Simonetta Cesaroni. Domani la sentenza d’appello per il delitto di Via Poma

Per la difesa Raniero Busco non aveva nessun motivo per ucciderla

ROMA – E’ attesa per domani la sentenza del processo di secondo grado per la morte di Simonetta Cesaroni, la ragazza uccisa il 7 agosto 1990 negli uffici regionali Aiag in via Poma con 29 coltellate, che vede sul banco degli imputati l’ex fidanzato Raniero Busco, già condannato in primo grado a 24 anni di reclusione. Stamane hanno infatti fatto i loro interventi l’avvocato Massimo Lauro, legale di Anna Di Giambattista madre di Simonetta, e Franco Coppi, uno dei legali di Busco. Nel pomeriggio è prevista l’arringa di Paolo Loria, altro avvocato dell’imputato. All’esito di tale interventi la I Corte d’Assise D’Appello, presieduti da Mario Lucio D’Andria, scioglierà definitivamente il nodo sul quando si ritirerà in camera di consiglio. L’avvocato Lauro, così come la scorsa udienza il pg Alberto Cozzella e l’avvocato Federica Mondani che rappresenta Paola Cesaroni, sorella di Simonetta, ha chiesto la conferma della condanna per Busco. «L’interessa della mamma di Simonetta – ha detto il penalista – non è ottenere un risarcimento del danno o trovare un colpevole, ma solo di trovare il colpevole. Crediamo che le prove raccolte a carico di Busco siano sufficienti per confermare la sentenza di colpevolezza». Secondo Lauro, infatti, «non ci sono dubbi: il dna è di Busco che non solo non ha un alibi, ma ne ha anche indicati di falsi. Certo è anche che avesse un movente – ha aggiunto – così come le cause della morte della Cesaroni e ciò ce l’ha provocata».

 

Tuttavia la difesa, che reputa Busco innocente, continua a chiedere quale sia il movente del delitto che al momento non c’è: “L’impossibilità di trovarlo – ha detto l’avvocato Franco Coppi, difensore di Raniero Busco – non può lasciarci indifferenti. Busco non aveva alcun motivo per uccidere Simonetta. Agli inquirenti, da subito, disse che le voleva bene non nascondendo che la loro relazione fosse sbilanciata. La sentenza di primo grado ci propone un movente sessuale ma negli atti processuali non c’è alcuna prova in tal senso«. La tesi dell’accusa secondo la quale quel 7 agosto 1990 Simonetta e Raniero s’incontrarono »e Busco perse la testa, si avventò sulla ragazza provocando la reazione di quest’ultima e i colpi mortali« è per Coppi »priva di senso e disancorata dalla realtà«. E poi, una interpretazione alternativa alla presenza di tracce del Dna di Busco sul corpetto e sul reggiseno di Simonetta. »Le tracce – ha detto l’avvocato Coppi – sono state trovate nell’esatta corrispondenza l’una dall’altra. Ma il corpetto non era poggiato sul seno bensì sull’addome. Ci fu una contaminazione quando i due indumenti erano a stretto contatto e questo può essere avvenuto in un periodo di tempo che va dal 4 agosto, quando i due fidanzati s’incontrarono, e fino al 7 agosto; sicuramente, però, prima del delitto«. Ultimo capitolo difensivo toccato è stato quello delle tracce di sangue trovate sul luogo del delitto. »Sono tracce non riconducibili nè a Simonetta nè a Raniero – ha detto Coppi – Il sangue trovato è quello dell’assassino che si è ferito aggredendo la ragazza, ma non è di Busco. In quel luogo c’è una persona che lascia tracce di sangue, ma quella persona non è Busco”.

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