A La7 va “in Onda” don Gallo. Una sera col “Gigante” ovvero, come infastidire uno “sciamano”

RAVENNA – Quel che è giusto è giusto: quando si è partigiani, non sta bene far finta di niente e, normalmente, si fa più bella figura a riconoscerlo in via preventiva. A me piace don Gallo. Sono d’accordo con “quasi” tutte le posizioni che esprime e, anche se non proprio del tutto degnamente, mi sento vicino al suo pensiero e al suo modo di vivere il cristianesimo.

Anche per questo, in fondo, mi dispiace – anche se non saprei come manifestare la mia compassione – per tutti coloro che, per i motivi più disparati (quasi sempre, comunque, legati al denaro, al profitto e al successo) sono costretti ad appoggiare o, semplicemente, tentare di difendere le posizioni; i ragionamenti; le idee; l’operato e i modi di comportamento di “Qualcuno” che – secondo il professor Nouriel Roubini – non solo è indifendibile ma che, se solo annunciasse il suo “passaggio di mano”, con la sua scelta  “riuscirebbe a ridurre lo spread tra BTP e BUND fra i 50 e i 100 punti base in modo permanente”.

Cristianamente, dunque, compatisco anche se, in fondo, non lo meriterebbero visto che, a costoro, basterebbe optare per frequentazioni di altro tipo e di più alta “levatura” come – ad esempio – don Gallo, appunto! Piuttosto che, sfidando il senso del ridicolo e del compatimento, attardandosi nella nobile arte della leccatura di podice, proseguire “balzellon balzelloni” verso l’inevitabile disastro. Anche di credibilità personale!

Ogni giorno, comunque, nel pollaio mediatico nazionale, decine di “sciamani delle diverse confessioni pidielliste” proseguono nel rito della difesa d’ufficio che, insieme a quello della “menzogna ripetuta=verità conclamata” e dell’attacco ai magistrati “golpisti rossi”, tenta di ottenere il miracolo di arrivare al 2013.

Ogni tanto, però, a qualcuno gli capita di trovarsi sulla strada don Gallo che parla di giustizia sociale, di costituzione, di diritti sociali e di cittadinanza, delle lotte per conquistarli e per costruire un altro mondo possibile perché – afferma – “Dove non c’è giustizia la ricchezza è un insulto” e, allora, allo “sciamano” di turno il giochetto della menzogna, dell’interruzione, dell’alzata di voce non funziona più.

Per quasi un’ora, è accaduto sabato scorso, su “LA7”, “Gallo” tiene botta e contrasta: “il professore”; “il coordinatore”; il… non so il nome”, così il presbitero chiama il suo interlocutore che, intanto, annaspa, perde la pazienza e, offeso, si scompone.

“Gallo” chiede coerenza a chi ha affermato, poco prima, che “il governo ha fallito”. Parla di rivolta e di ribellione; accusa la “casta di governo”, la sua teoria sull’ineluttabilità delle leggi economiche che vogliono un Paese in cui il “dieci per cento della popolazione detiene il 50 per cento della ricchezza ma dove a pagare è sempre e solo quel 45 per cento di lavoratori e pensionati che sborsano l’80 per cento delle risorse necessarie al funzionamento dello Stato” e il “professore” non trova di meglio che chiamarlo “pretacchione” e accusarlo di sentirsi senza colpe (non si capisce quali dovrebbe averne un pretacchione che passa la sua vita a dare dignità agli ultimi), lo invita a “smetterla di dire sciocchezze” o, ancora, verso il finale, accusandolo, addirittura, di dire “cazzate”.

Don Andrea cita De André e il suo “verremo ancora alle vostre porte…” perché “il 20 per cento del mondo si pappa l’80 per cento delle risorse” e lo “sciamano” di turno, dimenticando che il suo partito (di cui si vanta di detenere la tessera numero 2) si è battuto per l’affermazione, in Costituzione, delle radici cristiane d’Europa, attacca niente di meno che S. Francesco con la stravagante motivazione secondo cui “il padre di S. Francesco (Pietro Bernardone dei Moriconi) ha aiutato i poveri molto più efficacemente del figlio in quanto il figlio (Francesco d’Assisi), elogiando la povertà, ha fatto un danno ai poveri generando povertà”).

Insomma, se ce ne fosse stato ancora bisogno, sabato scorso, a “in Onda”, non solo “Gallo” è uscito alla grande, continuando nel solco di quella chiesa che ha rifiutato e rifiuta il ruolo di consolatore a cui i ricchi della terra vorrebbero relegarla ma, soprattutto, la pochezza del suo antagonista, che ha concluso la trasmissione livido di rabbia, ha trasformato “quello strano presbitero” in un Gigante che, al contrario di chi dovrebbe farlo per deontologia professionale, è attento e sollecito alle povertà e alle miserie del mondo a cui, ancora oggi a 83 anni suonati, tenta di portare aiuto e risposte.

Anche a quelle di un “povero premier” a cui si è offerto, vista la compulsività della sua malattia, di dare ricetto nella sua comunità genovese: “Diteglielo – ha affermato – voi che gli state vicino: don Gallo ti prende! Chissà che poi non possa ripartire”. Già, chissà!

Alessandro Bongarzone

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