A Bruxelles si discute selle nomine e sulla crisi ucraina. Mogherini in lizza

BRUXELLES – Al vertice europeo si discute delle nomine, ma anche della crisi ucraina. Al momento sembra sia data per scontata la nomina  del ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, a nuovo Alto Rappresentante per la Politica estera comune, mentre è ancora incerto chi sarà  il successore di Herman Van Rompuy come prossimo presidente del Consiglio europeo: il candidato apparentemente più forte, il premier polacco Donald Tusk, del Ppe, non sembra avere ancora il sostegno di tutti gli altri leader.

Hollande, nel frattempo,  continua a puntare le sue carte sul primo ministro danese signora Helle Thorning-Schmidt, socialista, apprezzata anche dal premier britannico David Cameron e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Il problema maggiore che ha Tusk, a quanto pare, è che, pur conoscendo il tedesco, non parla né inglese né

francese, le due lingue di lavoro che permettono alla grande maggioranza dei responsabili politici europei di discutere e negoziare senza la mediazione degli interpreti. Sarebbe un handcap di poco rilievo se il premier polacco fosse candidato a fare il commissario Ue, ma per il presidente del Consiglio europeo è essenziale poter parlare senza mediazioni con tutti i leader Ue, e in particolare con quelli dei paesi più grandi; come sa bene il presidente uscente, il fiammingo e poliglotta Herman Van Rompuy.

L’eventuale nomina della danese Thornig-Schmidt, che parla inglese e francese, eliminerebbe il problema, ma lascerebbe fortemente insoddisfatti gli Stati membri dell’Europa centro orientale, che da tempo sono sottrappresentati ai vertici delle istituzioni europee. È vero che per l’elezione del presidente del Consiglio europeo è richiesta la maggioranza qualificata (come anche per l’Alto rappresentante), ma ai vertici Ue si tende a decidere in modo consensuale, e molto difficilmente si ricorre

al voto, anche se esiste il precedente recente (e inedito) della nomina del presidente della nuova Commissione, Jean-Claude Juncker, contro cui hanno votato Cameron e il collega ungherese Viktor Orban.   Una soluzione alternativa a Tusk, ma che darebbe comunque soddisfazione ai paesi dell’Est, potrebbe essere quella di nominare come presidente del Consiglio europeo uno dei due ex premier baltici che hanno lasciato da pochi mesi il governo, e che sono entrambi candidati per la nuova Commissione europea: il lettone Valdis Dombrovskis (al governo per cinque anni dal 2009), che tra l’altro è stato anche ministro delle Finanze ed europarlamentare, oppure l’estone Andrus Ansip (al governo per nove anni dal 2005). 

E se Dombrovskis appartiene alla famiglia politica del Ppe, come Tusk, Ansip ha il vantaggio di essere un liberale, e di poter dunque mettere a posto un’altra tessera del puzzle delle nomine, oltre a quella riguardante l’equilibrio geografico: i liberali, infatti, sono profondamente insoddisfatti per non essere stati ricompensati in alcun modo dell’appoggio fornito finora a Juncker, nel cui nuovo Esecutivo riscchiano di avere non più di tre commissari. Tanto che il capogruppo euroliberale, Guy Verhofstadt, minaccia di non votare la fiducia alla nuova Commissione, in ottobre.  

 Il problema si intreccia con quello della composizione della futura Commissione europea, che il presidente eletto, Jean-Claude Juncker, dovrà risolvere entro la metà di settembre. Se passasse la Thorning-Smith allo stato attuale, le donne indicate dai governi sono troppo poche (non più di sei), e sia Juncker che il Parlamento europeo si erano impegnati a non dare il via libera a una squadra con meno rappresentanti femminili dell’attuale Commissione (dove sono nove). Inoltre, sul piano politico, ci sono forti malumori da parte non solo dei liberali, ma anche dei Socialisti, che avrebbero molti meno commissari rispetto ai Popolari (nove contro 15). Malumori destinati a crescere con l’elezione, pressoché certa, del popolare spagnolo Luis De Guindos a presidente dell’Eurogruppo.  Un’eventuale elezione della Thorning-Smith alla presidenza del Consiglio europeo placherebbe i Socialisti e aumenterebbe la presenza femminile ai vertici Ue (anche se non nella Commissione), ma avrebbe un contraccolpo importante su Juncker, che dovrebbe allora concedere dei portafogli più «pesanti» ai commissari dei paesi dell’Europa centro orientale, per compensarli della mancata nomina di un loro candidato al posto di Van Rompuy.

Le attribuzioni dei portafogli del nuovo Esecutivo Ue, comunque, devono rispettare i criteri di competenza, e, ancora una volta, non sarà facile risolvere l’equazione. Prima di dare il suo voto di fiducia, il Parlamento europeo sottoporrà i singoli commissari designati a delle severe audizioni nelle commissioni europarlamentari competenti, e non è detto che tutti i candidati superino l’esame (come dimostra il precedente dell’italiano Rocco Buttiglione, 10 anni fa). Dopo essere riuscita a imporre il proprio candidato ai governi per guidare la Commissione, è difficile che ora l’Assemblea di Strasburgo lasci passare un Esecutivo squilibrato politicamente e in termini di genere.

Crisi ucraina senza ritorno

Intanto continua la discussione anche sulla crisi ucraina. Le sanzioni contro la Russia «saranno senza dubbio inasprite questa sera» in occasione del Consiglio europeo a Bruxelles. Lo ha annunciato il presidente francese, Francois Hollande.  «La Commissione europea dovrà lavorare all’innalzamento del loro livello», ha spiegato Hollande, che si è espresso sulla situazione in Ucraina al termine di una riunione all’Eliseo dei dirigenti socialdemocratici dei Paesi europei.

 Infatti, come ha detto  Il presidente della Commissione Europea, José Manuel Durao Barroso, si rischia di raggiungere un «punto di non ritorno» nella crisi ucraina, auspicando che i leader dell’Ue siano pronti ad adottare delle nuove sanzioni nei riguardi di Mosca. «Ci troviamo in una situazione drammatica, se l’escalation dovesse continuare potremmo ritrovarci in una situazione in cui venga raggiunto un punto di non ritorno» ha spiegato Barroso in una conferenza stampa congiunta a Bruxelles con il presidente ucraino, Petro Poroshenko.  Questi da parte sua ha ribadito di desiderare la pace, ma ha avvertito che la crisi è «troppo vicina alla linea di non ritorno»: «Oggi parliamo del destino dell’Ucraina, domani potrebbe esser quello della sicurezza e della stabilità in Europa».

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