Cina. Il processo Gu Kailai e le molte incognite

PECHINO (corrispondente) – In Cina è stato definito il processo più sensazionale dell’ultimo trentennio, ma quello per Gu Kailai, moglie dell’ex leader di Chongqing Bo Xilai è iniziato giovedì e si è concluso dopo sole sette ore, tra il silenzio della Corte di Hefei e il riserbo della stampa cinese. Eppure il verdetto, sebbene non ancora reso noto, sembra essere già stato scritto.

Accusata assieme al domestico Zhang Xiaojun dell’omicidio dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood, suo socio e probabilmente amante, la Lady Macbeth cinese rischia la pena di morte; condanna che, secondo gli esperti del diritto, potrebbe essere commutata in ergastolo o 15 anni di prigione qualora dovesse essere confermato lo stato di seminfermità mentale della donna. Alcune stranezze comportamentali e un sospettato tumore potranno veramente risparmiare la pena capitale a Gu?

Reo confessa, pochi giorni prima del processo aveva ammesso la propria colpevolezza sia per il delitto di Heywood che per una serie di “crimini economici” – dei quali, tuttavia, non ha dovuto rispondere in sede processuale-  è apparsa in un sevizio della China Central Television, trasmesso nel pomeriggio di giovedì, rilassata e notevolmente ingrassata.
Gu non avrebbe contestato l’accusa di omicidio: secondo le ultime ricostruzioni, una lite per questioni economiche lo scorso 15 novembre avrebbe indotto la donna ad avvelenare il suo socio con il cianuro nella stanza del Nanshang Lijing Holiday Hotel, a Chonqging. Dell’uomo non è rimasto che un pezzo del cuore, unica prova nelle mani della polizia cinese, mentre il corpo è stato cremato in tutta fretta senza il consenso della famiglia.

“Le circostanze del crimine sono chiare e supportate da ampie prove”, ha comunicato il tribunale di Hefei, mentre la difesa ha dichiarato che Gu al momento del delitto “non aveva il controllo di sé”. Un’ulteriore attenuante: proteggere il figlio Bo Guagua da alcune “minacce fisiche”, come ha affermato lei stessa. Tanto è bastato ai legali d’ufficio per dichiarare che Heywood è “parzialmente responsabile della sua stessa morte”. Il rampollo della famiglia Bo, noto alle cronache per la sua vita dissoluta, alcuni giorni fa aveva rotto il silenzio rivelando alla Cnn di aver inviato alla Corte una testimonianza scritta; un elemento chiave per il processo, secondo il sito di citizen journalism Boxun.

La sentenza verrà rilasciata prossimamente, come riferito da un funzionario del tribunale; per il momento il destino della donna continua a rimanere top secret almeno quanto quello del marito. Bo Xilai, sino ad alcuni mesi fa uno degli astri nascenti della politica d’oltre Muraglia, rimosso da tutte le sue cariche in aprile, è tutt’oggi sotto inchiesta per “gravi violazioni della disciplina del Partito”. Troppo ambizioso e fautore di un revival maoista che poco collimava con l’orientamento riformista abbracciato dall’amministrazione Hu Jintao-Wen Jiabao, secondo molti, sarebbe rimasto vittima degli intrighi di palazzo in vista del rimpasto ai vertici in agenda per il prossimo autunno.

Intanto con il processo di Gu Kailai il vaso di pandora è stato aperto: la donna ha parlato di “reati commessi da altre persone” innescando una reazione a catena. Venerdì sono stati processati quattro poliziotti di Chongqing accusati di aver tentato di ostacolare le indagini falsificando il referto dell’autopsia. Colpevoli loro come sarebbe colpevole il superpoliziotto Wang Lijun, che con la sua fuga verso il consolato americano di Chengdu, lo scorso febbraio, ha dato il via all’affaire Bo Xilai. In un primo momento complice di Gu nel complotto, avrebbe poi fatto marcia indietro una volta soppesati i rischi. Un processo per tradimento la prossima settimana lo vedrà alla sbarra nella capitale provinciale del Sichuan, dove tutto cominciò.

Sono questi i nuovi dettagli rivelati dalla versione dei fatti così come riportata da uno dei presenti nell’aula del tribunale di Hefei. Zhao Xiangcha è il nome dell’uomo che, privato di ogni strumento di scrittura, ha tenuto tutto bene a mente per poi passare la sua testimonianza allo staff di Boxun.

Il COLPO DI SCENA
E ancora. Nell’intrigo si innesta un “terzo elemento” hanno dichiarato i legali di Gu, secondo quanto riportato al Daily Telegraph da una persona presente in aula; una pedina che ha ricoperto un ruolo attivo nell’omicidio di Heywood. Forse la dose di veleno somministrato dalla moglie di Bo Xilai all’uomo d’affari non era realmente letale. Forse Gu si sarebbe macchiata soltanto di “tentato omicidio”, come sembrerebbe voler spingere la difesa. Forse qualcuno ha agito dopo che la donna e il suo complice avevano già lasciato l’albergo: lo dimostrerebbe la posizione del cadavere al momento dell’arrivo della polizia sul luogo del delitto, non più supina con la testa appoggiata sul cuscino, come lo avevano lasciato i due, ma con la faccia in giù e i piedi penzoloni oltre la fine del letto.

I MEDIA UFFICIALI ROMPONO IL SILENZIO
Con un insolito comunicato di ben 3400 parole, l’agenzia di stampa statale Xinhua venerdì sera ha reso pubblico quello che sembra essere il preludio di una condanna: la donna, benché in stato depressivo e sotto effetto di farmaci, assieme al coimputao Zhang, “ha confessato l’omicidio intenzionale”.
Avvertiva il pericolo per la sua famiglia: “Per me era più di una minaccia alla sicurezza personale. Dovevo fermare la follia di Neil Heywood lottando fino alla morte.” Eppure “la tragedia che ho scatenato non si è abbattuta soltanto su Neil, ma su molte altre famiglie” ha affermato davanti alla Corte la dama nera di Cina.

“Perdono”: lo ha chiesto Zhang Xiaojun ai cari del defunto, mentre Gu avrebbe invocato clemenza per il domestico dato il suo ruolo marginale del delitto. Quanto a lei, “aveva sviluppato una dipendenza fisica e psicologica da farmaci e sedativi che provocano disturbi mentali” – fa sapere la Xinhua- e nonostante avesse “un obiettivo chiaro e un motivo pratico per commettere il crimine” aveva “scarsa capacità di controllo”.

Ma, nel giorno del giudizio, una Gu lucidissima ha manifestato la piena consapevolezza di essere l’artefice dell’attuale cortocircuito politico: “questo caso ha provocato grandi perdite al Partito e al Paese e dovrei prendermene la piena responsabilità” ha scandito la donna, dicendosi pronta ad “accogliere la sentenza con calma e serenità, nel rispetto della legge”.

Non una parola sull’ex boss di Chongqing, invece, né sui crimini economici nei quali sarebbero implicati vari membri del clan dei Bo. Affari sporchi e spostamento di denaro all’estero: in una parola corruzione. Il male endemico della Nuovissima Cina continua ad attirare sulla casta le critiche di un popolo insofferente verso gli sfarzosi privilegi dei propri leader. E ora che la data del ricambio al vertice si fa sempre più vicina è meglio parlarne il meno possibile.

Alessandra Colarizi

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