Roma aspetta ancora il Museo della Shoah, Napolitano difende il valore della pace

ROMA – «La grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del 16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico. Contemporaneamente altri duecento militari si distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime.

Quando il gigantesco rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani. Due giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz. Solo 15 di loro sono tornati alla fine del conflitto: 14 uomini e una donna. Tutti gli altri 1066 sono morti in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.» (F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma).

Il ricordo della deportazione degli ebrei di Roma del 16 ottobre 1943 deve «consentire alle giovani generazioni di apprezzare pienamente il valore dell’Europa di pace in cui hanno il privilegio di vivere». Lo afferma il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano nel messaggio inviato in occasione dell’iniziativa “La memoria e l’immagine: 16 ottobre 1943. In ricordo di Tullia Zevi”, nella ricorrenza della deportazione, che si è tenuta a Palazzo Giustiniani, alla presenza del presidente del Senato. «Ricordare la razzia nazista nell’antico ghetto di Roma che portò, con la complicità delle autorità fasciste, alla deportazione di più di duemila ebrei, pochissimi di loro sopravvissuti all’orrore della Shoah – sottolinea Napolitano , vuol dire riportare alla mente gli odi e i conflitti del Novecento e consentire alle giovani generazioni di apprezzare quindi pienamente il valore di quell’Europa di pace in cui hanno il privilegio di vivere. Toccherà a loro – conclude il Presidente della Repubblica – completare la costruzione delle istituzioni europee, esempio di civiltà a tutti i popoli».
«L’antipatia per la diversità, l’odio razziale, la xenofobia, avvelenano l’aria e turbano le coscienze, determinando a volte episodi di violenza inaccettabile. Occorre pertanto conoscere la storia, conoscere il passato, senza il quale non esiste né presente né futuro- ha aggiunto il presidente del Senato Renato Schifani intervenendo all’incontro “La memoria e l’immagine, 16 ottobre 1943 così vicino, così lontano” sul giorno della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma, promosso dall’Osservatorio della fotografia, con l’assessorato scuola della Provincia di Roma in collaborazione con il Senato. Parlando agli studenti romani detto che «la memoria e l’immagine sono fondamentali per perpetuare il ricordo di ciò che è stato ed evitare che si ripeta. Ricordare – ha detto Schifani – non significa solamente conservare la memoria, ricordare è anche non nascondere la verità, non fare finta di non capire, di non sapere, di non sentire. Importante è l’intuizione di Gunter Demning, quella delle “pietre d’inciampo”. A noi tutti il compito di perpetuare la memoria con i fatti allontanando gli spettri di un passato che è stato fonte di sofferenze con l’impegno di operare per un futuro fondato sulla pace, sull’accettazione di ogni diversità e credo, per una vera convivenza democratica».

La sede del museo della Shoah di Roma sarà a Villa Torlonia che oltre a essere stata, durante il Ventennio, residenza di Benito Mussolini, l’area ha un particolare valore in quanto vi si trova una delle cinque necropoli ebraiche, un complesso di catacombe risalenti al terzo e quarto secolo, testimonianza della presenza a Roma della più antica comunità ebraica d’Europa. Il museo sarà un laboratorio di studio e di ricerca per studenti e adulti: al suo interno sarà realizzato un percorso costruito attorno a fonti di diversa origine come oggetti e documenti originali, informazioni storiche, filmati d’epoca, plastici e grafici. Il progetto del Museo della Shoah è nato nel 2006 con l’amministrazione Veltroni e doveva essere inaugurato nel 2008, ma questioni burocratiche e le elezioni amministrative che hanno portato al cambio della giunta comunale ne hanno ritardato la realizzazione. «Io non so quando partiranno i lavori del museo, ma la preparazione non è solo quella di un percorso espositivo, ma delle attività, e il primo compito è creare uno staff». Lo ha detto il direttore del museo della Shoah di Roma Marcello Pezzetti da Cracovia dove ha accompagnato i giovani romani nel viaggio della memoria ad Auschwitz. «Adesso – ha spiegato – ho undici persone, tutte giovani, tutte trentenni e di altissima qualità. Abbiamo due tedeschi, poi persone di Roma e di fuori Roma. Metà sono ebrei e metà no. Sono storici o archivisti». Pezzetti ha spiegato di procedere su più fronti, come la ricerca archivistica, la preparazione dei viaggi, la formazione degli insegnanti in collaborazione con gli enti locali coinvolgendo anche insigni studiosi internazionali della Shoah. «Il 27 gennaio – ha proseguito – inaugureremo la nostra quarta mostra, questa volta dedicata ai ghetti. Purtroppo lo staff è ancora tutto part-time, ma costituisce già lo zoccolo duro su cui verrà creato lo staff del Museo, che dovrà avere circa una ventina di persone che lavorano fisse sul territorio. Il Museo è un servizio – ha aggiunto Pezzetti – e dobbiamo cercare anche di creare posti di lavoro per dei giovani che sono bravi, meritano, e che non devono fuggire all’estero. Il Museo deve essere un centro di eccellenza e stiamo lavorando per questo. È ovvio – ha sottolineato – che appena partiranno i lavori poi bisogna mettercela tutta e va fatto in tre anni. Poi vedremo se sarà effettivamente a villa Torlonia o se si troveranno altri posti: non sta a me dirlo. Voglio comunque che lo staff si formi continuamente e che continui a studiare».

Scrive il presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma, Leone Pasermann: «Oggi i conflitti sono diversi, è diverso persino il razzismo e sono diverse le vittime. Ma la risposta, quella no. La risposta all’ignoranza, all’odio, alla violenza, all’intolleranza, alla xenofobia, al fanatismo, al terrorismo è la stessa che poteva essere data settanta anni fa, ma che non fu data. Questa risposta io la trovo nella solidarietà, nella cultura della vita, nel rispetto dei diritti umani.»

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe