Paul Krugman il “Guru”, in America è una star mentre noi abbiamo Alesina&Giavazzi e Brunetta

Ci sarà un motivo se Paul Krugman è oramai osannato in America (e non solo) ed è diventato il più lucido analista economico, fortemente critico sulle politiche restrittive dell’Unione europea e dei principali organismi internazionali? Ci sarà un motivo se Paul Krugman conquista il premio Nobel  per l’economia? Ci sarà  un motivo se, in Italia, gli economisti considerati la “guida” del pensiero unico sono la premiata ditta Alesina&Giavazzi?

Fra la premiata ditta e Krugman c’è una distanza abissale nel predisporre la giusta ricetta economica per uscire dalla crisi. Ma anche fra il suo pensiero e quello che, fino ad ora, è stato proposto e realizzato in Italia c’è una colossale differenza. Basterà riferire soltanto una frase detta da Krugman in occasione della presentazione del suo ultimo libro (in Italia sta per uscire da Garzanti, con il titolo «Fuori da questa depressione, subito!»), per comprendere che siamo a diecimila chilometri dalle sue proposte: «Gli Stati devono assumere più insegnanti». Viene quasi da ridere, se si pensa alla sciagurata riforma Tremonti-Gelmini, che ha gettato l’istruzione pubblica nel baratro della miseria (meno ore di lezione, meno insegnanti, meno tecnici di laboratorio, meno investimenti in materiale didattico, ecc.). Non solo, perché il nostro Paese è stato il più convinto assertore dell’introduzione in Costituzione della norma in forza della quale sarà impossibile, nel prossimo futuro, qualsiasi spesa che comporti un deficit annuale. Come dire: vogliamo la povertà, vogliamo un maggior divario fra ricchi e poveri.

Ma la cosa più stupefacente di questa situazione è che le analisi di Krugman poggiano su solide basi statistiche, su modelli matematici e, cosa forse fondamentale, sull’esperienza storica del New Deal. Il pensiero neoliberista poggia su esperienze storiche fallimentari e su risultati di fantomatiche ricerche, secondo le quali la diminuzione della spesa non comporta recessione. Il pensiero neoliberista e la sua pratica attuazione, unitamente al dominio della speculazione finanziaria, hanno fino ad ora creato il disastro che stiamo vivendo giornalmente, eppure economisti come Alesina&Giavazzi continuano imperterriti ad asserire che l’unica via di uscita dalla crisi è il taglio delle spese.

 Per Krugman, se gli Stati adottassero politiche espansive aumentando alcune spese produttive, il mondo sviluppato sarebbe in grado di uscire dalla crisi entro diciotto mesi. Il nucleo centrale delle sue considerazioni sta nella convinzione che non esistono limiti di sostenibilità di un debito pubblico. Non è vero, come ci racconta la propaganda neoliberista, che uno Stato non può superare un determinato livello di indebitamento altrimenti fallisce. In periodi di crisi e pur con un alto livello di indebitamento, le restrizioni alla spesa comportano solamente un aggravamento della crisi e non la sua soluzione, oltre ad incrementare il debito complessivo (perché diminuisce il gettito fiscale). L’esperienza storica ha insegnato in modo chiarissimo, che se la domanda privata è debole non c’è alcun rimedio perché cresca se non quello di un intervento pubblico. L’alternativa è una crisi senza fine ed anche un possibile default del debito sovrano.

Ora ci viene in mente un’altra domanda: ci sarà  un motivo se in America c’è Paul Krugman e da noi Renato Brunetta?

 


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