Il picconatore se ne va e con lui i segreti di un pezzo di Stato

ROMA – Cossiga ha rappresentato un pezzo di storia della Repubblica italiana e con lui se ne vanno i troppi segreti che l’hanno contrassegnata. Senza dubbio i due episodi ancora avvolti da molti punti oscuri restano Gladio e la morte di Aldo Moro.

Cossiga, definito un presidenzialista puro, una volta entrato ufficialmente nei palazzi del potere si mosse con estrema abilità, ricoprendo diverse cariche istituzionali che lo porteranno alla conoscenza di Gladio, la formazione para militare italiana appartenente alla rete Stay Behind, creata ad hoc dalla Cia e presente in tutti i paesi europei che avevano aderito al Patto Atlantico, per contrastare un’ipotetica invasione della Russia.

Gladio prende il nome dalla base segreta di Gladio di Capomarrargiu, dove carabinieri, ex parà, ma anche ex repubblichini si addestravano. In un elenco rinvenuto negli uffici della Cia romana apparivano ben duemila nomi di persone che si dichiararono anticomunisti pronti a compiere azioni terroristiche in questo gruppo.

Ma non solo. Siamo in piena guerra fredda e secondo quanto scoperto dall’indagine del giudice veneziano Felice Casson, Gladio non operava solo con azioni mirate a prevenire un’entrata in guerra tra occidente e blocco comunista, ma soprattutto aveva l’obiettivo di mantenere favorevole un certo equilibrio politico nei paesi firmatari del Patto Atlantico. Insomma una sorta di struttura dello Stato parallelo rispetto a quella ufficiale che operava con uomini e mezzi dei servizi segreti italiani e che sarebbe stata pronta ad entrare in azione per scongiurare l’avanzata comunista.

Questo fu reso possibile grazie anche al Sifar, Servizio informazioni Difesa, istituito tra l’altro nel 1949 senza nessun dibattito parlamentare e coordinata dal 1955 proprio da un amico di Cossiga, il generale De Lorenzo, il quale s’impegnò a programmare azioni di infiltrazione assieme ai servizi americani. D’altra parte il nemico non era solo rappresentato dall’imponente potenza sovietica, ma era anche dentro lo Stato, tra i suoi cittadini che politicamente simpatizzavano per una certa sinistra.

In quegli anni il Partito Comunista godeva, infatti, di un largo consenso popolare, tanto che oltre 155 mila persone, tra esponenti della sinistra, sindacalisti e operai furono segretamente schedati. Ma andando a ritroso nel tempo il Sifar sempre nel 1955 creò anche il “Piano solo”, un progetto che prevedeva un colpo di stato in caso la politica della sinistra, ritenuta troppo progressista, avesse avuto il sopravvento.

Quando il senatore Cossiga approdò alla Camera dei Deputati nel 66 il Sifar era stato sciolto un anno prima e al suo posto c’era il SID, Servizio Informazioni Difesa, che di fatto mantenne gli stessi uomini e le stesse strutture sotto il comando dell’ammiraglio Eugenio Henke. Esattamente tre anni prima della strage di Piazza Fontana, dove una bomba collocata nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura provocò 17 morti e 88 feriti il 12 dicembre del 1969 e otto anni prima della Strage della Loggia dove morirono 8 persone e 102 rimasero ferite. Era il 28 maggio del 1974 ed erano i primi atti criminali di quella che fu successivamente chiamata la strategia della tensione, dove ancora oggi aleggia il coinvolgimento dei servizi segreti.

Qualche anno più tardi Cossiga, diventato presidente della Repubblica disse: “Le stragi fanno parte del periodo della guerra fredda. Ora che il mondo è cambiato, di quelle stragi non parliamo più…”. Parole che in qualche modo lasciano presagire un reale coinvolgimento dei servizi per impedire l’ascesa delle forze comuniste, che avrebbero provocato una rottura diplomatica con l’alleato americano.

Nella riforma dei servizi segreti lo zampino di Cossiga

Ma la vera riforma dei servizi segreti arrivò proprio con la regia di Cossiga nel 1977, quando ricopriva la carica di ministro dell’Interno, la quale prevedeva per la prima volta che il responsabile dell’attività segreta fosse il Presidente del Consiglio, sostenuto da un consiglio interministeriale, il Cesis. I servizi furono all’epoca nuovamente sdoppiati in Sismi, Servizio d’informazioni per la sicurezza Militare, che restò una struttura prettamente militare e quella civile del Sisde, Servizio d’informazioni per la sicurezza democratica. Quello che successe all’interno di queste strutture, specialmente quando si parla di stragi non fu mai chiarito.

