Storie vere di gatti veri. Milù, la stupiTina innamorata della vita

Nella stessa casa in cui era serenamente vissuto Zazà detto Zizolino, arrivò Micetta, una gattina che fu subito portata dal veterinario per la sua prima visita medica e per il rilascio dell’apposito libretto sanitario (all’epoca non erano in uso i microchip, carta di identità dell’animale domestico al quale il “padrone” tenga: utilissimo per ritrovare il gatto o il cane che si sia allontanato da casa). 

E quando il veterinario chiese come si chiamasse quel batuffolo di tre colori, femminuccia di razza europea, fu “battezzata” all’istante con il nome ufficiale di Milù che fu scritto anche sul libretto delle vaccinazioni. Ma nessuno la chiamò così, perché appena a casa diventò subito Micetta tanto era piccola e aggraziata. 

E crescendo ebbe un vero soprannome: “la gatta stupitina” con la t di stupìta non la d di stùpida. Non era affatto stupida, anzi nei lunghi anni che visse in casa diventò una presenza importante della famiglia, ma aveva la specialità di stupirsi di ogni cosa: il volo di una farfalla, la fuga di una lucertola, il profumo di un fiore. Innamorata della vita, sapeva godersela.

  Si può dire che amasse anche la mondanità salottiera. Un pomeriggio di primavera fu giorno di visite: la nonna aveva invitato ad un the due o tre amiche di gioventù. In salotto le signore si erano sparse su divano e poltrone, dove erano affondate fra i cuscini senza intenzione di muoversi sino a fine incontro. 

Una poltrona era rimasta libera. Fra tintinnare di chicchere e piattini, la conversazione scorreva, i ricordi di gioventù venivano rievocati con malinconici accenti, non mancava qualche pettegolezzo, un pizzico di maldicenza d’antan che le signore si permettevano dato che nessun orecchio poteva ascoltarle. 

Poi d’un tratto il cuscino della poltrona sulla quale (per fortuna!) nessuno si era seduto prese a muoversi dotato di vita propria.  Ne saltò fuori il muso stupefatto di Micetta: occhi spalancati sui quattro volti segnati dalle rughe, mentre un oooh! di meraviglia accoglieva l’improvvisa apparizione. 

Era successo che la gatta si era sistemata sotto il cuscino alcune ore prima e si era addormentata. Quando era stata svegliata dal rumorio degli ospiti aveva sbirciato le persone e, temendo di essere di troppo, aveva preferito rimanere nascosta. 

Si può comunque dire che amasse anche la mondanità salottiera.  Si fece perdonare anni dopo acchiappando un topo piuttosto grosso e dopo avergli staccato la testa, per farne forse un trofeo, lo depose come un doveroso omaggio sullo zerbino della porta d’ingresso perché qualcuno lo trovasse e si ricredesse sulle sue capacità predatorie. 

 Milù-Micetta è rimasta zitella, non ha mai incontrato in vita sua un gatto maschio, ma sembrava non curarsene. Non era certo il tipo d’ andare in giro in cerca di avventure. 

Non era come la gatta di Trilussa, il poeta romano amante degli animali, che ne La razza, una delle sue tantepoesie dedicate ai gatti, ha scritto questi versi deliziosi: 

 “Mimì, la Gatta nera, ha partorito,

  Ha fatto sei micetti e tutti e sei

 Nun cianno a che fa’ gnente cor marito.

 E pensa fra de lei: – De chi saranno? 

Der gatto bianco che trovai sur tetto 

O der moretto che incontrai l’antr’anno? 

Ma, – dice – sia chi sia, 

So’ tutti usciti dalla panza mia…” 

Micetta se n’è andata vecchissima, di morte naturale. Era stupita anche negli ultimi istanti, forse meravigliata di morire. 

Ha avuto degna sepoltura in un angolo del giardino, sotto una mimosa che sapeva come fosse importante la sua ombra d’inverno e d’estate sull’estrema dimora degli animali domestici tanto amati da ogni generazione. 

Da “12 storie vere di gatti veri” di Sandro Marucci edizioni La Quercia 2024

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