Carceri. Detenuto si suicida a Velletri. E’ il quinto nel 2013

ROMA – Si è ucciso impiccandosi con le lenzuola all’interno della sua cella di isolamento, 8 ore dopo essere arrivato nel carcere di Velletri. E’ morto così, nel pomeriggio di ieri un nomade italiano di 40 anni, Giovanni Marsala. La notizia del quinto suicidio registrato nelle carceri del Lazio dall’inizio del 2013 è stata resa nota dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

A quanto appreso dai collaboratori del Garante, Marsala era stato arrestato, insieme a numerose altre persone, all’inizio di luglio nell’ambito di un’inchiesta sugli stupefacenti. Rinchiuso a Regina Coeli per venti giorni, vi era rimasto fino a ieri mattina, quando è stato disposto il suo trasferimento a Velletri.  Giunto a Velletri intorno alle 12.00, due ore dopo è stato sottoposto alla visita di primo ingresso, prima di essere assegnato in una cella di isolamento. Alle ore 20.00 Marsala ha chiesto all’agente di polizia penitenziaria di essere accompagnato in infermeria. Tornato poco dopo in cella, aveva chiesto la sostituzione della tv rotta. Alle ore 21.00 gli agenti lo hanno trovato impiccato con le lenzuola del letto. A nulla sono valsi i tentativi di soccorso.

Quello di Giovanni Marsala è il quinto suicidio nelle carceri del Lazio nel 2013. Da gennaio ad oggi i decessi registrati negli istituti della regione sono stati 13: cinque suicidi, tre per malattia e quattro per cause ancora da accertare. Al computo va aggiunta anche una donna che lavorava come infermiera a Rebibbia. In base alle statistiche, nove dei 13 decessi del 2013 si sono registrati a Rebibbia Nuovo Complesso.  Dall’inizio dell’anno a Velletri i decessi registrati sono stati 3: due suicidi ed una morte per malattia.

«Otto ore di tempo – ha detto il Garante Angiolo Marroni – nonostante l’attenzione sanitaria e trattamentale dedicata dagli operatori del carcere sono davvero troppo poche per capire se una persona abbia una sofferenza psicologica tanto grave da portarla al suicidio. Ciò che fa riflettere nella tragedia di ieri è che il carcere può piegare la resistenza anche di chi, come la vittima di ieri, aveva purtroppo già conosciuto la durezza della vita in cella. Il sovraffollamento, la drammatica carenza di risorse e di personale sono tutti fattori che costringono a guardare ai grandi numeri e non al particolare, dimenticando che dietro ogni cifra ci sono uomini con i loro problemi e le loro debolezze. E’ per questo che ritengo non possa essere più rinviata una profonda e coraggiosa riforma parlamentare del carcere, che consenta all’intero sistema penitenziario di tornare ad essere una speranza per i reclusi, come per altro previsto dalla nostra Costituzione».

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