Milano, spread ai minimi e debito pubblico in calo: sarà ripresa?

TRIESTE – Settimana di forti preoccupazioni quella conclusasi ieri, dai timori di deflazione smentiti dalla BCE (Banca Centrale Europea) a quelli dei crediti inesigibili che preoccupano i banchieri alla vigilia dei nuovi esami europei sui conti, dalla stabilità politica del Belpaese, alle prese con le dimissioni del premier Enrico Letta, alla fiducia dei mercati ed alle mosse della speculazione internazionale, dalla competitività allo stato di salute dei conti pubblici.

A dispetto di tutto e di tutti, Piazza Affari ha fatto registrare l’ennesima ottava positiva per il FTSE Mib, il più significativo indice azionario di Borsa Italiana, il cui guadagno del 3,78% ha valso a Milano la palma di regina d’Europa nell’ultima seduta ed ha portato il rialzo da inizio anno al 7,74% proprio in un periodo in cui molti si interrogano sullo strano parallelismo dell’attuale crisi con quella del 1929.

Al di là dei facili (ed inutili) catastrofismi, non si può negare una stretta analogia tra i più recenti movimenti dell’indice industriale Dow Jones e quelli registrati ai tempi della Grande Crisi, i cui grafici evidenziano un andamento strettamente parallelo con la tendenza dello stesso mercato a ricalcare più o meno fedelmente il modello del 1928-1929, anche se gli stessi analisti ad individuare queste corrispondenze sono i primi ad ammonire sulla differenza degli scenari correlati e delle scale di rappresentazione, non ravvisando garanzia alcuna nell’effettivo riproporsi del modello statistico.

Analogie che impattano,  influenzandoli negativamente, sui risultati  dell’ultimo Eurobarometro Standard, un sondaggio condotto a livello europeo sulle opinioni dei cittadini comunitari, che riscontra un cauto ottimismo in quel 51% di Europei che si dicono fiduciosi nel futuro, dato condiviso soltanto dal 40% degli Italiani che, a maggioranza assoluta (53%), affermano di non sentirsi cittadini UE ed evidenziano anche un calo della fiducia nelle istituzioni europee, pur mantenendo  stabile il loro sostegno all’euro.

Con l’economia nazionale ferma da non meno di un decennio a tassi di crescita inferiori di almeno un punto e mezzo alla media dell’Eurozona ed a scontare ritardi cronici e strutturali, non sorprende che il Rapporto Istat Noi Italia ci ponga come fanalino di coda in Eurolandia per competitività di costo delle imprese, tanto che per ogni 100 euro di costo del lavoro il valore aggiunto del Belpaese ne vale 126,1 contro i 211,7 euro della Romania, anche se i più recenti dati sul PIL (Prodotto Interno Lordo, il valore totale dei beni e servizi prodotti in un Paese) parlano di una crescita generalizzata in tutto il Vecchio Continente: nel quarto trimestre 2013 il PIL della Francia e dell’Eurozona nella sua globalità sono cresciuti dello 0,3% (meglio delle stime degli analisti), quello della Germania dello 0,4% (grazie particolarmente all’export), così come torna a migliorare il dato italiano (+1%), dopo nove trimestri consecutivi di segno meno o di mancata crescita.

Per ultimo affrontiamo il dato sull’inflazione: l’indice armonizzato dei prezzi al consumo in Germania a gennaio è in contrazione dello 0,6% su base congiunturale (dunque rispetto allo stesso mese dell’anno precedente) mentre è in progresso dell’1,6% su base tendenziale (ovvero rispetto al mese  precedente).

Politiche monetarie ancora principali protagoniste della settimana borsistica, mercoledì con il discorso di Janet Yellen, nuovo presidente della Federal Reserve, seguito il giorno dopo dall’inflation report e da quello di Mark Carney, governatore della Bank of England.

La numero uno della Fed, da sempre fedele a Bernanke, ha confermato che la politica monetaria americana sarà all’insegna della continuità e che il “tapering”, la graduale diminuzione del piano di acquisti effettuato dalla banca centrale, continuerà; la situazione occupazionale è però ancora debole, ragion per cui gli aiuti resteranno all’interno dell’economia per un tempo ancora da stimare, rendendo possibile che la liquidità non sterilizzata possa sostenere nuovamente i listini sino a quella che giocoforza dovrà essere una correzione molto importante e che potrebbe portare all’inversione definitiva del trend.

Da parte sua la Banca d’Inghilterra continuerà a mantenere i tassi di interesse al minimo storico dello 0,5% «ancora per qualche tempo», anche se il tasso di disoccupazione dovesse scendere al di sotto della soglia chiave (7%) individuata lo scorso agosto per far scattare la stretta monetaria;  il rapido miglioramento del mercato del lavoro sembra aver sorpreso lo stesso Carney che, dopo aver rialzato le stime sul PIL 2014 portandole da +2,8% a +3,4%, cercherà ora di evitare apprezzamenti poco desiderati della sterlina.

