Quel giorno in Normandia. Il 6 giugno del 1944 iniziava il più grande sbarco della storia

 

 

ROMA – Sono passati settant’anni, eppure lo sbarco in Normandia rimane una delle imprese militari più celebri della storia. Il 6 giugno del 1944 le forze alleate davano il via al secondo fronte (insieme a quello italiano) per liberare l’Europa dal nazifascismo.

Fu uno sforzo militare, logistico ed umano enorme: circa 160mila uomini furono sbarcati sulla costa francese da ben 7mila navi, con l’ausilio di 4mila mezzi anfibi e 8mila carri armati. Si tratta dell’operazione anfibia più imponente della storia dell’uomo. Il prezzo in vite fu pesante: solo il primo giorno sulle sabbie della Normandia morirono circa 10mila soldati. Il comandante in capo dell’armata alleata era il generale Eisenhower che aveva a disposizione i migliori ufficiali come il maresciallo Montgomery, il generale Bradley e il generale Patton. La riuscita della titanica impresa degli alleati fu possibile per una serie di eventi e ragioni. In primis il dissanguamento delle forze armate tedesche impegnate da tre anni sul fronte russo; l’opera di disinformazione dei servizi segreti alleati nell’ingannare i tedeschi sul giorno preciso e il luogo dello sbarco ed infine l’eroico coraggio dei soldati che hanno affrontato le fortificazioni e il fuoco tedesco quando sbarcarono sulle immense spiagge della Normandia. La terribile carneficina dei soldati statunitensi è testimoniata con grande realismo dal film “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg.

Preparativi militari per lo sbarco

Per le 17 settimane precedenti la data stabilita per il “D-Day”, il 6 giugno, il quartier generale del 21º gruppo d’armate si impegnò a studiare i piani operativi; tra le varie sezioni circolava una esorbitante quantità di rapporti, note e studi del potenziale dei rinforzi tedeschi, sulla capacità delle ferrovie francesi, sulla gittata dell’artiglieria costiera tedesca, sull’efficacia dei bombardamenti navali alleati e su decine di altre criticità che seppur importanti, non erano di fondamentale importanza. Così l’onore di stendere i piani fu assunto dallo stato maggiore del 21º gruppo d’armate di Montgomery. Più di 7.000 vascelli furono coinvolti nell’invasione, compresi 4.000 mezzi da sbarco per la fanteria e da sbarco per i carri e 130 navi da guerra per il bombardamento navale. 12.700 aerei appoggiarono gli sbarchi (3.400 bombardieri pesanti, 1.600 bombardieri medi, 5.400 caccia e 2.300 aerei da trasporto per le truppe di paracadutisti). 10.000 tonnellate di bombe furono sganciate contro le difese tedesche in tre ondate: 2.000 bombardieri medi e pesanti martellarono di ordigni le difese tedesche nell’area dello sbarco per due ore a partire dalle tre di notte, circa un’ora prima dello sbarco avrebbe preso il via il bombardamento navale e un quarto d’ora prima che i mezzi anfibi raggiungessero le spiagge sarebbe stato il turno di altri 1.000 bombardieri pesanti. Lo sbarco fu coperto, inoltre, dal fuoco di copertura proveniente da lanciarazzi montati sui mezzi d’assalto. L’ampliamento del piano d’invasione rispetto a quanto previsto inizialmente fece slittare di un mese, dal 1º maggio al 31 maggio, la data prevista per l’avvio dell’invasione. Inoltre, allo scopo di persuadere i tedeschi che l’invasione non sarebbe mai avvenuta in Normandia, gli Alleati prepararono un massiccio piano di inganno, chiamato Operazione Fortitude. L’Operazione Fortitude North doveva persuadere i tedeschi di aspettarsi un attacco in Norvegia proveniente dalla Scozia. Ancora più importante fu l’Operazione Fortitude South, che doveva convincere il nemico ad attendersi l’invasione nella zona del Pas de Calais. Venne creato un fittizio 1º Gruppo d’Armate Usa, con falsi edifici, falsi accampamenti e falsi equipaggiamenti (nei campi del Kent e del Sussex furono perfino collocati carri armati gonfiabili circondati da false impronte di cingoli: gli aerei ricognitori della Luftwaffe su questa zona non vennero abbattuti, proprio perché potessero scattare fotografie), che inviava falsi messaggi radio. Il generale Patton ne venne addirittura posto a capo, per dare maggior credito al bluff. I tedeschi erano ansiosi di scoprire da sé il vero luogo dello sbarco ed avevano un’estesa rete di agenti che operava in tutta l’Inghilterra meridionale. Sfortunatamente per loro, ogni singolo agente era stato “raggirato” dagli Alleati e stava diligentemente inviando messaggi che confermavano il Pas de Calais come il probabile punto di attacco. Inoltre, per rafforzare tale supposizione, l’intensità dei bombardamenti sul Pas de Calais fu mantenuta due volte più forte che sulla Normandia. Infine, il giorno stesso dello sbarco, apposite flottiglie di natanti in movimento di fronte a Dover avevano il compito di fare credere ai radar del nemico che il grosso della flotta alleata stesse per assaltare il Pas de Calais e che quella in Normandia fosse soltanto un’azione diversiva (le stazioni radar di Cherbourg e Le Havre, che avrebbero potuto captare l’avvicinarsi della flotta alleata, erano invece state accecate dai bombardamenti sulla Normandia). Tra Le Havre e Rouen, nelle prime ore del 6 giugno, dovevano pure essere lanciati paracadutisti-fantoccio per mantenere in allarme la 15ª Armata, che presidiava quel tratto costiero.

