Il carcere dei suicidi. Il sindacato Sappe, ennesima tragedia

NAPOLI- «Si è ucciso impiccandosi con una cintura nella sua cella del padiglione Avellino del sovraffollato carcere di Napoli Poggioreale. Aveva 26 anni ed era ristretto per reati connessi alla tossicodipendenza.

Una ennesima tragedia che deve fare riflettere. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe è fermamente impegnato per incrementare l’utilizzo del ricorso alle misure alternative al carcere delle persone tossicodipendenti recluse». Lo dichiara Donato Capace, segretario generale del Sappe, commentando il nuovo suicidio di un detenuto a Poggioreale.
Il Sappe sottolinea come «nelle carceri italiane più del 25% circa dei detenuti è tossicodipendente ed anche il 20% degli stranieri ha problemi di droga. Altro che vigilanza dinamica, come vorrebbe il Capo del Dap Tamburino: come si può ipotizzare una fantasia del carcere in un carcere con quasi 3mila detenuti?
Nonostante l’Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all’avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all’esterno, i drogati detenuti in carcere sono tantissimi. La legge prevede che i condannati a pene fino a sei anni di reclusione, quattro anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena all’esterno, presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. Nonostante ciò queste persone continuano a rimanere in carcere».
«Noi riteniamo sia invece preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle Comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che commetto reati in relazione allo stato di malattia e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione», conclude Capece.

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