A che punto è la notte?

ROMA – Tutto sommato, in questa Italia così sclerotizzata e ingombra di detriti, c’è una corrente che fluisce. Parlo di politica, naturalmente. Ma i segni del tempo bisogna saperli vedere anche quando ancora non sono conclamati, e bisogna sostenerli, se sono buoni. Anche compromettendosi. Non mi riferisco al voto siciliano, solamente; pur se esso ne è un sintomo, se interpretato correttamente.

Di certo non mi riferisco ai “grillismi” di varia specie: essi piuttosto sono parte dei detriti che ingombrano il flusso,  lo ostacolano. E’, questo, un punto di analisi dirimente: la considerazione –corrente anche a sinistra- secondo cui l’emergere della protesta più radicale (nelle sue varie e diverse forme: dal “grillismo”, al movimentismo “antisistema”, all’astensionismo diffuso), per quanto in sé sterile, può essere stimolo al rinnovamento in quanto sentinella che annuncia una domanda reale diffusa, è un giudizio oramai più arretrato della realtà. Alimenta un atteggiamento che finisce per frenare processi già in atto.
Può sembrare, questo, un giudizio viziato da volontarismo, forse anche velleitario; a me pare, invece, che basti osservare alcuni dati della realtà e la loro evoluzione, per confermarlo.  
Si rifletta, innanzitutto e con spirito libero, sul potenziale di innovazione per l’intero sistema politico rappresentato dalla pratica delle primarie di coalizione a cui si accinge il centrosinistra. Una iniziativa da molti sottovalutata, da alcuni anche irrisa forse per esorcizzarla; eppure una innovazione davvero forte, che varrebbe di per sé una grande campagna verso l’intera opinione pubblica, anche quella che non intende votare il centrosinistra. Il potenziale di innovazione risiede soprattutto nel fatto che le primarie siano di coalizione, perché in ciò si configura una possibile riforma “di sistema” della politica. Certo i partiti sono associazioni private, la cui democrazia interna è regolata da statuti, congressi, ecc., e tali devono rimanere. Ma poiché dalla loro competizione emerge chi avrà responsabilità di governo per l’intera società, quella pratica costituisce un prezioso filtro democratico oltre e sopra i partiti; interviene nel rapporto con la politica del singolo cittadino, restituendo ad esso una quota reale di sovranità. Significativo il fatto che all’atteggiamento di svalorizzazione adottato da varie formazioni politiche, oltre che da molti approssimativi e sussiegosi commentatori, si accompagni poi, in taluni casi, un affannoso tentativo di scimmiottamento. Altra e diversa considerazione merita il comportamento di chi partecipa alla competizione enfatizzandone a parole l’aspetto di apertura oltre i partiti, eppure caratterizza la propria campagna con sistematiche allusioni al valore di competizione per la egemonia interna al PD. Mi riferisco a Renzi, evidentemente (ma questa è un’altra storia).
C’è, in quanto sto sostenendo, una enfasi eccessiva? A me pare di no, e inviterei, piuttosto, a rammentare quanto frequentemente lo scetticismo sia stato un vezzo della cultura riformista, causa di errori gravi e di occasioni perdute in passaggi cruciali della nostra storia.   

In secondo luogo è un fatto davvero fondamentale e positivo la crisi che sta investendo tutti partiti di stampo personalistico. Vale per Berlusconi e il suo PdL, ma vale altrettanto, con modalità varie, per tutte le altre formazioni modellate sul nome o sul profilo di un leader (o sedicente tale). Anche su questo terreno non si deve dare nulla per scontato; occorre prendere partito e contribuire a che il processo giunga fino in fondo. Perché i rischi di arretramento sono molti e insidiosi: dalla abitudine al protagonismo individuale di molti influenti commentatori -divenuti in questi anni speculari ai capi partito cui pure dedicano le quotidiane invettive- alla tentazione, sempre viva, di rifugiarsi nelle analisi facili e semplificatorie, secondo cui la partecipazione si limita ad osservare i gladiatori nell’arena, riservandosi tutt’al più di maledire tutti quando il gioco non diverte più. Fatti inquietanti come l’”endorsement” di Grillo nei confronti di Di Pietro per l’elezione al Quirinale non possono essere rubricati come folklore stravagante; vanno piuttosto denunciati a piena voce per quello che sono: una prepotente esibizione di disprezzo delle regole, un insulto ai cittadini cui stia davvero a cuore il rinnovamento della politica. Ogni cittadino “normale”  dovrebbe sentirsene sdegnato, dichiarare a piena voce che chi azzarda tanto non ha il diritto di spacciarsi per portatore di istanze di trasparenza e di rinnovamento. Tocca a ciascuno di noi esporsi, stare in campo. Ora è possibile quanto mai da molto tempo produrre novità sostanziali; alcune condizioni si stanno manifestando. Serve semplicemente più “citoyenneté” e meno aristocratico scetticismo.  

 

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