Chi assaltava le sedi sindacali?

RAVENNA – Non nascondo che ieri sera, durante la visione del TG, ho avuto non poco disagio e molta difficoltà nel “tentare” di spiegare a mia figlia (8 anni) – che già legge e fa di conto – cosa mai ci facessero “tutti quei ragazzi urlanti, violenti, cattivi e spaventosi” in quel palazzo bolognese su cui campeggiava la bandiera della CISL, che lei ben conosce per frequentazione diretta, oltre che “familiare”.

Un disagio e una difficoltà che già provai, in più riprese, alla metà degli anni ’80 e poi, via via, fino ai primi mesi del ’93, ogni volta che – per un motivo o per un altro – il comizio sindacale (unitario) veniva preso di mira, con assalto finale al palco, dalla “galassia” pseudo autonoma e ancor più pseudo rivoluzionaria del “movimento” romano. Un Movimento ben diverso da quello della metà dei ’70, che contestava il sindacato (tutto) per la sua visione salvifica dello sviluppo e fideistica del lavoro da cui, al contrario, quel Movimento voleva liberare, liberandosene. Certo, anche allora, la violenza decise di prendersi la scena e il confronto arrivò a farsi aspro, duro. Fu in quei giorni, che iniziarono il 17 febbraio del ’77 con gli scontri a “La Sapienza” il giorno del comizio di Luciano Lama, che la CGIL e, ancor più, il PCI scoprirono amaramente che tra gli studenti e gli operai e le loro organizzazioni di massa si era aperta una cesura, una frattura netta. Al punto che un gruppo di intellettuali (tra cui Dario Fo, Luigi Ferrajoli, Franca Rame, Andrea Ginzburg) fu costretto a stilare un documento contro la criminalizzazione dei giovani che “significa solo colpire chi è già vittima” perché “la protesta dei giovani è innanzitutto – scrivevano gli intellettuali nell’appello – l’espressione di una forte volontà di resistenza contro la miseria materiale e morale a cui con l’avanzare della crisi le classi sociali dominanti intendono condannare il paese mentre una campagna diffamatoria tenta di presentarceli come teppisti e provocatori”. Ma mai, neanche in quei giorni bui (da lì ad un anno sarebbe stato rapito Moro, con tutto quello che ne seguì) ad alcuno balenò per la testa di “assaltare” una sede dei lavoratori. A nessun (sedicente) rivoluzionario è mai venuto in mente di interrompere, aggredendone la sede, un’assemblea di lavoratori riuniti per discutere. Botte in strada, confronto aspro nelle piazze, fronteggiamenti nei cortei sindacali, erano la prassi e la routine ma assalti alle sedi no. Sarà stato per pudore o per paura, ma nessuno di quei giovani rivoluzionari del ’77 se l’è sentita di essere accomunato, anche per sbaglio, a chi le sedi sindacali, le camere del lavoro, le leghe, le cooperative, le associazioni di mutuo soccorso le ha assaltate per distruggere gli unici baluardi che gli si opponevano nella marcia al colpo di stato del ’22. Ecco, sento nelle orecchie i commenti: “Esagerato. Paragonare i giovani assaltatori bolognesi ai fascisti!”. Eccessivo? Forse! Soprattutto perché, almeno a prima vista e a lume di naso, questi ragazzotti che hanno assaltato la sede della CISL bolognese sembrano smarriti e senza una meta. Sta di fatto, però, che vedere per televisione il segretario della CISL bolognese, Alessandro Alberani che sottobraccio a quello di Ravenna, Antonio Cinosi, tentano di resistere sulla porta ad un gruppo di assalitori inferociti mi hanno riportato alla mente il racconto dell’imolese Claudio Montevecchi (nome di battaglia “Ido”) che dal tramonto del 4 all’alba del 5 novembre del 1920, difese la Camera del Lavoro di Bologna, situata all’epoca in via D’Azeglio, nel palazzo che oggi ospita il teatro “La Ribalta” . Una storia d’altri tempi, (peraltro finita male con tutti i lavoratori e i militanti arrestati e le squadracce bolognesi che portano a termine “indisturbati”, la notte del 5, il loro lavoro). Una storia che ieri sera ho raccontato a mia figlia per insegnarle a diffidare di chi se la prende, soprattutto violentemente – per i motivi più vari – con i lavoratori e chi li rappresenta. Chi lo fa ha sempre un secondo fine, molto spesso inconfessabile. Dei ragazzi di ieri non saprei dire ma, se fossi in loro, mi preoccuperei visto che comprensivamente a prenderne le difese, anche se (ancora) blandamente, oggi – per nostalgia o per gratitudine – sono intervenuti molti esponenti della destra nostrana. Insomma, sarà un parere personale, ma tra Dario Fo e Osvaldo Napoli, mi sia consentito, qualche differenza c’é!

Alessandro Bongarzone

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