Ad oggi restano ancora avvolti dal mistero quei 55 giorni di prigionia del leader della DC Aldo Moro. Ed ecco che ancora una volta rispunta il nome di Francesco Cossiga, che nel maggio del 1978 era ministro dell’Interno e che istituì il Comitato di crisi durante i giorni del sequestro. Chiamò vari esperti, tra cui Steve Pieczenick, del dipartimento di Stato americano, sul quale non disse mai nulla sulla sua attività di quei drammatici giorni. Solo 12 anni più tardi vennero alla luce i nomi dei componenti del comitato di crisi: tutti avevano aderito alla Loggia P2 di Licio Gelli. Insomma ancora l’ombra di depistaggi, d’inquinamento delle indagini sotto il cappello dei servizi segreti e dei piduisti.

Il 27 giugno del 1980 è la volta della strage di Ustica, il disastro aereo del DC-9 dell’Itavia, in cui persero la vita 81 persone nel cielo tra le isole di Ustica e Ponza e che portò successivamente alla condanna per depistaggio alcuni uomini del Sismi, o meglio dell’occulto Supersismi. A distanza di 30 anni Cossiga il presidente emerito svelò in un’intervista che l’allora capo del Sismi gli riferì che fu un missile ad abbattere il Dc9 Itavia sulle acque di Ustica, lanciato da un aereo francese per colpire un aereo libico con a bordo Gheddafi. E poi aggiunse “Credo però che non si saprà mai nulla di più . La Francia sa mantenere un segreto e si è sempre rifiutata di rispondere alle nostre domande. L’altro Stato coinvolto è l’ex Unione Sovietica”. Ma dai francesi non arrivò mai nessuna conferma su quanto dichiarato da Cossiga.

Il 2 agosto del 1980 continua la mattanza, con un’altra strage in cui tutt’oggi non si conoscono i veri mandanti. E’ quella della Stazione di Bologna che provocò la morte di 85 persone e 200 feriti. Nel 2008 l’onorevole Cossiga rilasciò un’intervista al Corriere della Sera in cui parlò a favore della Mambro e di Fioravanti, certo della loro innocenza: «Lo dico perché di terrorismo me ne intendo – disse Cossiga -. La strage di Bologna è un incidente accaduto agli amici della “resistenza palestinese” che, autorizzata dal “lodo Moro” a fare in Italia quel che voleva purché non contro il nostro Paese, si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo. Quanto agli innocenti condannati, in Italia i magistrati, salvo qualcuno, non sono mai stati eroi. E nella rossa Bologna la strage doveva essere fascista. In un primo tempo, gli imputati vennero assolti. Seguirono le manifestazioni politiche, e le sentenze politiche».
Una verità o un altro depistaggio? Risposte non ne esistono al momento. La pista delle indagini portano ancora una volta diretti ai servizi segreti deviati e del venerabile capo della loggia P2, che stando alle testimonianze di Tommaso Masci, portiere dell’albergo romano Excelsior dove Licio Gelli era cliente fisso a metà degli anni ’70 spunta la frequentazione proprio di Cossiga.

Tuttavia nella strage bolognese l’unica certezza per i magistrati è sempre stata chiara fin dall’inizio delle indagini: si è voluto impedire con ogni mezzo che si arrivasse alla fine dell’intricato processo.

Nel 1990 il Tg1 trasmise un intervista fatta da Ennio Remondino a due agenti della Cia, Richard Brenneke e Ibrahim Razin – quest’ultimo fu supervisore della Gladio europea-, che rivelarono i legami e i finanziamenti tra i servizi americani e la Loggia P2, nonchè i traffici di denaro e di armi. Una struttura verosimilmente riconducibile a quella di Gladio. L’episodio fece andare su tutte le furie il presidente Cossiga, tanto che il direttore del telegiornale Nuccio Fava e l’autore dell’inchiesta Remondino furono rimossi dal loro incarico in Rai. Coincidenze? Qualche mese più tardi Cossiga apostrofa un giovane Pm, il giudice Rosario Livatino, definendolo il “giudice ragazzino“. Il magistrato, che aveva indagato nella Tangentopoli siciliana, venne ucciso il 21 settembre del 1990 mentre si recava al lavoro, senza scorta. “E…che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso, ritiene di dover esercvitare l’azione penale a dritto e rovescio come gli pare e piace, senza rispondere a nessuno”, disse Cossiga.

I trucchi per far passare la legge Mammì
Bisogna dire che anche Cossiga contribuì a sanare definitivamente il pericolo di oscuramento delle reti della Fininvest quando sedeva nel banco della presidenza del Senato.
Il primo febbraio del 1990 si votò il decreto Berlusconi sulle televisioni, poi convertito in legge. In un primo momento il decreto non fu approvato. Tutto si giocò sul filo dei voti decisivi di 37 deputati missini. Il testo passò allora in Commissione e arrivò in aula. Questa volta Cossiga giocò d’astuzia con i minuti contati e contingentò minuziosamente i tempi degli interventi per evitare l’ostruzionismo dell’opposizione, in modo da far passare prima della mezzanotte il decreto fortemente voluto dall’amico del magnate di Arcore, Bettino Craxi.

Inizia il periodo delle picconate
L’8 novembre del 1990 furono le rivelazioni fatte da un pentito che sta scontando l’ergastolo, Vincenzo Vinciguerra appartenete a Ordine Nuovo che parlò delle infiltrazioni dei servizi segreti a far esplodere il caso Gladio. Il giudice Felice Casson chiese la disponibilità del presidente della Repubblica Francesco Cossiga a testimoniare in relazione al procedimento penale in corso, sulla strage di Peteano e su “altri fatti eversivi dell’ordine costituzionale”. Ma Cossiga reagì violentemente e si difese con impeto: “Io non ho nulla da nascondere” disse. Da non dimenticare che la Nato pose il segreto di stato internazionale sull’attività di Gladio.

Cossiga minacciò di autosospendersi e a quel punto per evitare una crisi istituzionale Andreotti espresse al Presidente la solidarietà del governo, confermando di fronte alla Camera la piena legittimità di Gladio. “Erano patrioti quelli della Gladio, brava gente” precisò Cossiga che ormai aveva dato il via a esternazioni violente che i media ben presto battezzeranno come picconate e per le quali il Pds e le forze di sinistra chiesero addirittura l’impeachment, la messa in stato di accusa, mossa da Achille Occhetto e che Giorgio Napolitano, allora esponente dell’area dei “Miglioristi”, votò contro.

Fu davanti alla Commissione stragi che Cossiga ammise che l’omicidio dei carabinieri a Peteano segnò l’inizio di quella che fu battezzata come la strategia della tensione. Il 26 novembre 1991 il presidente emerito si autodenunciò chiedendo che gli fosse contestato il reato di cospirazione politica mediante associazione in riferimento alla vicenda Gladio e il 23 gennaio del 1992 con una lettera, annunciò le sue dimissioni dalla DC e il 2 febbraio 1992 firmò il decreto di scioglimento delle Camere esattamente 10 settimane in anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato, per evitare che l’impeachment avesse il suo corso. E l’8 luglio del 1994 il comitato parlamentare ritenne che le accuse formulate nei confronti di Cossiga erano infondate, e la Procura di Roma chiese l’archiviazione che fu accolta dal tribunale dei ministri.

Cossiga uscì dalla scena politica, ma solo per un po’, per poi rompere violentemente il silenzio, proprio in piena epoca di Tangentopoli: “E’ la Dc il nemico che ha tradito, incapace di modificare la sua arroganza, allo sbando. I dirigenti DC la gente li prenderà a sassate per la strada. Io non li ho buttati giù dalle scale, ma la gente non avrà i miei scrupoli . DC da lapidare. De Mita è il meglio. Forlani è un ipocrita: non mente, lui, nasconde la verità”. Vere piccontae, come le definirono e che Cossiga automaticamente rigettava al mittente: “Io dico sempre quello che penso”.

La morte di Giorgiana Masi
Ma la voce di Cossiga si è fatta sentire anche qualche anno più tardi, esattamente nel 2008 in piena mobilitazione degli studenti contro la riforma Gelmini. Siamo all’epoca dell’Onda studentesca e il 23 ottobre dello stesso anno in un’intervista al Quotidiano Nazionale, Cossiga propose al Ministro dell’Interno Roberto Maroni la sua personale soluzione per contenere il dissenso universitario nei confronti della legge 133/2008: un modo per evitare di chiamare in causa la polizia, ma screditare il movimento studentesco infiltrando agenti provocatori, e solo allora, dopo i prevedibili disordini, “le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale”.

Nel pronunciare queste gravissime affermazioni Cossiga volle sostenere che il terrorismo degli anni ’70 era partito proprio dalle università, e confermò di avere già attuato una strategia simile quando egli stesso era stato Ministro dell’Interno. Insomma di nuovo spuntano i cosiddetti “infiltrati”. Tuttavia quello che disse Cossiga fece andare su tutte le furie le forze politiche della sinistra, che in seguito chiesero di riaprire l’inchiesta sulla morte di Giorgiana Masi, uccisa in circostanze non ancora chiarite durante una manifestazione nel 12 maggio 1977, periodo nel quale lo stesso Cossiga all’epoca ministro dell’Interno usò il pugno di ferro contro i manifestanti, tanto che il suo nome veniva scritto sui muri con la “K”, per ricordare le due esse runiche, come quelle delle “SS” naziste.

In sintesi ancora oggi le domande sui tanti episodi che hanno segnato la storia dell’Italia rimangono. Poteri occulti, condizionati sicuramente da una politica che favorisse l’assenso della potenza americana da sempre in prima linea contro l’invisibile nemico comunista che lo stesso Francesco Cossiga in Italia ha combattuto con estrema determinazione. Le vie occulte del potere sono proprio infinite e avvolte da misteri impenetrabili che nel tempo non si sono scalfiti.

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