ROMA – Siamo più liberi, noi giornalisti. Sulle nostre teste non incombe più la minaccia del carcere per chi è ritenuto responsabile di diffamazione. Solo in “circostanze eccezionali”, dice una sentenza depositata qualche giorno fa dalla quinta sezione della Suprema corte il giornalista può essere rinchiuso in un carcere. Dazebao ne aveva dato notizia il 13 marzo scorso.
“La libertà di espressione – afferma la sentenza – costituisce un valore garantito attraverso la tutela costituzionale del diritto/dovere di informazione”, che impone “anche laddove siano valicati i limiti del diritto di cronaca e/o di critica, di tener conto, nella valutazione della condotta del giornalista, dell’insostituibile funzione informativa esercitata dalla categoria di appartenenza, tra l’altro attualmente oggetto di gravi e ingiustificati attacchi da parte anche di movimenti politici proprio al fine di limitare tale funzione”. Sempre la Suprema Corte, sottolinea che “anche il legislatore ordinario italiano è orientato al ridimensionamento del profilo punitivo del reato di diffamazione a mezzo stampa”.
Solo se ricorrono circostanze eccezionali la pena più severa
Ancora: “Non va trascurato l’orientamento della Corte Edu (Corte Europea dei diritti umani ndr), che esige la ricorrenza di circostanze eccezionali per l’irrogazione, in caso di diffamazione a mezzo stampa, della più severa sanzione, sia pure condizionalmente sospesa, sul rilievo che altrimenti non sarebbe assicurato il ruolo di “cane da guardia” dei giornalisti, il cui compito è di comunicare informazioni su questioni di interesse generale e conseguentemente di assicurare il diritto del pubblico di riceverle”. Raccontiamo il “caso” su cui si è pronunciata la Cassazione, un processo a carico di due giornalisti – uno direttore, l’altro autore di un articolo pubblicato sul quotidiano ‘La voce di Romagna’ nel marzo 2006 – per diffamazione ai danni di due militari. Nell’articolo si attribuiva alle parti offese il furto ai danni di un collega, contrariamente al vero. Il Tribunale di Cremona prima e la Corte d’Appello di Brescia poi avevano condannato i due giornalisti: i giudici di secondo grado, avevano ridimensionato sia il trattamento sanzionatorio, pari a 6 mesi di reclusione, che l’entità del risarcimento del danno.
La sentenza non ha fatto notizia
I giudici della Suprema Corte hanno annullato con rinvio la sentenza d’appello, limitatamente al trattamento sanzionatorio. Pensate che abbia fatto notizia la sentenza della Cassazione? Che noi giornalisti l’abbiamo pubblicata sui giornali in cui lavoriamo? No, è passata quasi inosservata. Noi non siamo fra i sostenitori del giornalismo spazzatura. Ma spesso capita che raccontando la verità si incorra in denunce per diffamazione. Processi lunghi, difficoltà a dimostrare che abbiamo raccontato la verità, testimoni che si chiamano fuori, rischio di condanna, il carcere richieste di risarcimenti da nababbi. Avviene che lo spettro della denuncia, specie nei piccoli giornali, nelle tv e nelle radio locali, sia un incentivo a tapparci la bocca. Riteniamo perciò che questa notizia riguardava non solo noi giornalisti ma la libertà dell’informazione, il sale della democrazia.
Razza strana, noi giornalisti
Razza strana, noi giornalisti. Quasi non ci interessiamo più ai grandi problemi dell’informazione che, se non affrontati nel modo più conveniente e risoluto, rischiano di mandare a carte quarantotto quanto resta di questa professione. Al massimo, qualche rubrica scritta da “specialisti” e così ci mettiamo l’anima in pace. Per esempio facciamo finta di non accorgersi che, ancora una volta, sulla Rai, la più grande azienda italiana di informazione, spettacolo, cultura si gioca la solita, vecchia, ma non per questo meno pericolosa partita fra le forze politiche. Addirittura c’è chi pensa, lo sussurra nella rubrica specialistica, che del patto Renzi – Berlusconi facciano parte non solo la riforma elettorale e quelle istituzionali, ma anche una nuova spartizione della Rai intesa fra gentiluomini, che il conflitto di interessi resti nei cassetti. Ben chiusi a chiave. La cosa incomprensibile è che non valorizziamo neppure avvenimenti che ci riguardano direttamente, la sentenza appunto della Corte di Cassazione che abbatte un ostacolo molto pesante, la paura del carcere, alla nostra libertà di raccontare, fatti, avvenimenti, di criticare, di scoprire e denunciare, senza trasformarci in 007, episodi di corruzione, illegalità che stanno invadendo e devastando la società democratica.
L’appello di Papa Francesco e di Don Ciotti
Eppure i centomila che hanno manifestato a Latina contro la mafia, ricordando tante vittime innocenti, raccogliendo l’ appello di Libera, del suo presidente Don Ciotti, cui Articolo 21 ha dato l’adesione sono la prova provata di quanto grande sia l’attenzione di quella che si chiama opinione pubblica, di cittadini, tantissimi giovani, in carne e ossa. E le parole di Papa Francesco, il suo scendere in campo, il suo “ grido” contro i corrotti, i mafiosi, il suo abbraccio con Don Luigi, parlano anche a noi, nel ricordo di colleghi coraggiosi che hanno perso la vita sul campo della grande battaglia alla criminalità organizzata