E’ morta Rita Levi Montalcini

ROMA – E’ morta Rita Levi-Montalcini nella suaabitazione a Roma, in via di Villa Massimo.

Il premio Nobel per la medicina era nata a Torino nel 1909, aveva quindi 103 anni. La scienziata era stata nominata senatore a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 1 agosto del 2001. Il 118, intervenuto, ha soltanto potuto constatare il decesso.

La Montalcini ha ricevuto altre onorificienze. E’ stata la prima donna a essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze.   È stata socia nazionale dell’Accademia dei Lincei per la classe delle scienze fisiche ed è stata tra i soci fondatori della Fondazione Idis-Città della Scienza.

Una vita dedicata alla scienza e alla ricerca

Nel 1951-52 la scoperta del fattore di crescita nervoso (NGF), nel 1986 l’assegnazione del Premio Nobel per la medicina per quella scoperta che è stata di fondamentale importanza per la comprensione della crescita delle cellule e organi e svolge un ruolo significativo nella comprensione del cancro e di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Sono le date chiave che nel sentire comune hanno accompagnato Rita Levi-Montalcini, nata a Torino il 22 aprile 1909. Di origine ebrea sefardita, figlia di Adamo Levi, ingegnere elettrotecnico e matematico, e della pittrice Adele Montalcini, Rita nacque insieme alla sorella gemella Paola (1909-2000), nota pittrice. Entrambi i genitori erano molto colti e instillarono nei figli il proprio apprezzamento per la ricerca intellettuale.

Rita trascorse l’infanzia e l’adolescenza in un ambiente sereno, sebbene dominato da una concezione tipicamente vittoriana dei rapporti con i genitori e dei ruoli femminili e maschili e dalla forte personalità del padre, convinto che una carriera professionale avrebbe interferito con i doveri di una moglie e di una madre. Nonostante l’opinione del padre, decise nell’autunno del 1930 di studiare medicina all’Università di Torino; la scelta di medicina fu determinata dal fatto che in quell’anno si ammalò e morì di cancro la sua amata governante. All’età di vent’anni entrò nella scuola medica dell’istologo Giuseppe Levi (padre di Natalia Ginzburg), dove cominciò gli studi sul sistema nervoso che avrebbe proseguito per tutta la vita. Ebbe come compagni universitari due futuri premi Nobel, Salvador Luria e Renato Dulbecco. Tutti e tre furono studenti di Giuseppe Levi verso il quale si sentirono in debito per la formazione in scienze biologiche e per aver insegnato loro come affrontare i problemi scientifici in modo rigoroso, in un momento in cui tale approccio era ancora abbastanza inusuale; fu lo stesso Levi a introdurre in Italia il metodo di coltivazione in vitro.

Nel 1936 il rettore dell’Università di Torino, Silvio Pivano, le conferì la laurea in Medicina e Chirurgia con 110 e lode, successivamente si specializzò in neurologia e psichiatria, ancora incerta se dedicarsi completamente alla professione medica o allo stesso tempo portare avanti le ricerche in neurologia. Nel 1938 Benito Mussolini pubblicò il «Manifesto per la difesa della razza» firmato da dieci scienziati italiani, cui fece seguito la promulgazione di leggi razziali di blocco delle carriere accademiche e professionali a cittadini italiani non ariani. In quanto ebrea sefardita, Rita fu costretta a emigrare in Belgio con Giuseppe Levi, sebbene stesse ancora terminando gli studi specialistici di psichiatria e neurologia. Sino all’invasione tedesca del Belgio (primavera del 1940), fu ospite dell’istituto di neurologia dell’Università di Bruxelles dove continuò gli studi sul differenziamento del sistema nervoso. Poco prima dell’invasione del Belgio tornò a Torino, dove, durante l’inverno del 1940, allestì un laboratorio domestico situato nella sua camera da letto per proseguire le sue ricerche, ispirate da un articolo di Viktor Hamburger del 1934 che riferiva sugli effetti dell’estirpazione degli arti negli embrioni di pulcini. Il suo progetto era appena partito quando Giuseppe Levi, scappato dal Belgio invaso dai nazisti, ritornò a Torino e si unì a lei, diventando così, con suo grande orgoglio, il suo primo e unico assistente. Il loro obiettivo era quello di comprendere il ruolo dei fattori genetici e di quelli ambientali nella differenziazione dei centri nervosi. In quel laboratorio Rita Levi-Montalcini scoprì il meccanismo della morte di intere popolazioni nervose nelle fasi iniziali del loro sviluppo, fenomeno riconosciuto solo tre decenni più tardi (1972) e definito con il termine apoptosi. Il pesante bombardamento di Torino a opera delle forze aeree angloamericane nel 1941 rese indispensabile abbandonare la città e la Montalcini si rifugiò nelle campagne di un paese dell’Astigiano, dove ricostruì il suo mini laboratorio e riprese gli esperimenti.

