Africa. Grande muraglia verde: Senegal avanti nell’audace progetto

DAKAR – Di recente l’ONU si è arreso (o ha posticipato la scadenza) circa il conseguimento dei virtuosissimi “obiettivi del millennio”(MDG), tra cui spiccavano lotta alla povertà e sostenibilità ambientale. Gli straccioni del pianeta e l’ambiente (calpestato ovunque, ma più vergognosamente insultato alla periferia del mondo dove non ci si può permettere modelli metropolitani fatti di cellofan e parchetti sintetici) possono aspettare.

Le regole del mercato ci impongono riforme neo-liberiste per mantenere alta la concorrenza, la competitività, gli investimenti…ebbene è “l’astrattezza” che decidiamo di tutelare in luogo dell’esigenza “mateArialmente” umana e ambientale. Ciononostante ricordiamo che la Comunità internazionale nel 2011 celebra “l’anno internazionale delle foreste”(la scritta campeggia sul frontale della sede della FAO sull’Aventino), e ricordiamo anche che qualche giorno fa, il 17 Giugno, si è altresì celebrata la “Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione”, cui ha aderito anche il Governo italiano, la cui sensibilità per le tematiche ambientali è improvvisamente rinata dopo le sberle del 12 e 13 Giugno.

A tale ultimo proposito numerosi governi africani, nonostante molti facciano il verso alle politiche “sviluppiste”, hanno invece deciso di cimentarsi in un enorme progetto (in materia, il più grande mai concepito nel continente) che vuole occuparsi direttamente dell’emergenza ambientale, nella fattispecie del fenomeno della desertificazione. A suo tempo anche la Comunità internazionale ha riconosciuto la desertificazione come uno dei maggiori problemi socio-economici ed ambientali.
Nel 1977 la Conferenza delle Nazioni Unite sulla Desertificazione (UNCOD), adottò il piano d’azione per combatterla. Nel 1991 un primo screening mostrò gli scarsissimi progressi ottenuti. Il riscaldamento globale, con i nostri ritmi di produzione e consumo, sembra inarrestabile. Caduto nel dimenticatoio, il problema fu risollevato al Summit di Rio (argomento centrale era la Biodiversità) nel ’94 dove ci si impegnò più a definire e classificare i problemi anziché ad affrontarli operativamente. Per farla breve non è stato fatto granchè sino ad ora.

Ritornando al progetto africano contro la desertificazione, l’estate scorsa è stata sottoscritta dai rappresentanti di tutti gli 11 governi presenti all’incontro internazionale svoltosi a N’djamena, in Ciad, la convenzione che stabilisce la creazione dell’Agenzia panafricana per la “Grande muraglia verde”. Dal 2005 la zona del Sahel è teatro di una grave crisi alimentare, la peggiore degli ultimi 30 anni, anche a causa dell’avanzata del deserto che lentamente sta neutralizzando le terre fertili saheliane e ingoiando i pochi campi che non riescono più a far fronte all’irruenza del deserto.
La “Grande muraglia verde”consiste in una cintura di alberi e piante a basso fusto che promette di fermare l’avanzare del deserto, tagliando il Sahel e il Sahara con una barriera verde profonda 15 chilometri e lunga oltre 7000, che collegherà Dakar (in Africa Occidentale) con Gibuti (estremo opposto in Africa orientale). Il presidente senegalese Abdoulaye Wade, uno degli ideatori della Muraglia Verde, definì il progetto, non senza un vago taglio millenarista, come “il più grande cantiere dell’umanità della storia contemporanea”.

In questi mesi il Senegal sta dimostrando di essere il paese in prima linea per l’avvio del progetto.
Widou, nel nord del Senegal, nella regione Ferlo, particolarmente soggetta all’avanzare della desertificazione, è tra le prime comunità scelte dal governo senegalese per attuare la proposta della Grande Muraglia con 535 km previsti e oltre 300 mila alberi piantati.
Il presidente ciadiano Idriss Deby Itno ha dichiarato che “la grande muraglia verde è un progetto concepito dagli africani per gli africani e per le future generazioni, oltre ad essere un contributo dell’Africa alla lotta contro il riscaldamento climatico”, chiamando i governi del continente prima e la comunità internazionale poi a finanziare il progetto per il quale il Fondo mondiale per l’ambiente ha già stanziato circa 100 milioni di euro. Certo Deby dovrebbe ricordare il rispetto dell’ambiente anche a coloro i quali concede di fare affari nel suo Ciad, incurante degli enormi danni ambientali (è il caso degli oleodotti di Chevron e Petronas), ma preoccupato unicamente di riscuotere abbastanza profitti.

Più drammatica la situazione in Mauritania, dove si parla di 384 mila alberi, per fermare il mare da una parte e fissare le dune di sabbia che stanno avanzando verso la capitale Nouakchott dall’altra. E’ questa “l’idea audace” che le autorità della Mauritania intendono attuare nei prossimi anni allo scopo di salvare la capitale, stretta tra l’oceano da un lato e il deserto dall’altro. In base al piano, ben 726 ettari di terreno saranno destinati esclusivamente a nuovi alberi, per rafforzare la cintura verde di Nouakchott. Il programma per la salvaguardia della capitale si inscrive nel quadro del più ampio progetto della Grande Muraglia Verde.

I più critici, che collocano il progetto all’interno dell’area di azione del NEPAD (la nuova partnership africana per lo sviluppo, da molti considerata nel quadro economico internazionale imposto dal “Washington Consensus”), contestano il progetto poiché non si presenta come una azione strutturale, quale può essere ad esempio una seria riduzione globale delle emissioni, quanto una soluzione superficiale e di circostanza che mira a “colonizzare il deserto”, come ha dichiarato lo scettico direttore senegalese dell’Agenzia Nazionale per la Grande Muraglia Verde, Matar Cissé.

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