Berlusconi, l’ultima disperata battaglia

ROMA – Il senatore del Molise, Silvio Berlusconi, è disperato e gioca con la sua vecchia ostinazione quelle che lui considera le ultime, o penultime, carte della sua battaglia giudiziaria e politica (i due aspetti, per quanto oggettivamente distinti, sono senza dubbio legati e non potrebbe essere diversamente per l’importanza politica che riveste il capo di uno dei partiti che compone l’attuale governo Letta) è ormai certo e ne hanno preso atto tutti i mezzi di comunicazione, inclusi i quotidiani di domenica 8 settembre 2013, a poche ore dalla convocazione della giunta delle elezioni del Senato presieduta dal 5 Stelle Dario Stefàno.

Nel ricorso, l’uomo di Arcore fa scrivere ai suoi avvocati, Ghedini, Longo e – ultimo arrivato – Franco Coppi, che l’applicazione del decreto legge Severino – approvato l’anno scorso dal parlamento e già applicato, con successiva conferma del Consiglio di Stato, nei confronti di consiglieri regionali e di altri eletti nelle nostre assemblee pubbliche  rappresentative – violerebbe l’articolo 7 della Convenzione Universale dei Diritti dell’uomo di Strasburgo che nel primo comma afferma: “Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale.”

Ora, a leggere con attenzione – come ha fatto chi scrive – le ventisette pagine del ricorso presentato ieri dagli avvocati del Cavaliere e – come sostiene tra gli altri – il professore di Diritto Costituzionale Stefano Ceccanti, più volte parlamentare, il ricorso sarà con ogni probabilità respinto dalla Corte di Strasburgo perché, rispetto all’applicazione della legge Severino  ”i tempi del reato o della sentenza non c’entrano nulla. Non si può parlare di retroattività perché non siamo di fronte a una sanzione ma a un limite oggettivo per il diritto a candidarsi. Si tratta di un requisito oggettivo per l’elettorato passivo.”L’opinione pubblica italiana – ho potuto accertare nelle settimane scorse con tanti che non conoscono le leggi italiane nè i fondamenti della nostra costituzione democratica – ha recepito il dato centrale della situazione che si è determinato dopo la sentenza definitiva della Corte di Cassazione del I agosto scorso. E il dato centrale è che il senatore Berlusconi è stato condannato al terzo e definitivo grado di giudizio a una pena principale che, con i condoni già intervenuti, passa da quattro anni di carcere a un anno di servizi sociali o altra modalità di pena e a una pena accessoria di tre anni che dovrà essere precisata nel numero dei giorni nelle prossime settimane  da un’altra sezione della Corte di Appello di Milano.

Di fronte al ricorso di Berlusconi è chiaro che il condannato definitivo ha giocato una prima carta per ottenere che la pronuncia della Giunta del Senato possa slittare almeno al mese di ottobre. E naturalmente non si possono escludere altri ricorsi e altri rinvii con l’unico obbiettivo di evitare la decadenza dell’imprenditore lombardo dal seggio senatoriale. Ora, di fronte a un balletto che dura dal giorno della sentenza romana senza interruzioni e che ha riempito i giornali e i canali televisivi in attesa del mitico videomessaggio del cavaliere, rinviato per ora a tempi successivi, mi pare valga la pena precisare almeno due punti che si rischia di accantonare a torto nella situazione attuale. Il primo è che il senatore Berlusconi è tuttora imputato di altri, gravi processi con molti, possibili anni di condanna e, pur con la necessaria presunzione di innocenza, non si può escludere  che l’imprenditore sia di nuovo condannato all’interdizione dai pubblici uffici e si venga a trovare di nuovo nella condizione da cui oggi parte. Il secondo elemento di cui, a mio avviso, occorrerebbe tener conto sono i precedenti di fatto e giudiziari del cavaliere del quale si è già accertato da più fonti la lunga  collaborazione con l’associazione Cosa Nostra (come hanno dimostrato, nei giorni scorsi, le motivazioni della sentenza di appello pronunciata dai magistrati milanesi contro l’amico Marcello dell’Utri come quelle emerse nel 2009 dal volume di Pinotti e Gumpel L’Unto del signore edito da Rizzoli e di cui chi scrive pubblicò allora un’ampia recensione).

Di fronte a questi elementi viene da chiedersi: è il caso di rinviare la decisione parlamentare su una personalità che ha avuto e tuttora ha una notevole importanza nella società italiana? E’ un interrogativo che non ho sentito porre in questi giorni da nessun mezzo di comunicazione ma che, a mio avviso, va posto con urgenza agli italiani che seguono quel che succede sulla scena pubblica nazionale.

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