Il D-Day, lo sbarco

Gli sbarchi sulle spiagge che furono calcolati in modo da coincidere con l’inizio dell’alta marea, furono preceduti da un raid aereo nelle prime ore del mattino e da un intenso cannoneggiamento effettuato dalla marina circa tre quarti d’ora prima dell’arrivo della prima ondata. Il cannoneggiamento fu breve, in quanto, volendo mantenere l’effetto sorpresa, le navi non si erano avvicinate alle spiagge fino alla mattina dello sbarco stesso. Tuttavia i tedeschi erano sufficientemente trincerati e non sempre il bombardamento causò effetti rilevanti ai fini della battaglia. Sulla spiaggia “Sword” l’avanzata della 3ª Divisione di Fanteria britannica verso l’entroterra fu ritardata dalla resistenza di alcuni capisaldi fortificati sulla strada per Caen. Inoltre i britannici dovettero affrontare nel pomeriggio non solo le truppe, piuttosto deboli, della 716. Infanterie. Division, ma anche i primi contrattacchi dei carri armati della 21. Panzer-Division, appartenente alla riserva del Gruppo di Armate B di Rommel. I servizi segreti alleati non si aspettavano che tale divisione corazzata fosse così vicina a Caen. La città di Caen, quindi, obiettivo principale dello sbarco, era ancora in mano tedesca alla fine del D-Day e la situazione di stallo venutasi a creare di fronte a questa città avrebbe caratterizzato la battaglia di Normandia per i due mesi successivi. Il Commando Numero 47 dei Royal Marines fu l’ultimo dei commando britannici a sbarcare: raggiunse la spiaggia Gold presso Asnelles, ad est di Le Hamel. Il suo compito era di procedere verso l’interno, piegare a ovest e marciare per 15 chilometri attraverso il territorio nemico per attaccare dal retro il porto costiero di Port en Bessin. Questo piccolo porto all’estrema destra dell’avanzata britannica era ben protetto dalle scogliere di gesso. Il valore particolare di questo piccolo porto consisteva nel fatto che quello era il punto in cui doveva approdare la tubatura sottomarina di rifornimento degli Alleati, “Pluto” (Pipe Line Under The Ocean), da utilizzare fino a quando non fosse stato catturato il porto di Cherbourg. Port-en-Bessin venne conquistato l’8 giugno. Sulla spiaggia “Omaha” la 1ª Divisione Fanteria statunitense subì la peggiore esperienza in fatto di sbarchi. I carri Sherman anfibi vennero in gran parte persi prima di raggiungere la spiaggia: furono fatti sbarcare infatti dalle navi appoggio troppo lontani dalla riva e le deboli protezioni aggiunte per permetterne la navigazione cedettero sotto gli urti delle onde di un mare agitato. Inoltre, i tedeschi avevano piazzato proprio su quella spiaggia alcune unità della 352ª Divisione tedesca, che era formata dai soldati meglio addestrati presenti nello schieramento tedesco sulle coste della Normandia. Le posizioni trincerate della 352ª (43 fortini con cannoni da 75mm ed altri pezzi d’artiglieria, 18 pezzi anticarro, 6 mortai, 35 lanciarazzi, 85 nidi di mitragliatrice) erano poste sulle ripide colline che sovrastavano la spiaggia e la prendevano d’infilata avendo subìto solo leggeri danni dal bombardamento aeronavale d’appoggio allo sbarco (nonostante fosse durato dalle 5,30 alle 6,30, ora dello sbarco dei primi mezzi), così appena la prima ondata di fanti americani mise piede a terra venne travolta dal fuoco nemico. Le drammatiche registrazioni ufficiali affermano che “nel giro di dieci minuti dall’abbassamento delle rampe, la compagnia avanzata era divenuta inerte, senza guida e praticamente incapace di agire. Ogni ufficiale e sergente era stato ucciso o ferito … divenne una lotta per la sopravvivenza e il soccorso”. Soltanto nel primo pomeriggio, grazie al continuo afflusso dei rinforzi, alla correzione e maggior precisione del tiro dei cacciatorpediniere e al calo d’intensità della resistenza tedesca dopo ore ed ore di combattimento, le truppe americane riuscirono a raggrupparsi ed a procedere verso l’interno. 

