Fuga di cervelli. A volte ritornano. Un caso nazionale, quello di Giuseppe Ateniese. L’intervista

ROMA – Ci sono uomini che partono ed uomini che tornano, cervelli in fuga ed altri che invece decidono che un atto di coraggio vale molto di più della conferma di uno stato di cose che depaupera il patrimonio scientifico-culturale italiano.

Una storia che è frutto di una consapevolezza e di una scelta precisa e che ha protagonista un calabrese, un cosentino per l’esattezza, Giuseppe Ateniese che dopo essersi formato a Salerno in informatica e svolto il dottorato a Genova ha deciso di partire con la sua valigia di algoritmi per gli Usa e diventare, a distanza di anni, professore associato presso l’Information Security Institute e il Dipartimento di Informatica della The Johns Hopkins University di Baltimora una delle università più prestigiose degli Stati Uniti. Da pochi mesi Ateniese ha deciso di ritornare in Italia e oggi è professore associato presso il Dipartimento di Informatica dell’Università La Sapienza di Roma dove dirige il Master in Sicurezza dei Sistemi e delle Reti.

Professore Ateniese il suo ritorno è diventato un caso nazionale. Perché mentre tanti cervelli fuggono lei ha scelto l’Italia?
Sono stato per molti anni all’estero e non solo in America, ma l’idea di ritornare l’ho sempre avuta. Mi piace fare ricerca in Italia e mi piace insegnare ai nostri ragazzi che sono combattivi e devono essere fortemente motivati nel non arrendersi. In Italia ci sono vere eccellenze e persone bravissime, mosse da passione e impegno che ottengono grandi risultati anche se qualche volta faticano a ottenere i riconoscimenti che meritano.

La sua esperienza le consente di confrontare il modo di fare ricerca in America ed in Italia. Come siamo messi?
La realtà del Dipartimento di Informatica alla Sapienza è di pura eccellenza dove si svolgono attività di ricerca molto avanzate. E non siamo certamente i soli.  Le realtà positive sono davvero tante. Si riesce a fare molto nonostante i mali dell’Italia e della situazione economica che taglia i fondi alla ricerca. Ma il tutto è molto lontano dalla realtà statunitense. In America la ricerca è considerata un business di cui beneficia anche la società. Da noi invece è vista come una attività “culturale”. Forse l’ideale è  nel mezzo e dovremmo puntare su quello. Però c’è molta resistenza e diffidenza nelle università italiane.

Per quale motivo?
Si parla sempre e solo del male dell’università ma è necessario anche fare un distinguo e far nascere una relazione di fiducia guardando a ciò che funziona davvero. Le aziende devono fidarsi e avere un’immagine positiva: se io fossi un imprenditore ci penserei bene prima di mettere a rischio dei fondi con attività di ricerca che non portino a nulla. Proprio per questo è necessario avviare un processo che vada in controtendenza.

In che modo?
Fare marketing e stimolare una ricerca Made in Italy che miri all’unicità. In questo l’azione politica sarebbe fondamentale, facilitando investimenti da parte dei privati come la legge promulgata di recente per incentivare le aziende ad investire in attività di ricerca deducendo i costi dalle tasse.  Non è un “beneficio per alcuni” ma lo è per tutta la nostra società.

L’ingresso del privato con il sostegno economico, non vincola, secondo lei, l’attività di ricerca dello scienziato?
Certo ma l’importante è che i risultati della ricerca siano utili a tutti. Per esempio, se un’azienda sostiene la ricerca per un nuovo algoritmo che ottimizzi le comunicazioni dei cellulari se ne avvantaggia (giustamente) l’azienda ma anche tutti noi. Si sviluppano così soluzioni nuove e si aprono nuovi mercati.

Il suo campo di azione è la sicurezza nel cloud computing. È la nuova sfida per il futuro?
Credo sia una scelta inevitabile e la vera prossima rivoluzione nel campo dell’informatica. Io mi occupo della sicurezza ed è chiaro che in un sistema aperto questo è il problema strategico. Tutto sarà accessibile da qualsiasi posto e con qualsiasi mezzo ma occorrerà garantire la riservatezza delle informazioni e dei dati sensibili. Con la crittografia oggi si possono fare tante cose, come garantire il controllo sui propri dati.

Dal virtuale al reale. Cosa le manca di Cosenza?
È la mia città e mi manca in quanto “casa” con i suoi profumi, colori e paesaggi. È una città proiettata in avanti anche se manca il lavoro, come in tutto il sud. Sarebbe un sogno poter sviluppare sistemi innovativi che diano a tanti giovani la possibilità di eccellere senza dover partire.

Un “cervello” che ritorna fa più rumore dei tanti che fuggono. Unica risorsa per la nuova Italia.

a

Giulia Fresca

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