Unilever. 121 ‘esuberi’ appesi a un filo di speranza

Parla Anna Bucari, Flai Cgil. Tra esternalizzazioni e delocalizzazioni Unilever forse non è più ‘The best place to work’

ROMA – Quando si parla di Unilever si parla di una multinazionale tra le più potenti sul mercato globale, presente in oltre 170 paesi, conosciuta come una grande azienda multi-locale e multi-culturale. Unilever detiene una infinità di marchi, presenti pressoché in qualsiasi casa, dai prodotti alimentari, ai detersivi fino ai prodotti cosmetici. Insomma, stiamo parlando del più importante gruppo nel settore dei beni di largo consumo. Un’azienda che macina profitti, ma che, a detta dei sindacati, sta utilizzando la crisi economica mondiale in maniera del tutto pretestuosa per attuare una serie di licenziamenti, in particolare nella sede italiana. 

Ieri si è tenuto il primo sciopero dei dipendenti, a Roma, la sede che sarà più colpita a livello occupazionale, dove è prevista infatti la messa in mobilità per 108 lavoratori. “Uno sciopero molto partecipato, in cui tutti i lavoratori hanno aderito, dove gli stessi manager si sono uniti alla protesta degli impiegati”,  riporta Anna Bucari, rappresentante sindacale della Flai Cgil, che abbiamo raggiunto telefonicamente, per alcune delucidazioni relative a questa vertenza.

“Per oggi è previsto un tavolo tecnico all’Unione industriali di Roma, un altro è previsto per il 20 febbraio, nel tentativo di sbloccare la situazione con l’azienda”. “Unilever – spiega la sindacalista – in passato era già ricorsa a tagli occupazionali, nel 2008 e nel 2011, ma l’impatto sociale era stato praticamente pari allo zero, perché i dipendenti avevano un’età tale da poter essere accompagnati alla pensione, senza contare che c’erano dei volontari a cui sono stati dati incentivi economici”. “La situazione allo stato attuale è invece molto differente, dopo quasi tre anni si ripresenta una procedura di mobilità – continua la Bucari – l’esigenza dell’azienda è quella di riallinearsi al mercato, sicuramente quello del 2013 è stato un mercato in flessione, il che però non significa che Unilever non abbia realizzato utili, anzi. Oggi ci troviamo a gestire 121 esuberi, di questi forse solo una decina di persone potrebbero essere accompagnate con la mobilità alla pensione. Il problema è dunque gravissimo perché si sta parlando di lavoratori che hanno mediamente 40-45 anni, di conseguenza difficilmente ricollocabili sul mercato del lavoro. Noi, come sindacati, stiamo cercando di far capire a Unilever che ‘ristrutturazioni’ di questo tipo sono impensabili”. 

Unilever ha sempre vantato una particolare attenzione per il sociale, si è sempre dichiarata in prima linea nell’impegno assistenziale, è infatti partner di ‘Save the children’. Nella mission stessa dell’azienda è inoltre ben evidenziata una particolare attenzione per i propri dipendenti, come pure la volontà di creare un ambiente lavorativo flessibile e vicino alle esigenze del lavoratore. Non a caso Unilever si è distinta più volte nelle graduatorie dei ‘Best place to work’, ovvero di quelle aziende in grado di creare il miglior ambiente lavorativo possibile. Ma qualcosa evidentemente sta cambiando, nella multinazionale sono in atto nuovi modelli organizzativi. Si parla infatti anche di possibili esternalizzazioni di servizi a terzi, e inoltre di una sede in Polonia, aperta da Unilever lo scorso anno, dove dovrebbero essere trasferiti tutta una serie di servizi tra cui il finance, il customer service, la logistica. Insomma, quella che si prospetta non è propriamente una situazione di facile gestione. “Ciò che noi cercheremo di fare è mettere in campo tutti gli strumenti a tutela del posto del lavoro, – sottolinea la Bucari – tra questi ad esempio la solidarietà, lavorare meno ma lavorare tutti, sperando appunto che questa sia una strada percorribile con l’azienda.  Il fine delle Rsu, le rappresentanze sindacali, al momento è dunque quello di salvaguardare più posti di lavoro possibile e, laddove venissero spostati dei servizi, cercare eventualmente di spostare anche il lavoro. In questo c’è da sottolineare l’unità di intenti delle varie sigle sindacali dove non si sono finora verificate spaccature”.

Quelle di ieri sono state le prime due ore di sciopero di un pacchetto di 16. Il prossimo dovrebbe essere di 8 ore entro la fine del mese, salvo ovviamente un anticipato e auspicabile ‘lieto fine’,  ovvero una risoluzione positiva prima dello scadere del termine di 75 giorni, entro i quali trovare un accordo con la multinazionale.  In caso contrario il tavolo sindacale si sposterebbe direttamente al Ministero del Lavoro.

Nel frattempo i 121 ‘esuberi’ (tra questi ci sono monoreddito, persone separate con figli, altri con problemi di invalidità)  sono ‘responsabilmente’ ancora sul posto di lavoro, gli straordinari invece sono intanto stati sospesi, per lo stato di agitazione. 

Probabilmente Unilever in questo momento non è propriamente ‘the best place to work’, soprattutto per i 121 dipendenti che vivono sospesi in un limbo, nella speranza di poter tornare ad essere semplicemente ‘lavoratori’ e non solo numeri utili per un ipotetico riassetto aziendale. 

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