Quando ero un ragazzino cantavo Terra promessa:-Siamo i ragazzi di oggi, pensiamo sempre all’America. Guardiamo lontano, troppo lontano…
Poi la prima guerra in Iraq e ho capito dalla tv che l’America non faceva per me. Mio padre che tornava esausto dalla giornata in cantiere e mia madre che si divideva tra il lavoro ad ore e i suoi quattro figli. Ho sentito subito la responsabilità dei miei studi. Loro avevano deciso di investire su di me. Volevano che io saltassi l’asticella. Che rompessi il muro di classe che ci divideva dai più benestanti. Sono cresciuto in un quartiere popolare con la convinzione altrui che sarei dovuto scappare via, che c’era di meglio. A me però piaceva l’affetto della mia famiglia, la simpatia della gente e non sopportavo le ingiustizie. Loro si negavano le proprie virtù, io invece le comprendevo nel profondo e avevo dispiacere nel vederli infelici. Non mi piacevano gli spendaccioni, non mi piacevano le macchine grandi e non sopportavo chi veniva a scuola con i capi firmati.
La laurea in Lettere, volevo fare il professore e la bolla scoppiata.
-Papà, mamma, sono un poveraccio anch’io.
Nel frattempo la sezione.
Ci sono arrivato perché mi hanno cercato. Io occupavo il Liceo e loro lì ad introdursi nelle assemblee. Ci spiegavano le finanziarie e noi a ringraziarli, pur se quel che ci dicevano lo sapevamo già. Loro siglavano le nostre proteste, noi davamo carne alle loro manifestazioni. Uno scambio reciproco che poco a poco si fece sempre più intenso, fino a far coincidere i corpi.
A vent’anni la prima tessera, allora eravamo Ds e subito la gavetta tra i giovani. Ero attratto dal movimento No Global, la testa era al partito, il cuore era con loro.
Alcuni nascono estremisti e muoiono conservatori, io fin da subito mi sono perso in un labirinto. Le mie energie imprigionate in qualcosa di indecifrabile.
Ho dato per scontato che il mio fare politica fosse dovuto al mio essere di sinistra.
I concorsi e niente, gli stage non retribuiti e niente, i contratti a progetto e niente, gli affitti in nero e niente, il lavoro nel sociale e niente.
Non avevo risposte.
L’unica speranza era quella di andare al governo, allora nel privato facevo a botte con la vita, nel pubblico accettavo quel che dicevano i rappresentanti nazionali. Pensavo che fosse normale non spendersi sui problemi di quelli come me, che tutto sommato loro sapessero quel che stavano facendo, solo che parlavano politichese, non li capivo.
Venti anni di berlusconismo mi hanno tagliato ogni speranza. La pensione a 67 anni, il blocco delle assunzioni per il pubblico e centinaia di miliardi di debito che si aggiungono a centinaia di miliardi di debito lasciatemi in eredità dalla Dc.
-Papà, mamma, ora sono poverissimo, più povero di voi.
Come può non avermi fatto male quel che mi aveva detto Tonino?
Entro al bar, appena apro la porta lo vedo. E’ al solito tavolino. Lui alza lo sguardo. Incrocia il mio. Ho le cuffiette dell’mp3, avevo inserito le colonne sonore dei film di Sergio Leone. Le ascolto e mi muovo come se fossi all’interno di un film western.
Al bancone:
-Una birra, veloce!
E poi a Tonino:
-Ehi tu, sei pronto?
Dura poco la storia, Tonino mi risponde:
-A galletto ricorda che sei na pecorella. Viè qua che famo i conti.
Prendo il bicchiere e mi siedo con lui.
-Allora ragazzì, che me dici de sta gioventù bruciata?
-Tonino, era facile prendersela con i propri genitori, riempire le piazze e poi però beneficiare di tutto quello che quel tempo ti dava! Beh, tutto quello che ti sei goduto, dai servizi pubblici alle scorribande con gli amici, doveva essere mio.
-Guarda che i babypensionati, le tangenti, i raccomandati è roba der partito tuo. Perché lo sai che nel Pd ce sta gran parte della Dc. Io so comunista. Pé me quelli sò dei nemici. Sete voi giovani che l’avete voluti. E mò sò cazzi vostra.
-Smettila con queste stupidaggini. La distanza tra base e dirigenza la dobbiamo a quelli come te. Avete difeso la burocrazia del partito fino alla morte. Avete contestato le modalità di discussioni assembleari dopo averci giocato da ragazzini ed ora contestate i socialnetwork. Sei come Napolitano.
-No lui era l’ala destra del Pc. Tu sei come Enrico Letta. Er contrario de James Dean, coll’occhiali e senza capelli.
-Tonì ti sbagli, vedi, tu sei come Napolitano perché nostalgico della vecchia politica. Dc, Pc non significano niente se non danno risposte adatte ai tempi. Io non sono come Enrico perché non ho amici potenti e perché sono di sinistra. Ma la sinistra che serve oggi non è quella di ieri, la devi cercare, costruire, sperimentare.
