Ilva, niente più domande

Licenziato il noto giornalista tarantino Luigi Abbate, chiese a Riva cosa pensasse dei dati sui tumori e gli fu strappato il microfono da Girolamo Archinà

TARANTO – Luigi Abbate ha appreso di non essere più in servizio a partire da agosto, solo pochissimi giorni prima. La mattina del 26 luglio per essere precisi, con un telegramma dopo anni di servizi televisivi, di conduzioni e di domande scomode (forse a volte troppo si urla più che sussurrare per strada a Taranto) per Blustar Tv. Luigi Abbate è un giornalista molto noto a Taranto e fu il protagonista di un famosissimo chiaro tentativo di censura che per giorni ha inondato le bacheche dei social media.


Nel novembre 2009, infatti, Abbate durante una conferenza stampa chiese all’allora proprietario dell’Ilva, Emilio Riva, cosa ne pensasse delle statistiche dei morti di tumore a Taranto e dopo essersi sentito rispondere dallo stesso Riva che i morti “se li erano inventati” si è visto anche sottrarre il microfono dall’allora responsabile per i Rapporti Istituzionali dell’ilva, Girolamo Archinà.  Il video sopracitato è stato diffuso, però, solo nel 2013 dal Fatto Quotidiano che lo pubblicò assieme ad una telefonata intercettata dalla magistratura in cui Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, si complimentava con Archinà per il suo “scatto felino” e definiva Abbate “faccia di provocatore”.

Per Vendola e il suo partito fu l’ultimo ko dal quale SEL, effettivamente, non si sarebbe mai più ripresa, Abbate, invece, continuò onestamente e coerentemente il suo lavoro di giornalista non iscritto a nessun libro paga.  

In realtà, ufficialmente il licenziamento di Luigi Abbate viene giustificato dalle difficoltà economiche in cui verte l’emittente tarantina, difficoltà, però, che come riportato anche dal Fatto Quotidiano hanno una sola, beffarda, motivazione: “L’ilva ha chiuso i rubinetti, cancellando lo stanziamento annuale di 100 mila euro in favore dell’emittente”. Mancate entrate pubblicitarie, dunque, e una sentenza che prevedeva il rientro in servizio di una collega messa in mobilità precedentemente che aveva fatto ricorso. La sentenza imponeva a Blustar TV di reintegrare la giornalista e dava la facoltà (non l’obbligo) di licenziarne un altro. Abbate crede fermamente che questo sia stato solo un pretesto per far fuori un giornalista scomodo e inviso a molti esponenti della classe politica tarantina dopo gli scontri con questi, in particolare col deputato Pelillo, esponente del PD, nel talk show politico locale, Polifemo a seguito dello spazio fornito da Abbate ad esponenti del movimento ambientalista. Assostampa Puglia e l’Ordine dei giornalisti hanno espresso solidarietà ad Abbate, assieme al consigliere comunale Angelo Bonelli dei Verdi che ha sottolineato la valenza politica del licenziamento, e a tutta la galassia ambientalista (e oltre che ambientalista, è bene dirlo, dissidente) tarantina, tra cui Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, e Antonia Battaglia che ha fatto partire una petizione a favore del giornalista (https://www.change.org/it/petizioni/odg-ridate-il-microfono-a-luigi-abbate) e ne ha scritto su MicroMega. La petizione ha raggiunto in pochi giorni quasi 2000 adesioni, alcune delle quali raccolte anche durante il sit in svoltosi alcuni giorni fa promosso da varie sigle, dai Verdi, al circolo PRC “Peppino Impastato” al Comitato di quartiere Tamburi, oltre che PeaceLink e il comitato Taranto Respira. Il licenziamento di Luigi Abbate, ad ogni modo, arriva in un momento molto particolare per la città di Taranto e per l’intera vicenda ILVA. Il primo cittadino di Taranto, Ippazio Stefàno, è, secondo la classifica stilata dal Sole24ore, il sindaco meno amato d’Italia, dunque, evidenti danni di immagine. Inoltre per la vicenda ILVA si parlava del coinvolgimento di Arcelor Mittal, non proprio una multinazionale nota per acquisire le siderurgiche europee per metterle a norma, e nel frattempo Taranto deve vivere una nuova resistenza attiva contro il progetto Tempa Rossa promosso da ENI. Insomma, i tarantini (e il loro ecosistema) potranno essere tramutati in tante Kengah, o, nel caso, affidare la loro salute a una multinazionale fondata più che altro sulla spregiudicatezza, però, una cosa non potranno farla più: le domande.

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