Dopo la guerra tornò dalla famiglia a Torino dove riprese gli studi accademici e allestì un laboratorio di fortuna casalingo in una collina vicino ad Asti. I suoi primi studi (degli anni 1938-1944) erano stati dedicati ai meccanismi di formazione del sistema nervoso dei vertebrati. Con il maestro Giuseppe Levi, iniziò a fare ricerca negli embrioni di pollo attraverso i quali approfondì le ricerche sulle correlazioni nello sviluppo tra le varie parti del sistema nervoso e si rivolgeva allo studio dello sviluppo dei neuroni isolati da vari elementi del tessuto cerebrale dell’embrione, giungendo a diversi risultati pubblicati su riviste scientifiche internazionali. Nel 1947 il biologo Viktor Hamburger, al quale si era ispirata per molti suoi lavori, la invitò a St.Louis, a prendere la cattedra di docente del corso di Neurobiologia al Dipartimento di zoologia della Washington University. Tra le altre cose continuò le ricerche embrionali sulle galline portando sul terreno sperimentale il problema delle relazioni tra neurosviluppo e periferia organica. Innestando in embrioni di pollo frammenti di speciali tumori, potè osservare il prodursi di un «gomitolo» di fibre nervose a carico delle cellule gangliari, deducendone l’ipotesi di un fattore chimico, liberato dal tessuto ospite e attivo sullo sviluppo dei neuroni.

Tra la fine del 1950 e il 1951, agganciandosi alle ricerche dell’embriologo Elemer Bueker, delineò l’idea di un agente promotore della crescita nervosa, presentando nel dicembre 1951 presso la New York Academy of Sciences la sua tesi che cercava di spiegare la differenziazione dei neuroni e la crescita di fibre nervose, l’esistenza di fattori liberati da altre cellule capaci di controllare questa differenziazione. La tesi venne approfondita e precisata con nuove esperienze, condotte nel 1952 con la cultura in vitro all’Istituto di biofisica dell’università di Rio de Janeiro, in collaborazione con Hertha Mayer. Certa di rimanere negli Stati Uniti solo pochi mesi, quella che doveva essere una breve permanenza si rivelò poi una scelta trentennale. Fino al 1977 rimase negli USA, dove realizzò gli esperimenti fondamentali che la condussero, nel 1951-52, durante la sperimentazione di un trapianto di tumore di topo sul sistema nervoso dell’embrione di un pulcino, alla scoperta del fattore di crescita nervoso, una proteina che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. Nel 1954, continuando nelle analisi in vitro e in collaborazione col suo allievo biochimico Stanley Cohen, giunse all’isolamento di una frazione nucleoproteica tumorale e all’identificazione di tale sostanza presente in quantità ingenti nel veleno dei serpenti e nella ghiandola salivare dei topi: una proteina che viene sintetizzata da quasi tutti i tessuti e in particolare dalle ghiandole esocrine, con cui meglio accertò la molecola proteica tumorale chiarificandone i meccanismi di crescita e di differenziazione cellulare. Designata come Nerve Growth Factor (NGF), essa si sarebbe dimostrata attiva sul differenziamento, il trofismo e il tropismo di determinati neuroni del sistema nervoso periferico e del cervello. Questa scoperta «andava contro l’ipotesi dominante nel mondo scientifico che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni».

Sviluppi successivi poterono chiarire appieno il significato di questa scoperta: alcune cellule del sistema simpatico sono stimolate dall’organo di cui regolano l’attività, una maggior richiesta è in grado di modificare in senso ipertrofico le cellule di questo sistema. Dopo aver sperimentato che, trattando alcuni topi con un siero anti-NGF, questi presentavano gravi problemi neuroendocrini, dovuti ad alterazioni irreversibili dell’ipotalamo, Rita Levi-Montalcini lo utilizzò per controllare la crescita dei tumori delle cellule nervose. Nel 1956 venne nominata professoressa associata e nel 1958 professoressa ordinaria di zoologia presso la Washington University di St.Louis e, nonostante inizialmente volesse rimanere in quella città solo un anno, vi lavorò e vi insegnò fino al suo pensionamento, avvenuto nel 1977. Per circa trent’anni fece le ricerche sull’NGF e sul suo meccanismo d’azione, per le quali nel 1986 ricevette il Premio Nobel per la medicina insieme al suo studente biochimico Stanley Cohen. Nella motivazione del Premio si legge: «La scoperta dell’NGF all’inizio degli anni cinquanta è un esempio affascinante dicome un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da unapparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazionedegli organi e tessuti dell’organismo». La scienziata devolseuna parte dell’ammontare del premio alla comunità ebraica, perla costruzione di una nuova sinagoga a Roma. Nel 1987 ricevette dal presidente Ronald Reagan la National Medal of Science, l’onorificenza più alta del mondo scientifico statunitense. Ha rinunciato per scelta a un marito e a una famiglia per dedicarsi interamente alla scienza. Con la vittoria de L’Unione di Romano Prodi alle elezioni politiche del 2006, la scienziata, in qualità di senatrice a vita, accordò la fiducia al governo Prodi II. In quel periodo, a causa della propria ridotta capacità visiva, rifiutò la presidenza del Senato provvisoria che le spettava per anzianità nel periodo d’elezione. Sostenne il governo Prodi fino alla sua caduta, pur senza partecipare ai lavori delle commissioni parlamentari.

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