Malattie croniche, il 70% delle famiglie non accede a programmi di supporto

ROMA – Sono oltre 14 milioni i malati cronici in Italia, circa il 24% degli assistiti dal Sistema Sanitario Nazionale e, secondo i dati Istat 2014, solo tre pazienti su dieci possono usufruire di programmi di supporto integrato.

Anche in termini di accesso alle terapie farmacologiche si registrano forti criticità, come dimostra il XIII° Rapporto sulle Cronicità di Cittadinanza Attiva che evidenzia come circa il 30% delle famiglie ha difficoltà di accesso ai farmaci.

“E’ necessario un cambiamento di paradigma che, per fortuna, anche se lentamente, si sta realizzando nel nostro Paese, ha sottolineato il Presidente di Federsanità Anci, Angelo Lino Del Favero. Occorre integrare prestazioni socio-sanitarie e sociali con le classiche prestazioni sanitarie, avere valutazioni che si basino anche sul grado di percezione del servizio da parte del “paziente – cliente” con un modello che possa trasferire all’esterno una serie di prestazioni, come per esempio sta avvenendo con le recenti riforme sanitarie in Toscana o in Lombardia che riflettono questo passaggio”.

E nei giorni scorsi a Roma, in occasione del convegno “Il paziente al Centro: Soluzioni innovative di Integrated Health Care per il miglioramento della qualità delle cure e la continuità assistenziale dei Centri Clinici” promosso da Domedica, presso la LUISS, ci si è focalizzati su quattro malattie croniche: artrite reumatoide, sclerosi multipla, fibrosi cistica e ipertensione polmonare che colpiscono in Italia, con numeri molto diversi tra loro, circa 500.000 persone ma che sono accomunate dalla necessità di cure che, se erogate attraverso programmi di home care migliorano la qualità di vita, l’adesione alla terapia e riducono i costi per il Servizio Sanitario Nazionale.

Il poker di patologie scelto evidenzia peraltro il bisogno che anche il nostro Paese si attrezzi per uscire da un modello ospedale centrico che rischia di collassare e si creino, a livello regionale e locale percorsi virtuosi ospedale-casa-ospedale. Di fronte a questi dati e alla necessità di far quadrare i conti della spesa sanitaria, i programmi di supporto al paziente con patologie croniche, sul territorio, sono una leva sempre più preziosa da utilizzare da parte degli Assessorati Regionali alla Salute, dei Centri Clinici, delle ASL e degli stessi clinici. “I nostri Programmi di Supporto ai pazienti – spiega Maurizio Pércopo, Amministratore Delegato di Domedica – vanno oltre il sostegno alla somministrazione del farmaco, perché si integrano con il Centro Clinico, pur restando il medico il riferimento principale del paziente. Consistono nello studiare, nel progettare e nell’attuare la cura e la gestione a 360° di una patologia grazie a figure nuove come l’Health Care Manager e con un focus sempre presente: la partecipazione del paziente alle scelte terapeutiche. Le nostre equipe multidisciplinari composte da medici, fisioterapisti, infermieri e psicologi supportano, con un approccio olistico, i pazienti cercando di “educarli” affinché siano sempre più consapevoli sulle proprie necessità di cura e offrendo un reale supporto al clinico.”

E la conferma del bisogno di progetti di questo tipo arriva sempre dall’indagine Domedica – Eurisko, una ricerca innovativa in quanto integra le voci di malati, medici e aziende farmaceutiche, per un totale di oltre 2.000 soggetti intervistati e dalla quale emerge in particolare che oltre il 50% dei pazienti si dichiara pronto ad entrare attivamente in un programma di supporto.
Di poco inferiore, circa il 40 per cento, la percentuale di medici, in particolare specialisti, propensi ad attivare servizi di comunicazione e gestione della terapia a distanza, con sfumature diverse a seconda della patologia. Le aziende farmaceutiche, dal canto loro, mostrano una sempre maggiore sensibilità e apertura a sostenere iniziative per migliorare l’accesso alle cure e l’appropriatezza terapeutica.
Unanime il consenso dei clinici intervenuti nel riaffermare la necessità di un salto di qualità nei programmi di home care. A fronte infatti di livelli di eccellenza spesso raggiunti nella cura ospedaliera, non vi è un adeguato, diffuso e strutturato servizio al domicilio che mobiliti tutte le competenze necessarie al paziente, assicurando uniformità negli standard di qualità.

Il professor Giovanni Minisola – Presidente Emerito della Società Italiana di Reumatologia e Direttore dell’UOC di Reumatologia dell’Ospedale San Camillo di Roma – commentando i risultati del programma di somministrazione domiciliare SusTain, ha evidenziato la capacità da parte di questo progetto nell’ambito dell’artrite reumatoide di “generare un valore concreto per i pazienti, i Centri clinici di Reumatologia e il Sistema Sanitario Nazionale”. Il programma Sustain, ha proseguito Minisola, ha coinvolto nel corso degli ultimi 5 anni importanti Centri reumatologici del Lazio e della Puglia. L’attuazione del programma ha realizzato un’aderenza alla terapia pari al 100% per i pazienti trattati a domicilio rispetto al 93% dei pazienti trattati in ospedale e ha generato un risparmio medio dei costi indiretti pari a 450 euro/paziente/anno”.
La professoressa Serena Quattrucci, Consulente del Centro di Fibrosi Cistica, Dip. Pediatria, Sapienza, Università di Roma, presentando il progetto di assistenza domiciliare per la fibrosi cistica, messo a punto presso l’ospedale Umberto I di Roma, ha posto l’accento sulle “oltre 1027 giornate di degenza ospedaliera risparmiate grazie a questo progetto con un alto livello di gradimento da parte dei pazienti inseriti”.

Il professor Carlo Pozzilli, Ordinario di Neurologia, presso l’Università di Roma e Direttore del Centro di Sclerosi Multipla presso il Policlinico San Andrea di Roma ha riportato le conclusioni di uno studio realizzato su un gruppo di pazienti randomizzato, assistiti a domicilio, riscontrando rilevanti differenze in particolare dal punto di vista emozionale, del funzionamento sociale, dello stato di salute generale e del dolore diffuso. Pozzilli ha evidenziato come “la pianificazione di un intervento domiciliare svolto da un team multidisciplinare e disegnato specificamente per le persone con sclerosi multipla può fornire un approccio economicamente vantaggioso per la gestione del paziente e per il miglioramento della qualità della vita”.

Il dottor Roberto Badagliacca, ricercatore Sapienza, Università di Roma ha sottolineato come per la terapia dell’ipertensione polmonare un approccio integrato come quello realizzato attraverso l’Italian Pulmonary Hypertension Network (IPHnet) Project possa consentire un miglior trattamento dei pazienti grazie alla migliore conoscenza delle loro caratteristiche e di quelle della patologia realizzate con un database integrato ad hoc.
Pazienti quindi protagonisti della gestione dei propri Percorsi Diagnostico – Terapeutici (PDTA) come ribadito dalle Associazioni intervenute al Convegno: AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici), LIFC (Lega Italiana Fibrosi Cistica) e AMIP (Associazione Malati di Ipertensione Polmonare). Le Associazioni sono attivamente impegnate a chiedere e a costruire Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali che assicurino la continuità ospedale-territorio e l’uniformità di accesso a servizi e prestazioni in relazione alla specificità del singolo paziente.

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