Seduta positiva ieri per i mercati asiatici, supportati dalla crescita del commercio estero cinese a gennaio. Secondo i dati diffusi dalle dogane cinesi le esportazioni sono aumentate del 10,6% a 207,13 miliardi di dollari, mentre le importazioni sono cresciute del 10% a 175,27 miliardi, creando un avanzo commerciale di 31,86 miliardi dollari, in crescita del 14% rispetto a un anno fa e del 24% da dicembre.

A penalizzare l’andamento della Borsa di Tokyo (-1,53%) il brusco rafforzamento dello yen, che ha trainato al ribasso i titoli delle società maggiormente esposte ai mercati esteri. Invece guadagnano Shanghai (+0,83%), grazie ai progressi realizzati dai titoli del comparto tecnologico e dei beni di consumo, ed Hong Kong (+0,63%), dove non sembra preoccupare la crescita dei prezzi al consumo nonostante il contenimento dell’inflazione sia una priorità per il governo cinese, secondo il quale un’eccessiva crescita dei prezzi potrebbe sfociare in tumulti di piazza.

Dopo un avvio contrastato ma confortato dal progresso, comunicato in apertura, di Francia e Germania, le prime due economie della regione, a metà seduta i listini di Eurolandia hanno esteso i guadagni grazie ai dati sul PIL dell’Area Euro, cavalcandone in chiusura alcuni progressi frutto di variazioni minime: sostanzialmente invariata Londra (+0,06), in crescita Madrid (+0,34%), buoni progressi per Parigi (+0,63%) e Francoforte (+0,68%).

Sulla falsariga delle principali Borse europee, ultima seduta della settimana con apertura positiva anche per Piazza Affari (FTSE Mib +1,62%, FTSE Italia All Share +1,53%) grazie alla buona intonazione del comparto finanziario ed ai rialzi di Finmeccanica ed Exor; la crisi del Governo Letta non ha turbato gli operatori né ha provocato scossoni sul mercato del debito sovrano, con lo spread dei decennali italiani ancora a scendere.

Ancora prevalenza di acquisti su bancari, sui quali svettano le performance di Banco Popolare (+4,02%) e Popolare di Milano (+2,03%); risultati di tutto rispetto anche per Unicredit (+2,38%) ed Intesa Sanpaolo (+1,31%), premiate dal miglioramento delle indicazioni degli analisti; cresce Mediobanca (+1,62%) sugli utili del primo semestre 2013/2014 e sulle stime previste nel secondo, mentre Monte dei Paschi di Siena (-0,76%) conferma con un ribasso le attuali criticità.

Tra le società a maggior capitalizzazione rileviamo ancora il progresso di Eni (+1,65%) dopo la diffusione dei dati di bilancio e la presentazione del piano industriale al 2017 , mentre Telecom Italia (-0,93%) scivola nonostante la controllata TIM Brasil abbia terminato il quarto trimestre del 2013 con una redditività migliore delle attese.

Sul fronte del debito sovrano, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza archivia l’ultima seduta dell’ottava a 200 Bp (Basis point, punti base), con il tasso sul decennale del Tesoro fermo al 3,68%.

Lo spread tra titoli decennali spagnoli e tedeschi è ora a 190 Bp, con il tasso dei Bonos al 3,58%.

Settimana di grandi collocamenti per il Tesoro: rendimento medio in discesa al minimo storico dello 0,676% per gli 8 miliardi di euro di Bot a 1 anno in asta mercoledì, sorretti da una domanda elevata che ha fatto salire il rapporto di copertura (rapporto tra ammontare richiesto e quantitativo offerto) ad 1,63 dall’1,45 dell’asta di metà gennaio; giovedì è stata la volta degli 1,5 miliardi di euro della sesta tranche dei Btp trentennali a cedola del 4,75%, la cui richiesta è risultata in flessione rispetto all’aggiudicazione di metà novembre, per un rapporto di copertura di 1,37 ed un rendimento netto al 3,984%; nella stessa giornata asta anche per la terza tranche dei Btp triennali (cedola 1,5%), collocati per un ammontare di 3,5 miliardi di euro a fronte di una richiesta di 5,02 miliardi, che ha provocato un leggero aumento del tasso di copertura (1,43) rispetto al collocamento di metà gennaio, stabilendo un rendimento netto pari al’1,221%.

Concludiamo infine con la pubblicazione avvenuta ieri del Bollettino Statistico mensile della Banca d’Italia, secondo il quale il debito delle amministrazioni pubbliche nel nostro Paese è sceso a fine dicembre 2013 di 36,5 miliardi rispetto a novembre, attestandosi a 2.067,5 miliardi di euro; a fine 2012 il debito si era attestato a 1.989,5 miliardi di euro, pari al 127% del PIL.

 

 

  

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