Ilva. Il decreto per la bonifica, norma ordinaria oltre le emergenze

E’ vero, il Decreto del Governo  per l’ILVA  è una “soluzione a metà”, come sostiene  Luciano Gallino in un editoriale su “la Repubblica” .Però allo stato  in cui siamo il quesito è se esista un diverso punto di equilibrio tra esigenze del lavoro e quelle dell’ambiente.

Certo i lavoratori ed i cittadini continueranno a lavorare e vivere in ambienti inquinati per decenni. Potrà non piacere e sicuramente in molti protesteranno, d’altra parte  nessuno ha la bacchetta magica e riportare il sito dell’ILVA a condizioni ambientali accettabili richiederà molto tempo. La stessa alternativa della chiusura dell’ILVA avrebbe comportato gli stessi problemi tanto per i lavoratori impegnati nella bonifica quanto per i cittadini. Si dirà che questa soluzione avrebbe il merito di azzerare l’inquinamento prodotto dal funzionamento degli impianti. Questo è vero, ma nulla impedisce di realizzare un programma di gestione degli impianti che riduca drasticamente i livelli di inquinamento nel mentre si realizza la bonifica. Al dunque è questa la vera scommessa fatta dal Governo e da questo punto di vista l’autorevolezza, la competenza e l’affidabilità di chi dovrà vigilare è essenziale. E’ importante quindi che si attivino tutte le misure di vigilanza che la gravità della situazione richiede, dei lavoratori, dei cittadini, della magistratura.

La qualità dei processi produttivi e il ruolo della magistratura 

In merito a quest’ultima in molti hanno rilevato come il provvedimento del  Governo dia un duro colpo al suo ruolo e rappresenti una grave ferita all’ordinamento costituzionale. In questa evidente forzatura esiste però la possibilità di far maturare un processo virtuoso così come è avvenuto in altre circostanze. A partire dalla fine degli anni ’70, esattamente dopo il 1976 anno del disastro ambientale causato dalla esplosione del reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo dell’ICMESA di Seveso, in Europa ed in Italia si comincia a porre con crescente serietà il problema della qualità dei processi produttivi e dei loro possibili effetti sulla salute dei lavoratori e dei cittadini. In questo impegno particolarmente attive si dimostrano le organizzazioni sindacali (per citarne alcune, le lotte per l’amianto di Casale Monferrato e quelle per il cloruro di vinile monomero a Porto Marghera), ma alla Magistratura va riconosciuto il ruolo fondamentale di aver contribuito a scardinare l’insopportabile ricatto “o ambiente o lavoro” e, con la sua azione sempre più stringente, a far maturare e consolidare  una moderna legislazione sull’ambiente. E’ grazie anche a questo impegno, infatti, che nel tempo l’Italia e l’Europa si dotano di leggi e direttive sempre più stringenti: la direttiva Seveso, la messa la bando dell’amianto, le bonifiche, le misure di contrasto al traffico illegale dei rifiuti, il regolamento sulle sostanze chimiche, ed altre ancora.  

 “Messa in sicurezza operosa” per limitare i danni mantenendo continuità produttiva

Quale insegnamento trarre, dunque, dalle vicende dell’ILVA. Se vogliamo che le bonifiche si realizzino; se vogliamo risanare interi territori e riconvertirli ad aree verdi, parchi di energie rinnovabili, industrie sostenibili; se vogliamo dare sicurezza a cittadini e lavoratori, se vogliamo riqualificare interi quartieri; se si vuole salvare il vulnus al ruolo della magistratura e recuperare il senso pieno del dettato costituzionale, occorre che le misure straordinarie previste nel decreto vengano introdotte nel corpo normativo come misure ordinarie.  Cioè si deve sapere che non sono più ammissibili ritardi o omissioni nella gestione degli impianti industriali e negli interventi di bonifica pena l’intervento sostitutivo dello Stato in via transitoria o definitiva, da rendere obbligatorio a fronte di comprovate omissioni.

Chi dirà che sono misure eccessive è invitato a riflettere sui  danni incalcolabili alle persone e all’ambiente prodotti da questi comportamenti. Si ricorda inoltre  che le norma sulle bonifiche già prevedono l’intervento sostitutivo, praticamente mai attivato, da parte delle istituzioni pubbliche. Così come è prevista la così detta “messa in sicurezza operosa” che da la possibilità di intervenire per limitare i danni prodotti dall’inquinamento in presenza di continuità produttiva. Di fatto, in nuce, quanto prevede il decreto per l’ILVA. Ed allora perché non rendere queste misure ordinarie rafforzandone conseguentemente il loro potere deterrente?

PS. Il ruolo della magistratura nel contrasto ai reati ambientali è un dato storico indiscutibile che carica di gravi responsabilità tutti quei soggetti che, a fronte di un modo criminale (è questa la parola giusta) di fare impresa a danno della salute dei lavoratori, dei cittadini e dell’ambiente, non hanno ritenuto opportuno intervenire per un eccesso di precauzione (?) o per calcoli di parte più o meno legittimi.  Ed è francamente incredibile come pezzi di sindacato possano addirittura arrivare, come è avvenuto di recente a Taranto, a promuovere manifestazioni di protesta contro chi, nell’inerzia di altri, tenta di garantire la salute e la sicurezza  dei lavoratori e di intere comunità.

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