Vendola e Bersani, lo scoglio della crisi dell’Euro

ROMA – Quando Nichi Vendola si è presentato da Bersani per stringere il “patto dei progressisti e democratici” si è trovato di fronte due scelte del PD: la prima è l’apertura a Casini.

La seconda è la fede europeista “senza se e senza ma” dei democratici. Basta leggere la “carta di intenti” stilata dal PD per rendersi conto che l’Unione Europea e l’euro non sono intesi come dei mezzi, ma come dei fini. L’obiettivo è rimanere nel mercato unico e nell’eurozona, il resto è largamente subordinato. Per questo il PD ha accettato, sia pure con qualche mal di pancia, tutti i provvedimenti del governo Monti. Per questo non presenta il suo programma come una svolta e una alternativa alle politiche messe in campo dall’attuale esecutivo.
Le parole di Bersani rispetto alle alleanze sono altrettanto significative. Il segretario del PD si rivolge ai progressisti, certo, ma poi allarga il suo orizzonte verso il centro. L’uso delle parole è importante: Bersani infatti invoca il dialogo tra “le forze europeiste”, vale a dire quelle disposte ad accettare tutto, o comunque moltissimo, pur di restare nell’euro. Il dibattito UDC-sì, UDC-no va visto sotto questa luce.
Il documento di Sel è invece più concreto e parla di ricontrattazione delle decisioni finora prese, a partire ovviamente dal Fiscal Compact.

La situazione dell’eurozona e ancora molto critica

La situazione dell’eurozona è ancora molto critica. Volenti o nolenti è probabile che i greci non ce la facciano e siano costretti ad uscire. Anche se l’Euro si salvasse da questo shock, subito dopo esso peserebbe in modo drammatico su Italia e Spagna e i loro titoli pubblici. Il nostro debito sovrano, che nonostante l’austerità continua a crescere, risente dell’innalzamento dei tassi. Più la situazione va avanti in questo modo, senza decisioni precise e strategie risolutive, più la nostra situazione si compromette. Sperare in un significativo mutamento a Berlino è difficile. Persino parte dell’SPD, che comunque secondo i sondaggi è ben distante dalla Merkel (nel senso che quest’ultima è molto avanti), frena sulle ipotesi di mutualizzazione del debito pubblico e addirittura il più suffragato (nei sondaggi) dei possibili avversari della Cancelliera nel 2013 si è detto contrario agli acquisti dei titoli di stato di Italia e Spagna da parte della BCE. Parliamo del minimo sindacale per i prossimi mesi, in quanto una soluzione definitiva dovrebbe essere gli “Stati Uniti d’Europa”, l’unificazione del debito pubblico, trasferimenti dal centro alla periferia, uno stato sociale europeo, ecc.

L’intransigenza tedesca e l’impoverimento della periferia
Per essere realistici è praticamente impossibile che una UE incapace di mettersi d’accordo su una operazione di breve durata per abbassare gli spread sia capace di diventare uno stato federale in pochi mesi. Al contrario, gli spread sono usati in maniera “disciplinare”, per costringere gli stati periferici all’austerità e alla deflazione, chiamate con un eufemismo “riforme strutturali”. Quando Monti avverte che, se lo spread salisse ancora, in Italia prevarrebbero forze anti-europeiste (cioè Grillo), lancia un monito alla Germania: attenti a giocare col fuoco, potreste bruciarci.
Questo, insomma, il quadro: un’Europa dominata dall’intransigenza tedesca, mentre la periferia precipita nell’impoverimento; un PD che non intende, costi quel che costi, sganciarsi da quel carro, anche se andasse verso un burrone.

L’euro è uno strumento non un fine

Ed ecco, quindi, il punto: chi si candida a contendere, da sinistra, la leadership, dovrebbe sfuggire a questa tenaglia. Dovrebbe dire che l’Euro è uno strumento, ma se questo strumento non potrà essere riparato, per quanti sforzi si facciano, allora un centrosinistra responsabile dovrà mettere in conto anche un “piano B” per un’uscita “ordinata” dalla moneta unica. L’obiettivo è salvare il paese da una più profonda, drammatica e lunga recessione e dalla prospettiva di un ventennio di impoverimento, se il fiscal compat non fosse ribaltato. L’obiettivo non è salvare l’euro in sé. Non è bene accettare qualsiasi condizione pur di rimanere nella moneta unica, perché questo significherebbe portare il paese verso una rapida decrescita (molto infelice) e verso la distruzione di quel modello sociale che è proprio il vanto dell’Europa stessa e del cui ridimensionamento lo stesso Draghi ha più volte parlato.
Una linea del genere, bisogna esserne coscienti, susciterebbe forti polemiche e frizioni nel centrosinistra. Sta agli economisti d’area studiare una proposta credibile che eviti l’auto-impiccagione al Moloch dell’Euro. Sta all’intelligenza e alla scaltrezza del politico decidere tempi e modalità con la quale presentarla. Ma senza di essa il rischio è di arrivare all’appuntamento cruciale del governo senza alcuna idea sul da farsi se le cose rendessero necessaria la nostra uscita dalla moneta unica.

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