onde, non rischia la vita, e allora dorme, come solo un bambino può fare. Dorme in un treno carico di sconosciuti che non vogliono conoscersi, dorme in una valigia che non ha proprietari, sopra la testa di viaggiatori irregolari, che viaggiano per lavorare, non per cambiare mondo. Velocemente il treno arriva in città,    come i bambini da queste parti entrano nei panni dei loro genitori, ma i viaggiatori di questo treno e gli adulti bambini, hanno solo da perdere a non essere se stessi. Una volta alla stazione, il controllore col treno vuoto trova la valigia e quando cerca di metterla giù, sveglia Amadou che si lamenta: “Ahia! Ma cosa sta succedendo! Fatemi sognare!”. “Mio Dio!”, urla il controllore, chiamando in soccorso la collega, che si affretta ad aprire la valigia. “Buongiorno”, dice il piccolo principe”, “Buongiorno”, risponde la collega. “Tu non sei la mia mamma, ma sembri buona!”. “Benvenuto a Roma. Ora stai tranquillo che ti accompagnamo dalla polizia e ti aiuteremo”. Quando gli occhi di Amadou sembrano trovare fiducia, il controllore uomo gli dà uno schiaffo: “Questo è perché mi hai spaventato! Per me sei un irregolare, un clandestino che non ha nemmeno pagato il biglietto”. La signora che ha già chiamato la Polfer, interviene: “Me ne occupo io, vergognati!”. Gli dà la mano e lo accompagna all’uscita dove c’è un poliziotto che lo aspetta. Lo accarezza sulla testa e gli dice: “Ciao piccolino!”. Amadou si fa forza e appena mette la testa fuori dal treno vede spuntare la sua ombra. 

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