Hai più di 70 anni? Agli anziani negate le cure oncologiche

Dilaga il fenomeno dell Ageism. Contro le discriminazioni il progetto Life Beyond limits  promuove la possibilità di cura indipendente dall’età, perché è dimostrato che le terapie sono efficaci anche nei più anziani

 

ROMA – Negli ultimi anni si è molto discusso di medicina di genere per garantire l’accesso delle donne a terapie e sperimentazioni, fino a vent’anni fa escluse completamente dalla ricerca scientifica. Se per il mondo femminile è stata attuata un’inversione di rotta, riportando l’attenzione della medicina sulla diversità biologica tra i due sessi, è invece ancora attuale la discriminazione in base all’età: un fenomeno che spinge ad escludere a priori i pazienti troppo anziani dai trattamenti disponibili e, a volte, anche dagli approfondimenti diagnostici. Questo fenomeno, poco noto, tanto che non esiste nemmeno un termine italiano per definirlo – si usa solo l’inglesismo ‘ageism’- rappresenta però un paradosso di fronte all’invecchiamento generale della popolazione mondiale previsto nei prossimi decenni: entro il 2030 un terzo delle persone avrà più di 65 anni.

 

E’ l’oncologia, con terapie che a volte, e spesso erroneamente, sono ritenute non tollerabili dai più anziani, uno dei reparti dove l’ageism trova terreno più fertile. Un altro paradosso: il 60% di tutte le forme tumorali si manifesta proprio nella terza età. Un esempio sono le sindromi mielodisplastiche , un gruppo di malattie del sangue pre-leucemiche (quando si aggravano possono svilupparsi in leucemia acuta) che si manifestano prevalentemente dopo i 70 anni, con un’incidenza in questa fascia di età di 12 volte superiore rispetto alla popolazione più giovane.

 

Una revisione condotta da eCancer Medical Science , che ha valutato l’impatto dell’ageism sugli standard diagnostici e terapeutici in un totale di 26 studi, ha messo in luce che solo la metà dei pazienti di età compresa tra i 71 e gli 80 anni riceve trattamenti all’avanguardia rispetto al numero di pazienti con meno di 40 anni che ne hanno, invece, accesso. Una discriminazione che si estende anche ai protocolli sperimentali: stando ai risultati raccolti nell’indagine, chi partecipa ha almeno 10 anni in meno rispetto all’età effettiva dei pazienti affetti da tumore ematologico fornendo, di conseguenza, dati non rappresentativi e limitati.

 

L’iniziativa Life Beyond Limits , nata dalla collaborazione tra associazioni per la tutela dei diritti dei pazienti onco-ematologici e supportata da Celgene Corporation, vuole sensibilizzare i medici e l’opinione pubblica sulle conseguenze dell’ageism.

 

Life Beyond Limits, gestita da un Comitato Direttivo di esperti nel campo delle Sindromi Mielodisplastiche (SMD), vuole identificare e rispondere alle ragioni per i quali i pazienti anziani affetti da SMD vengono trattati in modo meno aggressivo rispetto ai pazienti più giovani, educare e motivare i pazienti a lottare per la propria salute ma anche mobilitare la comunità delle SMD per migliorare i trattamenti per i pazienti più anziani affetti da tumore. Le mielodisplasie in Europa interessano prevalentemente pazienti con età media di 70 anni, ma pochissimi sono inclusi negli studi clinici per capire l’efficacia delle terapie.

 

Valeria Santini, professore associato di ematologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze, è l’unica italiana nel comitato direttivo del progetto internazionale Life Beyond Limits.

 

“L’ageism è l’equivalente del razzismo e sessismo – spiega la professoressa Santini a Osservatorio Malattie Rare – significa fare discriminazioni sulla base dell’età. E’ un problema profondo, radicato da molti anni. I pazienti oncologici più anziani sono pazienti fragili ma la loro valutazione non si basa solo sull’età anagrafica. Escludere a priori un paziente molto anziano dalle terapie è un errore di base. Un ruolo importante dovrebbero averlo i medici di famiglia. – continua Santini – Spesso accade che il paziente ultraottantenne sia scoraggiato dal fare ulteriori terapie proprio in questa prima visita e non viene nemmeno mandato dallo specialista. A torto, perché molti di questi pazienti possono essere trattati con le terapie oggi a disposizione anche per i più giovani. Sta aumentando il numero dei pazienti ultraottantenni, ma purtroppo esistono ancora realtà ospedaliere che attuano una sorta di selezione all’ingresso.”

 

“E’ vero – spiega – in alcuni casi non fare la terapia è la scelta più appropriata. E’ necessaria una valutazione geriatrica che con strumenti oggettivi aiuti a capire se il paziente molto anziano potrà beneficiare da terapie, a volte aggressive, oppure no. Le comorbilità (diabete avanzato, cardiomiopatia grave, insufficienza renale) possono essere motivo di esclusione delle terapie. Non è da trascurare il declino cognitivo del paziente e la presenza della rete sociale, considerando anche se l’anziano vive da solo oppure ha famigliari o una badante che possa aiutarlo a rispettare le visite e nell’aderenza alle terapie. Questi non sono aspetti da sottovalutare perché possono influire significativamente sull’efficacia delle terapie stesse.”

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito del progetto Life Beyond Limits  www.mdslifebeyondlimits.org .

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