Giustizia. Berlusconi prova a rompere le opposizioni. Ma (quasi) nessuno ci casca

ROMA – La riforma costituzionale della giustizia continua a dominare la scena politica italiana: Silvio Berlusconi apre alle opposizioni ben sapendo, però, che difficilmente l’invito al dialogo sarà raccolto. Eppure sul fronte avversario qualcosa si muove. Nel Terzo Polo devono aver sentito odore di bruciato e Casini, Fini e Rutelli non hanno abboccato all’amo lanciato dal Cavaliere che sperava di dividere i tre ‘soci’ che (per ora) procedono come un sol uomo. Nel Pd, invece, si registrano scosse di assestamento: Pier Luigi Bersani si dice poco propenso al dialogo, ma altri autorevoli esponenti (su tutti Anna Finocchiaro) lasciano uno spiraglio a cui il Pdl si aggrappa immediatamente. Inamovibile, invece, Antonio Di Pietro che bolla come «criminogena» la riforma. «Non comprendo le opposizioni che dicono ‘no’» al confronto, dice il Guardasigilli Angelino Alfano, lanciando la sua offerta ai democratici: «Se non condividete la nostra, ci facciano sapere la loro». Che Berlusconi però non creda fino in fondo alla possibilità di scrivere le nuove regole con l’opposizione lo dice chiaramente lo stesso ministro della Giustizia: «Il nostro obiettivo è quello di far coincidere il referendum con le prossime politiche», confida Alfano. Parole che sembrano indicare due cose: primo, che il Cavaliere, nonostante le aperture della Cei sulla possibilità di modifiche alla carta costituzionale, non crede che la riforma abbia qualche chance di ottenere i voti di 2/3 del Parlamento; secondo, che il premier sembra intenzionato a trasformare la prossima campagna elettorale in un maxi-referendum pro o contro se stesso, nella speranza di trascinare gli elettori all’approvazione della riforma. Ma sul fronte delle opposizione prevale la cautela.

L’asse fra Udc, Fil e Api non solo tiene, ma si consolida: l’idea è quella di andare a vedere le carte del premier, per rovesciare il tavolo in caso di bluff. Dopo le iniziali ‘sparatè di alcuni futuristi, Gianfranco Fini indica la rotta: «È una responsabilità definire le regole dello stare insieme non a colpi di maggioranza, ma cercando il confronto». Insomma, chiarisce Italo Bocchino, «Fli ha il dovere di dialogare», ma visto che l’interlocutore è Berlusconi i margini sono «assai stretti». Identica la posizione di Pier Ferdinando Casini: «Staremo al tavolo, ma – mette le mani avanti il leader centrista – con una giusta dose di diffidenza». Stessa identità di vedute che, paradossalmente, non si registra nel Pd con il risultato che con il passare delle ore la posizione del partito sembra ammorbidirsi. In mattina è Dario Franceschini a chiudere ogni ipotesi di confronto, parlando del progetto come di una «cinica truffa». Altrettanto tranchant Rosy Bindi secondo la quale si tratta di una «legge a favore dei potenti». Passano le ore e il segretario, Pier Luigi Bersani corregge il tiro, anche rispetto alle sue stesse dichiarazioni iniziali: la riforma non è certo la «priorità degli italiani», ma in Parlamento «si discute sempre». Ancora più ‘aperturistà Anna Finocchiaro che assicura: «Il Pd non si sottrarrà al confronto, mentre la ‘dalemiana’ Franca Chiaromonte arriva a chiedere che il partito »raccolga la sfida« del Cavaliere. Dichiarazioni che sembrano dettate dalla necessità dei Democratici di non appiattirsi sull’Idv, ma che non vengono colte, forse perchè non lette, da Fabrizio Cicchitto che plaude ad un confronto, pur »diffidente«, di Pier Ferdinando Casini, mentre condanna le »ridicole« richieste di D’Alema e Bersani.

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