Waiting for 30 luglio. Eppure Silvio Berlusconi ci tiene per le palle

ROMA – Giorni di colite. Nervosa. Dolorosa. Ho preso qualche giorno di malattia da quel che resta del mio lavoro. Sono stato chiuso a casa. Mentre Epifani fissava per fine dicembre il tempo massimo per il Congresso, Renzi alzava la voce per le regole – primarie aperte, chiuse, socchiuse: si vedrà -, Boccia proponeva di inserire la clausola della fedeltà al Governo per tutti gli aspiranti segretari ed io espellevo le mie ultime speranze di sinistra come fossero acqua, seduto sul gabinetto.

Fissata la data della sentenza della Cassazione per il processo Mediaset, il Pdl ha iniziato ad usare le maniere forti e Letta, come un pugile d’altri tempi, ha iniziato ad incassare. Ma Enrico è magrolino, traballa di qua, traballa di là, mi ha fatto somatizzare tutta la sua precarietà.

Scendo le scale piano piano. Mi strascico fino al bar. Ho bisogno di Tonino.
Lui è lì che mi aspetta. Vecchio come un vecchio ed io vecchio come un giovane.
“Può essere possibile che tutte le nostre parole non contino niente? Che un discorso di sinistra non arrivi mai in porto al momento giusto? Che per non far cadere il governo dobbiamo salvare Silvio? E che se cade, beh, se cade non siamo pronti?”.
“A piddì, se ce sta’ quarcosa de bono ner Pd, so’ quelli come te, che parlano co’ quelli come me. L’hai sentito Epifani? J’ha detto che so’ schizofrenici. Loro. E noi che semo? Noi che ‘n semo stati capaci d’arzà la voce pe fa’ ‘na legge elettorale. Che quasi quasi stamo a fa’ ‘n pensierino su chiede la grazia a Napolitano. Noi che ritiramo fori la storia de convertì l’ineliggibilità in incompatibilità. Noi che votamo a favore della sospensione dei lavori in Parlamento. Noi che sostenemo ‘sto teatrino de difensori dei potenti!”.

Tonino parla del disegno di Legge sottoscritto da 23 parlamentari Pd, tra cui Mucchetti, Zanda, Martini, Gotor, Migliavacca e Tocci. Integrerebbe la Legge del 15 febbraio 1953, abrogandone l’articolo 10, quello che in caso di condanna metterebbe Berlusconi con le spalle al muro.
“Tonino, loro dicono che sarebbe un modo per affrontare  il conflitto di interessi. Darebbero un anno di tempo a Silvio per vendere le sue aziende nel caso in cui volesse mantene il posto al Senato.  Non le potrebbe dare ai familiari, né mantenerle all’interno delle sue società”.
“Ma te te voi fa’ proprio male! Ma come je stai? Mò che i nodi stanno ad arrivà ar pettine je dai ‘na via de fuga? Je butti là l’ennesima legge ad personam. Ma perché se a me me multano io devo da pagà, perché se me fermano pé ‘na cazzata me buttano in gattabuia, perché se me guardano in faccia nun me danno ‘na lira e a uno come lui…”.

So che Tonino ha ragione, ma oramai ho capito come funziona il giochino. So che la farà franca, che questo quadro politico si regge sul compromesso.
“Il giornale Libero chiede la grazia. Silvio scommette che sarà assolto. Gli elettori di centrodestra hanno dimostrato di continuarlo a votare nonostante le sue condanne, i suoi processi. Non lo so, forse farci ricavare qualcosa pure alla democrazia da questa vicenda sarebbe il male minore. Certo, non mi aspetto una Rete 4 proletaria, ma da qualche parte la deberlusconizzazione di questo Paese la si dovrà pure cominciare”.
“Te la vedi come n’Andreotti bis, c’hai paura che finisce tutto a tarallucci e vino, ma a me de dajela vinta facile alla Santanché, a chi grida ar complotto e sta attaccato alle portrone, a chi minimizza milioni d’evasione fiscale e poi ce dovrebbe risistemà le tasche, a chi fa le prediche e poi fa i festini ad Arcore, nun me va. Ce vorrebbe ‘na sinistra forte. Ce vorrebbero le palle, ma c’hai ragione: stamo colle pezze ar culo”.

Siamo in bilico e se cadiamo c’è il vuoto. C’è ancora la tv. Ci sono questi media qua. C’è la destra.
“Tonì, sto male. Non sai quanto mi pesa, ora, questa situazione. Vorrei finisse subito. Vorrei che la giustizia fosse uguale per tutti, che il mio Partito la difendesse. Ma non ci credo. Mi sento spremuto. Carne e ossa. Si è concretizzato l’inciucio. Mai come ora Pd e Pdl sono vicini. C’è in ballo cosa? Cosa c’è in ballo? Dicevano che fosse una cosa dovuta, un servizio allo Stato, ma siamo alle solite. Abbiamo le mani in pasta. Allora scopro che la risposta al mio ritornello è sempre la stessa. Dove è il Pd? In fondo a destra! Poi c’è la vita, quella che vivi ogni giorno. C’è gente che muore di fame e vota Silvio. C’è gente che muore di fame e vota Grillo. C’è gente che muore di fame e vota Pd. Ma questa gente chi l’ha rincretinita? Berlusconi o vent’anni di berlusconismo? Di spot pubblicitari continui, di modelli consumistici legati all’apparire, al nascondersi, all’egoismo. Qua c’è un lavorone da fare. In fondo siamo tutti berlusconiani”.
“Cazzo, te sei fatto grande. ‘O vedi che a quarcosa te so’ servito! Er problema è che sto lavoro ‘o dovevano fa l’amichetti tua. Se proclamavano esorcisti e se so’ scoperti indemoniati democristiani”.

Tonino ha riempito i nostri bicchieri mezz’ora fa, ma non abbiamo bevuto. Ci proviamo, sorseggiamo il Lambro, ma non va giù. Sarà che oggi non sono di compagnia, che sono ancora imbarazzato, che ho in testa il tintinnio di più orologi. Come se servisse in ogni istante ricordarmi che giungerà l’ora. Quella del Congresso, quella del processo Mediaset e quella della fine del Governo Letta.
Orologi che corrono con tempi diversi e che ogni tanto mi illudo di sincronizzare.
“Ci vorrebbe un’assemblea di direzione, magari aperta pure ai militanti. Un minicongresso. Ci vorrebbe un Piano A, visto che il Piano “B” è stato un fallimento”.
“A piddì datte pace. Nun succederà nulla. E’ come hai detto te, sarà pure peggio. Se oggi so’ pappa e ciccia, domani se nun lo condannano saranno culo e camicia”.

Torno a casa e poso il sedere sul gabinetto. Ne ho mandate giù troppe. Penso a Gramsci, alle sue lettere dal carcere, al fatto che si starà rivoltando nella tomba. Realizzo che nella mia vita ho rubato solo una sigaretta, a mio padre, quando avevo diciotto anni, e che ancora mi sento sporco. Non onesto. Mi devo rilassare, mi libero ancora un po’ e penso a Silvio, alle sue ultime imputazioni, mi sento meglio.

Corruzione e finanziamento illecito ai partiti (caso De Gregorio); frode fiscale, in bilancio, appropriazione indebita (condannato in secondo grado a 4 anni); prostituzione minorile e concussione aggravata (condannato in primo grado a 7 anni); rivelazione di segreto d’ufficio (caso Unipol, condannato in primo grado ad un anno); diffamazione aggravata (caso Di Pietro).

Vado a letto e rinucio a contare le pecorelle. Conto gli altri processi, quelli prescritti, archiviati, condonati, scampati.
“1 Lodo Mondadori, 2 All Iberian, 3 Falso in bilancio Fininvest, 4 Lentini, 5 Mills…”.
Ripercorro la storia d’Italia dell’ultimo ventennio, una storia nascosta. Anche dal Pd. Non mi sento antiberlusconiano, ma anti berlusconista. Con una mano tengo il cuscino, con l’altra, la sinistra, il pugno stretto chiuso. Nonostante tutto sogno ancora la sinistra.

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