Rappresentanti

RAVENNA – In questi giorni che precedono lo sciopero generale, ascoltando l’incessante pigolio scomposto dei “politici” (e di “quelli che contano” nel Paese) che si affannano a dare sulla voce alla Camusso e agli altri dirigenti della CGIL, non ho potuto fare a meno di sviluppare almeno due riflessioni che – con la doverosa premessa del vecchio adagio di Voltaire sulla democrazia – ritengo utile esporre.

Non mi interessa, ovviamente, riferirmi alle prese di posizione di questo o quel padroncino che – facendosi scudo dei richiami all’Unità del Paese del presidente Napolitano – coglie ancora una volta l’occasione per scaricare su altri, diversi da lui, il contributo che invece, proprio lui e i suoi sodali dovrebbero (e potrebbero, senza sforzo) pagare alla causa dell’Unità.
Troppo di parte, e troppo vivamente interessati, tali commenti – figli del conflitto di classe che lor signori continuano a praticare – da non meritare alcun tipo di commento. Figuriamoci, sprecarsi una riflessione.

Voglio riferirmi, invece, a tutti quei “rappresentanti” del popolo, che allignando tra le fila del maggior partito di opposizione in Parlamento, hanno deciso di portare il loro contributo di chiarezza e di partecipazione ai problemi dei lavoratori italiani, attraverso la redazione di una lettera aperta dal titolo: “Non ora. Rinviare lo sciopero generale per dare più forza alla battaglia sociale e politica”, con cui si chiede ad PD di esplicitare un giudizio negativo sulla tempistica e sull’efficacia della scelta del sindacato di Corso Italia.

Tutti signori che – fatta eccezione per Antonio Boccuzzi (l’ex operaio scampato al rogo della Thyssenkrupp) – sono conosciuti soltanto dai familiari più stretti oltre che, ovviamente, dal “capo bastone” che li ha inseriti al punto giusto della lista elettorale della propria circoscrizione. Tutti “emeriti rappresentanti” che, nonostante abbiano compiuto studi regolari e prolungati, risultano titolari di una biografia (personale e politica) che, in alcuni casi, non supera le 2 righe su “WP”.

Proprio da questo fatto, dunque, nasce la prima riflessione. Tralasciando, cioè, l’importanza del contributo al dibattito democratico di “rappresentanti del popolo” di cotanto spessore, una domanda sorge spontanea: ma è plausibile (è giusto, verrebbe da dire) che qualcuno, titolare di curricula così articolati, possa arrogarsi il diritto – in virtù della sua “fortuita”, “casuale” collocazione parlamentare – di influire sulle scelte del direttivo di una della più grosse organizzazioni sindacali del continente, al cui interno siedono “compagni” i cui curricula messi insieme riempirebbero alcuni volumi dell’enciclopedia del M.O.?

è accettabile che tali “rappresentanti, il cui unico vaglio passato è stato quello di essere iscritti (dal segretario di turno) al “punto giusto” in una lista, possano arrogarsi il diritto di bacchettare la segretaria generale eletta, con il 76 per cento dei consensi, da un Congresso a cui hanno partecipato oltre 4 milioni d’iscritti?

Se non fosse tragico, sarebbe ridicolo anche solo pensare ad una risposta “di senso”.

Ma, ancor di più, brucia la seconda riflessione: “Come è possibile, infatti, che in un Parlamento di quasi 950 persone, tra deputati e senatori, non c’è n’è uno che abbia sentito il bisogno di scrivere una “lettera aperta” di appoggio alle posizioni della CGIL?

Possibile che la composizione delle due camere sia così squilibrata a vantaggio di caste di intoccabili (avvocati, magistrati, docenti universitari, imprenditori, notai, commercialisti) tanto da lasciare inespressa la voce di oltre 5 milioni di lavoratori?

Forza della “democrazia di cordata” che consente, in virtù di una legge truffa, di far sedere in Parlamento solo gli amici del segretario di turno e degli altri “ras” di partito.

A proposito, sul sito dell’estensore della “lettera” in questione, il deputato Stefano Esposito, si chiede se – rimanendo in vigore il “Porcellum” – il PD debba ricorrere, nella scelta dei candidati, alle primarie.

Troppa grazia! A pensarci bene, per una corretta rappresentanza di tutte le classi e categorie sociali, non sarebbe male si ricorresse al vecchio ma sempre valido metodo della reale “rappresentatività”. Avremmo, forse, un pò meno “yes man” ma sicuramente se ne avvantaggerebbe la Democrazia reale.

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