La divisione, al calar della sera, aveva perso comunque oltre 3.000 uomini (tra morti, feriti e dispersi), 26 pezzi d’artiglieria e 50 carri armati erano stati distrutti, 50 mezzi da sbarco piccoli e 10 grandi erano stati affondati. Se le riserve della 352ª avessero effettuato un contrattacco notturno, per gli americani sarebbe stato un altro disastro, ma i battaglioni di riserva erano stati impegnati contro i Rangers alla Pointe du Hoc e i britannici che stavano avanzando dalla spiaggia Gold.

La vittoria

A mezzanotte del 6 giugno anche se gli obiettivi previsti da Montgomery non erano stati raggiunti, il Vallo Atlantico era stato sfondato su un fronte di circa cinquanta chilometri. Un ruolo determinante per la vittoria degli alleati lo giocò sicuramente l’effetto sorpresa, sia nella scelta del luogo (la Normandia invece che il Pas de Calais) che del giorno (il 6 giugno). Le avverse condizioni atmosferiche del 5 e 6 giugno indussero, per esempio, i tedeschi a non credere alla possibilità di uno sbarco in grande stile. Le pessime condizioni del tempo, che secondo i comandanti tedeschi avrebbero indotto gli Alleati a rinunciare allo sbarco nelle prime settimane di giugno, comportarono l’assenza dai rispettivi posti di comando di diversi generali importanti (Rommel era in licenza in Germania la mattina del 6 giugno, Dollmann era andato a Rennes per un’esercitazione di guerra), con la conseguenza che nel D-Day scelte importanti vennero ritardate per mancanza di chiarezza e di decisione. La dispersione dei paracadutisti statunitensi (causata da errori e difficoltà tecniche) paradossalmente comportò un ulteriore vantaggio per gli Alleati, in quanto aggiunse confusione nei comandi tedeschi, che ricevevano rapporti che indicavano la presenza di truppe paracadutiste in tutta la Normandia settentrionale. L’opera del controspionaggio britannico, che riuscì a “convincere” le spie tedesche che quella in Normandia fosse una colossale operazione diversiva e l’accuratezza dell’Operazione Fortitude fecero il resto. Lo stesso Hitler ancora il 9 giugno credeva che il teatro delle operazioni principali sarebbe stato il Pas de Calais, avendo prestato credito al messaggio inviato dalla celebre spia Arabel (“Garbo” per i britannici). Di conseguenza, la potente 15ª Armata fu mantenuta a Calais e non diede appoggio alla 7ª Armata in grave difficoltà.

Le perdite

Il prezzo dell’Operazione “Overlord” del 6 giugno fu di circa 10.300 vittime (2.500 morti) per gli Alleati: 6.600 americani (di cui 1.465 morti, 3.184 feriti, 1.928 dispersi e 26 prigionieri), circa 2.750 britannici, quasi 1.000 canadesi (di cui 359 morti). Ricerche più recenti e accurate sulle singole vittime del D-Day hanno alzato il totale dei morti, portandolo a circa 4.400 fra gli Alleati (2.500 morti americani e 1.900 morti fra britannici e canadesi). Per quanto riguarda le 6.600 perdite americane, almeno 2.500 (238 morti accertati) furono quelle delle due divisioni aviotrasportate. Le vittime sulla spiaggia “Utah” furono circa 200, compresi 60 dispersi. La maggior parte delle perdite americane (circa 4.000), quindi, venne sofferta dalla 1ª e dalla 29ª Divisione, impegnate su “Omaha Beach”, da allora soprannominata “Bloody Omaha” (“La sanguinosa Omaha”). I britannici persero circa 1.280 soldati sulle spiagge dell’invasione: 410 uomini sulla spiaggia “Gold”, circa 240 soldati del Commando numero 48 a Juno Beach e circa 630 uomini su Sword. Questa stima, però, non tiene conto delle vittime dei combattimenti del D-Day una volta che le truppe britanniche penetrarono nell’entroterra. Circa 1.400 vittime (600 uccisi o feriti durante il D-Day, 800 dispersi) soffrì invece la 6ª Divisione Aviotrasportata. 95 furono le vittime tra i piloti di alianti. I canadesi su “Juno Beach” persero quasi 1.000 uomini (359 morti, 574 feriti e 47 prigionieri). Nonostante il prezzo elevato in vittime umane, Eisenhower e Montgomery in cuor loro avevano temuto perdite molto più pesanti. Il numero totale delle perdite tedesche non è conosciuto, ma si stima sia stato tra i 4.000 ed i 9.000 uomini.

 

 

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