Deputati, calciatori, attori, veline, cantanti: tutti insieme per la carità pelosa

RAVENNA – E’ già qualche anno che, resistendo al “ricatto”, tutto cattolico, del rimorso di coscienza, ho smesso di partecipare ai vari: “Telethon”; 30, 300, 3000 “Ore per la Vita” o, ancora, alle centinaia di raccolte fondi, quasi sempre a mezzo trasmissione di SMS, per aiutare le vittime delle più immani catastrofi; della fame nel mondo; delle malattie più smaliziate, sconosciute ed esclusive (nel senso della rarità) ovvero, di tutte le emergenze che ormai si moltiplicano in quest’Italia senza presìdi né programmazione o “previdenza sociale”.

Dapprima la mia “resistenza” fu spinta dalla naturale ritrosia nei confronti della carità ostentata l’esatto contrario, cioè, del “non sappia la destra…” professato dal professore di filosofia e storia delle religioni del liceo, una versione evangelica del più prosaico “fa del bene e scorda, fa del male e pensa” insegnatomi da quel genio di mia nonna materna.

Solo in seguito, grazie alla riflessione sugli insegnamenti atavici, ho tentato di articolare una riflessione più scientifica, ragionata e meno istintiva che mi ha portato, dunque, a rifiutare il “Fund Rising”  sponsorizzato dallo “Star System”.

La prima riflessione critica è partita dalla presa d’atto che la maggior parte dei “testimonial” s’iscrivevano al partito di quelli che, rifiutando il ruolo regolatore dello Stato e criticando ogni forma di imposizione fiscale, considerano la botta di culo di essere nati ricchi in un paese occidentale come un titolo di merito. Molti di quelli, cioè, che prestano la loro faccia alle più disparate e nobilissime cause – quasi sempre con un ritorno, se non proprio economico, almeno d’immagine da rispendersi, comunque, sempre sul versante economico – erano tra coloro che elogiavano mons. Camara, arcivescovo di Brasilia, quando dava da mangiare ai poveri ma che, poi, lo accusavano di essere comunista quando chiedeva perché quegli stessi poveri fossero senza cibo.

Tutti interpreti d’una sceneggiata basata sulla carità del superfluo e dell’avanzo che predilige una società del pietismo ad una fondata sulla dignità di cittadini “uguali” portatori di diritti.

Una “pantomima” che, in alcuni momenti, diventava smaccatamente arrogante e palesemente iniqua soprattutto quando le Fondazioni (quasi sempre guidate, dirette e amministrate da magnati della finanza e dell’industria) finalizzate alla ricerca, hanno continuato a raccogliere fondi senza mai spiegarci come mai, ad esempio, quando la ricerca su alcune malattie si è trasformata in “cura” effettiva, questa ha elevato i profitti delle società farmaceutiche ed è stata preclusa ai derelitti della terra.

Ma la mia ritrosia è cresciuta ancor di più quando “lor signori”, sempre disponibili a mettersi in vetrina, sempre pronti a passare per i buoni di turno, mai e, ripeto mai, hanno messo “pubblicamente” mano al portafoglio, iniziando la “raccolta” affermando: “Questo euro (ovviamente è un esempio da pezzente e non da VIP), lo metto io!”.

Anzi, com’è accaduto ultimamente per una partita della nazionale di calcio dei parlamentari in Sicilia, spesso e volentieri le spese di viaggio, alloggio, addirittura il taxi dall’aeroporto a casa, sono a carico dell’iniziativa benefica. E, addirittura, quando il fatto diventa noto, qualcuno si giustifica negando, qualcuno cambiando discorso mentre altri si avventurano nell’elenco delle buone azioni fatte; di quanto gli sia costato, soprattutto alla luce dell’attuale crisi economica che ha falcidiato la “paga” del parlamentare passata, dopo gli ultimi tagli, a meno di 300 euro al mese.

Insomma, per lor signori, ormai è evidente che la beneficenza va bene solo se la fa la massa dei NIP: pagando il biglietto dello stadio o mandando SMS, meglio se usando entrambe i sistemi ma, soprattutto, senza chiedere niente a loro: neanche 1 euro di contributo per l’acquisto di una carrozzella per disabili.

Nessuna remora, dunque, a disertare le “opere benefiche” sponsorizzate da costoro a cui, non sarebbe male ricordare, che da quegli scranni vellutati – se non conviene – si può anche andare via, ad esempio, dimettendosi.

Siamo già abbastanza avviliti per i nostri problemi per avere il tempo (e la pazienza) di sopportare le lacrime e i piagnistei dei privilegiati e dei professori(ni) col culo al caldo e coi parenti sistemati. Annoiati ma con il posto fisso anzi, inamovibile!

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