-Ma come? Lettino è giovine. E’ smart.
-E’ smart un cavolo, credi che non so che è nipote di Gianni? Figlioccio di Andreatta. Me lo ricordo quando diceva di essere un fan di Berlusconi. Quando in campagna elettorale preferiva che si votasse Silvio a Grillo. Io non frequento associazioni d’elite con miliardari, banchieri e capi dell’opposizione. Non ho vissuto a Strasburgo e non ho avuto la possibilità di tentare la carriera post universitaria. Non sono sposato, né divorziato. Non intesso trame alle spalle dei compagni. Sono una persona onesta. E a differenza tua sono sempre stato responsabile.
-Ma come? Letta è er capo del governo della responsabiltà nazionale, un governo de servizio, per il Paese…
-Mio padre e mia madre mi hanno insegnato ad essere responsabile in un altro modo. Io da quando sono nato mi sono accollato le responsabilità mie e quelle degli altri. L’ho fatto inseguendo dei sogni e se mi reggo in piedi è perché non l’ho venduti, li ho difesi. Ho sofferto, questo sì. Barcollo, ma non mollo. Non c’è solo un momento in cui si grida e uno in cui si complotta. Per me c’è una lunga resistenza.
E Tonino:
-Angelino, Angelino… Te piace Angelino, eh?
-Non ti sopporto. Tu credi realmente che noi giovani siamo delle marionette? Credi che quei quarantenni siano i quarantenni di oggi?
-Lo credo! Lo credo! Siete i giovano di Vedrò! Ah! Ah!
-Tu sei peggio di loro. Non sei riuscito a cambiare niente e allora te ne lavi le mani, dicendomi che la mia generazione una volta al governo è in balia della sorte. Beh, ci sono problemi strutturali e soprattutto culturali se la mia generazione è stata derubata. Certe controfigure al potere fanno comodo più a te che a me. Ti servono per vivere meglio, per dirti più di sinistra di me. Ma ti sbagli.
-Scusa, non ti facevo così grillino. Ma allora perché nun cambi sponda? Mandali a casa tutti, no?
-Io non sono grillino, se mi devo arrabbiare non mi faccio più comandare da nessuno. Scendo in Piazza e protesto. Ma il problema è questo. Non c’è più nessuno che vuole scendere in piazza libero a protestare. I giovani o sono grillini o ingabbiati da un sistema che tu e i tuoi coetanei avete creato. Non c’è spazio per un nuovo movimento. Non c’è spazio per scioperare visto che non abbiamo più nemmeno un lavoro. Non c’è niente e soprattutto nessuno è pronto ad ascoltarci.
-Perché nun occupi la sezione? Lo stanno a fa tutti!
-Aspetto il congresso. Non credo nelle azioni dimostrative, le cose o si fanno fino in fondo, fino ad ottenere qualcosa o non si fanno. Occupy Pd è una buona idea, ma o è una cosa permanente oppure è l’ennesima sconfitta generazionale.
-Me spaventi.
-Sono giovane. Un giovane di oggi. E mi meraviglio di te. Dovresti sentirti giovane anche tu. Ti sei fossilizzato come tanti sull’età anagrafica e ti sei dimenticato dei diritti. Se difendessi i diritti e non solo le tue opinioni, ti accorgeresti che quelli della mia età vanno difesi a prescindere perché privi di diritti. Ma poi per te cosa significa essere giovani?
-Quello c’hai detto tu. Stà con gli operai della Fiat e non con gli Agnelli. Coi precari e non con la finanza. Ma soprattutto farsi sentire. Incazzarsi. Esse’ decisi. Ma nun sto a parlà d’esse’ violenti, quello mai. Già de casini ce n’avemo troppi. Qua ce vojono le palle, le idee e la capacità d’esse diversi. Quello che te rimprovero è proprio questo, te nun c’hai le palle.
-Forse è così, ma intanto sto qua. Io un po’ di autocritica me la faccio. Perché se no il futuro è come l’oggi. Me l’hai insegnato tu. Mi sono rotto di aspettare il messia. Voglio un partito che possa vincere le elezioni. Ma questa volta voglio che questo partito mi rappresenti del tutto.
-O voi de lotta o de governo?
-Tutti e due.
-Senti, famo pace. Sotto quell’aria da depresso, forse forse c’è un compagno. Hai capito la lezione e un po’ de cose, devo dì la verità, l’ho capite anch’io. Qua se dovemo rimboccà le maniche. Avoja a bere! Ricominciamo da capo. Da Berlinguer.
Rimbocco di Lambrusco il bicchiere di Tonino:
-Cin cin!
Butto giù l’ultimo sorso e lo saluto.
-Ma ‘ndo vai?
-Piano piano, a domani vecchio.
-A domani giovinotto bello!