ROMA – Non è soltanto il paese di nascita a fare la differenza tra la vita e la morte per milioni di bambini nel mondo. Secondo i dati del rapporto di Save the Children sulla salute materna e infantile nelle grandi città del mondo, in via di sviluppo ma spesso anche in quello occidentale, il rischio di morte sotto i cinque anni dei bambini più poveri è almeno doppio, ma talvolta cinque volte maggiore, rispetto a quello dei concittadini più ricchi, con il risultato che ogni giorno 17mila bimbi muoiono prima del quinto compleanno. Il rapporto giunto alla sedicesima edizione ha stilato la classifica dei paesi in cui è meglio essere mamme esaminando una serie di parametri, dalla mortalità infantile a quella materna alla possibilità di istruzione per le mamme fino alla presenza di donne in politica. La classifica del ‘mother’s index’ è dominata dal nord Europa, con la Norvegia al primo posto seguita da Finlandia, Islanda, Danimarca e Svezia. L’Italia è al dodicesimo posto, mentre molto peggio fanno Francia, ventitreesima, e Usa, al posto numero 33 e con la peggiore performance dei paesi occidentali.
In fondo ci sono invece appaiati Haiti e Sierra Leone. ”In due terzi dei 36 paesi in via di sviluppo tra i 179 totali considerati – si legge nel rapporto – i bambini più poveri che vivono in città hanno almeno il doppio della probabilità di morire prima dei cinque anni rispetto alle loro controparti ricche”. La disparità, segnala l’Ong, riguarda anche le grandi capitali occidentali. Washington ad esempio ha il primato di mortalità infantile delle 24 città più grandi del mondo, con 7,9 ogni mille nati, più di quattro volte quelli di Oslo, e in generale gli Usa fanno registrare un tasso di mortalità infantile molto superiore a quello di paesi molto più poveri, come la ielorussia. Già oggi, stima il rapporto, il 54% della popolazione mondiale vive nelle città, e la percentuale è in forte aumento. ”L’Oms stima che quasi un miliardo di persone vive in slum e baraccopoli, lungo la strada, sotto i ponti o vicino ai binari dei treni – scrive Margaret Chen, segretario generale dell’Oms, nella prefazione -. La vita in queste circostanze è caotica e pericolosa, e le comunità spesso non hanno neanche i servizi minimi”.