Attacco alla Libia. La sinistra si spacca e i “pacifisti di principio” scendono in piazza

ROMA – Come sempre è accaduto quando l’aviazione dei Paesi occidentali varca le frontiere con il suo carico di bombe e missili, il popolo della pace italiano scende in piazza, “senza se e senza ma”. Sta accadendo anche ora, così come nella prima guerra contro Saddam Hussein (1991), poi con la spedizione alleata contro Milosevic (1999) ed infine con il secondo intervento occidentale in Iraq (2003). Ma la differenza rispetto al passato è notevole. Non tutta la sinistra e non tutti i suoi esponenti sono d’accordo.

Paolo Flores D’Arcais, ad esempio, in un intervento pubblicato da “Il Fatto”, ha rimarcato come il “pacifismo di principio” presenti ampie zone di illogicità. “Sarebbe davvero assurdo che l`opinione pubblica democratica condannasse ora gli interventi aerei che alla popolazione martoriata suonano come disperata speranza”. Il “pacifismo di principio”, scrive Flores, “si priva anche della possibilità di appoggiare la democrazia già esistente dove è minacciata o di sostenere una rivolta che provi ad instaurarla”. A dargli man forte, oggi, in un’intervista a “Repubblica” l’ex leader sessantottino tedesco Daniel Cohn-Bendit che è ancora più duro con i pacifisti: “I jet occidentali hanno fermato i panzer di Gheddafi che puntavano su Bengasi per un bagno di sangue”. Cohn- Bendit ricorda: “Madrid democratica fu lasciata sola contro Franco, la Legion Condor di Hitler e i reparti di Mussolini”. La realtà è che “chi vuol lasciare soli i rivoluzionari libici è con Gheddafi, non è neutrale”.

Ritornano alla memoria lacerti di storia, quando il dibattito europeo impose la domanda (era l’estate del 1939): “Morire per Danzica?”. La risposta fu quella che conosciamo e la Polonia fu invasa dai nazisti che in pochi giorni la smembrarono, dando il via alla soluzione finale contro gli ebrei dell’Est.

Ma i precedenti storici non sembrano scalfire le certezze dei “pacifisti di principio” che comunque hanno più di una ragione. Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, ad esempio, ha ragione quando asserisce che “l’Onu è rimasta inerme per due settimane, per svegliarsi all’improvviso sotto la spinta di Francia e Gran Bretagna, ansiose di sganciare le loro bombe sulla Libia”. I motivi della guerra, per Ferrero, vanno individuati nei ricchi giacimenti petroliferi del Paese e, in ogni caso, era necessario imporre le ragioni della diplomazia a quelle della forza. Già, vien da dire, ma diplomazia con chi? Con Gheddafi? Cioè con un dittatore sanguinario autore già dello sterminio di decine di migliaia di oppositori, sia in patria sia all’estero? Il mandante impunito della strage di Lockerbie?

Per Massimo Fini, editorialista de “Il Fatto” non ci sono dubbi: “Noi che non abbiamo baciato la mano a Gheddafi, che non abbiamo permesso ai suoi cavalli berberi di esibirsi alla caserma Salvo D’Acquisto e al dittatore di volteggiare liberamente per Roma avendo al seguito 500 troie, e che parteggiamo per i rivoltosi di Bengasi, siamo assolutamente contrari a qualsiasi intervento armato in Libia. Per ragioni di principio e perché questi interventi internazionali sono del tutto arbitrari. Dividono gli Stati in figli e figliastri”. Anche qui si fa fatica a comprendere fino in fondo la logica di questo ragionamento: siccome l’Occidente non è mai intervenuto in Paesi con gli stessi problemi (lo Yemen, ad esempio o nella Cecenia citata da Massimo Fini), allora non dovrebbe intervenire mai e per questa ragione lasciare massacrare i patrioti di Bengasi?

Ma con l’intervento occidentale in Libia le carte paiono del tutto mescolate e nascondono più di una furbizia. Ad esempio, come giudicare l’attuale contrarietà all’intervento militare di un Giuliano Ferrara, che fino all’altro ieri difendeva a spada tratta la spedizione in Iraq di George W. Bush? Certo, Ferrara non è personaggio attendibile e le sue posizioni sono quasi sempre ispirate dalle sue funzioni di megafono semovente del berlusconismo. Ma non è proprio quanto dovrebbero considerare i “pacifisti di principio” nelle loro argomentazioni, che cioè finiscono per trovarsi in plotoni di niente affatto disinteressati corifei del silenzio delle armi nel Paese del raìs del “c’eravamo tanto amati”?

Il “pacifismo di principio” ha questo difetto di origine: se applicato alla lettera risulta un aiuto insperato ai criminali di guerra. Adolf Hitler ne fu consapevole nel cruciale biennio 1938-39, come Saddam Hussein, Slobodan Milosevic e Muhammar Gheddafi. Purtroppo dietro l’onestà intellettuale di chi scende in piazza si intravedono quasi sempre le palle di cannone pronte a sterminare i civili e gli aneliti per la democrazia.

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