Poteri e accelerazioni. Che cosa accade nell’Italia dei misteri?

ROMA – Tira una brutta aria. Ma brutta assai. I segnali che stia succedendo qualcosa di molto grave in questo Paese sono evidenti e il rischio che salti il banco – la tenuta sociale e democratica – è davanti agli occhi di tutti quelli che vogliano vedere. E non sto parlando della crisi dell’Euro e della dissoluzione del patto non scritto di solidarietà fra gli stati membri della Ue.

C’è di più, molto di più e molto più allarmante.
Partiamo dal Vaticano. Questo vorticare di carte, dossier, memorandum, maggiordomi, cardinali ambiziosi, conti segreti e conti palesi, più che un segnale che si stia scoperchiando il pentolone dello Ior e delle relazioni pericolose del Vaticano con alcuni poteri innominabili, giorno dopo giorno sembrano dimostrare esattamente il contrario. E’ evidente che siamo davanti a una resa dei conti interna al Vaticano, ma che questa guerra fratricida porti a una nuova trasparenza, allo scioglimento di certi patti innominabili, è tutto da vedere. Si fa finta di cambiare tutto per non cambiare niente? Probabile. Anzi, i fabbricatori di nuovi e più robusti coperchi sono all’opera. Con l’aiuto di tanta buona stampa e delle banche che quella stampa finanziano. Cosa c’entra il Vaticano con l’Italia? Tanto. Anzi, troppo. Perché quei rapporti e quegli intrecci all’ombra dello Ior sono uno dei punti chiavi per capire molto della storia e dei misteri della Repubblica e per definire quali siano gli assetti attuali di certi poteri che non si sono messi mai da parte nel nostro Paese.

Poi c’è la cosiddetta trattativa Stato e Mafia. “Cosiddetta” non perché non ci sia stata. Anzi. Probabile ce ne siano state ben più di una, e avviate e consolidate prima del ’92, e che solo nella fase finale, e non totalmente, siano andate a convergere. Quello che allarma di più degli ex ministri indagati e delle nuove indagini in corso, è quella telefonata al Quirinale da parte dell’ex vicepresidente del Csm e presidente del Senato e ministro degli interni all’epoca della strage di Via D’Amelio Nicola Mancino. Una telefonata già irrituale e che diventa una polpetta avvelenata lanciata contro la Presidenza della Repubblica (ben più che alla persona di Napolitano) da parte di una persona che quasi certamente aveva già messo nel conto di essere indagata per falsa testimonianza proprio in relazione alle indagini sulla trattativa e che è molto improbabile che non avesse gli strumenti per capire di essere intercettato. Un attacco alle istituzioni attraverso quella telefonata e l’emersione di quella intercettazione?

E ancora, c’è quel rinvio della sentenza da parte della Cassazione sul processo Diaz che segue di poco tempo l’assoluzione dell’attuale sottosegretario De Gennaro. Un rinvio anche questo irrituale e poco comprensibile. Anche questi sono segnali, fino a prova contraria, di “compattamento” di determinati poteri attorno a figure e apparati dello Stato ben precisi e con un messaggio alla società e alla politica che definire inquietante è poco.

E ancora, se ci fosse da ricordarlo, quei due episodi ravvicinati: la strage di Brindisi e la gambizzazione del dirigente Ansaldo a Genova. Mi si dirà, da un lato sono stati gli anarchici e dall’altro un pazzo. Poi vai a vedere bene e gli anarchici quel tipo di azione e di capacità militare non l’hanno mai posseduta e messa in atto, e a Brindisi ancora si parla di complici e di un “mandante/commitente” e le ombre su quella strage rimangono in gran parte ancora da dissipare.
E poi c’è la politica. E qui il quadro si fa disastroso. E’ ovvio che la dissoluzione del patto di stabilità fra poteri palesi e non in questo paese si sia messo in movimento con la caduta dell’elemento equilibratore, Silvio Berlusconi. Ma la risposta del governo Monti/Bocconiani è disastrosa. Anche perché il professore è riuscito a deludere tutti, poteri forti compresi come da lui stesso ammesso candidamente. A dargli una mano, poi, alcuni ministri del suo esecutivo come la Fornero che sembrano più intenzionati a far scoppiare il conflitto sociale che affrontare i problemi legati alla crisi, la crescita e il lavoro. Inoltre la questione morale e l’incapacità di assumersi le responsabilità collettive e personali da parte della classe politica nel suo insieme davanti alla crisi e i sacrifici chiesti agli italiani ha creato un fenomeno impressionante di disaffezione al voto (i livelli di astensionismo ormai sono evidenti) e ha dato spazio al populismo di Grillo (che ormai punta a diventare almeno nei sondaggi la prima forza politica) e al riorganizzarsi, in alcuni casi con ammiccamenti evidenti proprio verso Grillo, di organizzazioni politiche tutt’altro che democratiche come Forza Nuova e Casa Puond.

Questo il quadro. Che solo la società e la politica, ancor prima dei partiti e delle istituzioni, dovrebbero assimilare e affrontare.
La risposta dovrebbe essere a sinistra. Almeno questa dovrebbe essere la scelta più logica. Ma quale sinistra? Quella del Pd di Bersani in eterna crisi di identità e che non ha ancora superato l’eterno duello fra D’Alema e Veltroni e che ancora paga e continuerà a pagare il peccato originale di Penati e dell’incredibile vicenda BNL/Unipol e dei conti della Margherita? Oppure sarà il cartello elettorale di Sel (questo è, anche senza organizzazioni dichiarate) che si terrà in piedi solo fino a quando ci sarà Vendola a fare da catalizzatore e uomo simbolo?
Si, a sinistra bisognerebbe guardare. Non ragionando in termini di centro sinistra. Ma in termini di una sinistra che si riorganizzi, si dia regole nuove e trasparenza, tagli con i vecchi apparati senza però cadere nelle suggestioni opportunistiche di tanti “finti giovani” rottamatori. Una sinistra che riparti dai bisogni e dall’emergenza sociale, dalla questioni ambientale e della sostenibilità, della giustizia sociale e dell’equità vera. Smontando il professionismo di tanti mestieranti inamovibili. Solo con una sinistra di questo genere sarà possibile pensare a un centrosinistra poi. E con un clima come quello  descritto non è un’opportunità, ma una necessità assoluta.

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