Radio Vaticana chiude onde corte e medie, ma le morti sospette rimangono

ROMA – Lo scorso primo luglio Radio Vaticana ha interrotto le trasmissioni a onde corte e medie verso parte dell’Europa e Americhe. Secondo quanto riferito al Corriere della Sera da padre Federico Lombardi, direttore dell’emittente, la radio lavora da anni ad un progetto sperimentale che prevede il completo passaggio alla tecnologia di trasmissione digitale.

Una ristrutturazione globale dell’impianto finalizzata alla riduzione delle potenze di trasmissione, emissione elettromagnetiche e, non per ultimi, dei consumi. Un’ammissione di colpa, invece, per il Codacons e i responsabili dei comitati anti inquinamento elettromagnetico dei comuni limitrofi all’impianto. Il comitato di gestione della radio negli anni ha sempre difeso la propria posizione giustificando l’uso delle trasmissioni a onde corte e medie come strumento indispensabile per evangelizzare popolazioni povere, oppresse o isolate. Anni in cui l’impatto ambientale della radio rendeva problematica la vita dei residenti nelle zone limitrofe all’impianto; antifurti impazziti, telefoni e citofoni in diretta col Vaticano, impossibilità di fare un esame ecocardiografico in un ambulatorio medico dopo le cinque del pomeriggio, e un’ombra lunga su quelle morti per malattie oncologiche tra i residenti in zona fuori da statistiche nazionali. Nel 2001 la radio ridusse la potenza di alcune trasmissioni adeguandosi ai limiti di legge italiana. Da allora si attenuarono i disturbi elettromagnetici, ma non le morti sospette. E ora, alla notizia della chiusura di altre trasmissioni a onde corte, dieci nuovi casi di malattia vengono denunciati dall’associazione “Bambini senza onda”.  

La storia recente della radio è ben documentata da carte processuali e studi epidemiologici. Una storia che parte dalle osservazioni dei medici di base operanti nella zona dagli anni settanta in poi. Medici che cominciarono a notare il preoccupante fenomeno dell’alta incidenza di leucemie, specie infantili, e registrarono anno per anno i numeri di quelle morti sospette tra i residenti nelle zone limitrofe all’impianto. I medici intuirono presto che la causa di quelle leucemia infantile a nord della capitale, ben oltre le frequenze attese dalle statistiche nazionali, andava cercata tra quel groviglio di antenne dietro le mura della tenuta dello Stato del Vaticano di Santa Maria di Galeria. È alla tenacia del lavoro coscienzioso e scrupoloso di quei clinici che dobbiamo l’emersione del fenomeno, l’interessamento da parte dell’opinione pubblica e la nascita dei successivi studi epidemiologici.

Da allora, il fenomeno Radio Vaticana diventerà un caso di nomi noti, come quello del Cardinale Roberto Tucci, ex presidente del comitato di gestione della radio, assolto in prescrizione nel primo procedimento intentato contro la radio nel 1999 per “getto pericoloso di cose” a seguito di una denuncia ASL. E quelli di altri prelati venuti fuori negli anni successivi. Nel 2001 la Procura della Repubblica di Roma aprirà una seconda inchiesta per omicidio colposo e lesione colpose. Nel 2003 Pasquale Borgomeo, Costantino Pacifici (rispettivamente direttore generale e vicedirettore tecnico) e ancora una volta il cardinale Roberto Tucci, riceveranno per questa nuova inchiesta un avviso di garanzia per le posizioni ricoperte all’interno dell’emittente. Nel luglio 2010 i giornali anticiperanno i risultati dello studio chiesto dalla procura di Roma nel 2006 e affidati al dottor Andrea Micheli nell’ambito dello stesso processo. I dati ottenuti da Andrea Micheli, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, riveleranno una correlazione statisticamente significativa tra l’esposizione ai campi elettromagnetici, generati dall’impianto, e l’insorgenza di forme tumorali come leucemie, linfomi e mielomi nella popolazione residente fino ad una distanza pari a 12 chilometri dal complesso. Uno studio che prenderà in esame la storia clinica di decessi avvenuti per malattie oncologiche nell’area dal 1997 al 2003. La risposta dei legali di Radio Vaticana non si farà attendere e nel novembre 2010, in sede dibattimentale, presenteranno una controrelazione firmata dalla dottoressa Susanna Lagorio (Primo ricercatore, Centro Nazionale di Epidemiologia, Istituto Superiore di Sanità) e dal professor Umberto Veronesi (Direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia e da poco eletto alla presidenza dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare Italiana).
Sostanzialmente, nel documento di 68 pagine firmato Veronesi-Lagorio e redatto in pochi mesi, i due periti si limiteranno a criticare i metodi d’indagine dello studio epidemiologico condotto dal dottor Andrea Micheli, durato 4 anni e redatto in una perizia di 395 pagine, in quanto “privo di validità scientifica”.

Come riportato anche dalla stessa dottoressa Lagorio in un suo lavoro pubblicato appena un anno prima sulla rivista “Bioelectromagnetics”, i primi studi sugli effetti dell’esposizione a campi elettromagnetici nell’insorgenza di leucemie infantili risalgono agli anni ’70. Sebbene il lavoro riporti soprattutto risultati di studi epidemiologici riguardante l’impatto della telefonia mobile sulla salute, ed evidenzi l’assenza di un legame diretto tra malattia oncologica e utilizzo di telefono mobile nella maggior parte dei casi, differente è la situazione per fonti di emissioni ben più anomale. Se stazioni radiofoniche e televisive, reti wireless, telefonia mobile e strutture radar civili e militari sono lo specchio di una società moderna sempre più attenta al progresso tecnologico, l’altra faccia della medaglia mostra il volto della sofferenza di quella stessa umanità succube del proprio progresso. Le leucemie, specie quelle infantili, sono dunque un “male moderno” come ricordato anche nella controperizia Veronesi-Lagorio. Un male in forte espansione nei paesi in via di sviluppo. Sebbene dunque il fondo elettromagnetico nel mondo occidentale stia crescendo anno dopo anno, anomalie ecologiche importanti, come emittenti radiofoniche o installazioni radar civili e militari, specie se adiacenti a centri abitati, sono sempre più oggetto di mirate campagne di monitoraggio ambientale e studi epidemiologici.

La recente letteratura scientifica internazionale offre costanti aggiornamenti in materia e importanti spunti di riflessione. E, sebbene esistano dati in conflitto dovuti soprattutto a problematiche legate a correlazioni di dati, la maggior parte degli studi mostra un incremento di mortalità data da malattie oncologiche, spesso statisticamente significativa (specie per leucemie infantili) con la riduzione della distanza dall’impianto emittente in perfetto accordo con la natura fisica della fonte di emissione (radiazioni non ionizzanti). Analisi di questo genere sono state condotte su popolazioni adiacenti ad impianti di trasmissione radiofoniche e televisive nelle Hawaii (1994), Gran Bretagna (1997), Korea (2004), Australia (1998) e, nel 2002, in Italia proprio per il caso Radio Vaticana. Uno studio, quest’ultimo, condotto dalla dottoressa Paola Michelozzi e pubblicato sulla rivista “American Journal of Epidemiology”.

L’impianto di trasmissione di Radio Vaticana è un complesso unico al mondo per potenza e dimensione, una preoccupante anomalia cresciuta all’ombra di logiche di profitto che nel tempo hanno saputo farsi strada ai danni della salvaguardia della salute pubblica. Oggi le aree attorno l’impianto si stanno popolando a vista d’occhio. Negli ultimi anni il comune di Roma ha investito molto in edilizia popolare costruendo sui terreni pericolosi a ridosso dell’impianto. Il caso Radio Vaticana evidenzia un’inquietante falla legislativa e di coscienza. Resta dunque aperta la questione morale tra chi predica un potente vangelo a onde medie da una parte, e di chi lotta, spesso in silenzio, per far emergere la verità oltre il confine dello Stato del Vaticano. Sono i volti delle associazioni, dei medici di base, dei parenti delle vittime, dei bambini malati. Sono i volti di chi non c’è più.  

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