Pirati: compagnie e armatori preoccupati per l’escalation degli attacchi

ROMA – Non passa giorno che non si registri un evento legato alla pirateria marittima nel mare al largo della Somalia e nell’Oceano Indiano.

Si tratta di una vera e propria escalation  di assalti e catture di navi commerciali. Per i marittimi, equipaggi delle navi che solcano le acque del ‘mare dei pirati, e per i pirati stessi non c’è tregua. La tensione, la paura, l’adrenalina è la stessa che si sia attaccati o sia attaccante. Dal momento in cui si entra nelle acque infestate dai pirati somali, non si sa mai quando l’assalto possa scattare. Per i pirati somali ogni momento è quello buono per dare l’assalto al cargo ‘addocchiato’. Se va bene il bottino è certo. In cambio del rilascio della nave e del suo equipaggio catturati e trattenuti in ostaggio, i predoni del mare chiederanno un congruo riscatto. Senza se e senza ma, sarà la società armatrice o il governo del Paese a cui appartengono i marittimi a ‘sborsare’. I pirati non hanno fretta. Una volta messe le mani sulla preda pur di raggiungere il loro scopo sono disposti anche a lunghe ed estenuanti trattative. Sanno bene che con le buone o con le cattive qualcuno ‘caccerà’ i soldi del riscatto. Ormai il loro giro d’affari è così ampio e i soldi talmente tanti che hanno ramificazioni finanziarie dall’Europa agli Emirati Arabi, passando per il Libano.

Un ruolo fondamentale lo riveste poi, il Kenya da dove i pirati conducono le trattative per il rilascio delle navi e degli equipaggi tenuti in ostaggi. Una volta incassato i soldi, a loro poi non resta che riciclarli. Secondo un recente rapporto internazionale a causa di questo fenomeno l’economia globale ci sta rimettendo tra i sette e i dodici miliardi di dollari all’anno. Senza contare le ingenti risorse economiche che governi e privati sono costretti a mettere in campo per trattare il rilascio delle imbarcazioni e dei loro equipaggi ostaggi dei pirati somali. Si stima che negli ultimi anni il business dei predoni del mare sia quasi raddoppiato: 55 milioni di dollari del 2008, 80 milioni del 2009 e oltre 100 milioni nel 2010. Nel 2011 il trend sembra ancora in salita a giudicare dall’attività svolta, dai pirati somali, già nei primi venti giorni del nuovo anno con almeno 3 navi catturate.

Le acque al largo della Somalia sono quelle che detengono il primato di centro nevralgico della pirateria mondiale. Un primato che detiene da anni e difficilmente gli verrà ‘strappato’. Il fatto è che lungo le coste somale i pirati hanno  trovato dei buoni e ‘tranquilli’ rifugi. Covi dove andare a riposarsi e rifornirsi. In pochi anni interi villaggi di pescatori si sono trasformati. Un’evoluzione portata dal fiume di dollari che scorre e a cui tutti, chi di meno chi di più, a secondo del ruolo che rivestono nella gang, attingono. Una vera e propria moderna Tortuga. E’ ovvio che a favorire tutto questo è il collasso dello Stato somalo. Non esiste alcun controllo del territorio da parte del debole governo di Mogadiscio. Un governo appoggiato economicamente del Paese. Il fatto che i predoni del mare possano contare su sicure basi logistiche sulla terra ferma è importantissimo e li rende quasi ‘invincibili’ e di certo inafferrabili.  Sembra che in tutto queste gang del mare siano sette e che abbiano al loro soldo non più di 1.500 uomini. Un numero esiguo se rapportato all’ingente dispiegamento di uomini e mezzi impiegati per contrastarli. Un manipolo di filibustieri dunque riesce a mettere in scacco l’intera comunità internazionale grazie all’assenza dello stato in Somalia.

Nel ‘mare dei pirati’ sono state schierate numerose navi da guerra provenienti da ogni parte del mondo. Alcune operanti nell’ambito di missioni internazionali antipirateria marittima: ‘Atalanta’ dell’Ue e ‘Ocean Shield’ della NATO. Altre invece, operano individualmente, inviate dai propri Paesi per proteggere, in quelle acque, la navigazione delle proprie navi. Un azione che però, è vanificata anche dall’assenza di valide norme giuridiche che permettono di giudicare e condannare i pirati catturati che nella gran parte dei casi sono lasciati liberi di tornare alla loro attività criminale. Fino al 2009, le acque predilette dai pirati somali erano quelle del Golfo di Aden, al largo della Somalia e quelle del Mar Rosso e del Mar Arabico. Dopo si è assistito ad una sorta di migrazione del fenomeno. I pirati somali vistisi messi in difficoltà anzi infastiditi dai pattugliatori pur continuando la loro attività criminale in quelle acque si sono anche spostati più al largo e più verso sud. Di fatto sono andati a cercare rotte non battute dalle unità navali militari di contrasto.

Tutto questo ha finito per far spostare l’allarme pirateria marittima anche nelle acque del Kenya, Mozambico, Tanzania, Botswana e perfino in Sudafrica. Di riflesso la maglia dei pattugliamenti delle navi militari europee, statunitensi, russe, cinesi, iraniane, sud coreane, egiziane, australiane, giapponesi, indiane e di altre nazioni, è stata allargata. Questo perché l’area a rischio è passata dalle 205 mila miglia quadrate di mare iniziali a 2,5 milioni di miglia quadrate. E’ immaginabile cosa sia accaduto.

L’azione fino ad allora condotta dai pattugliatori militari aveva quasi stretto in una morsa i pirati somali producendo una diminuzione degli attacchi fino al 61 per cento. Al minimo segnale di allarme corrispondeva un immediato intervento, in  soccorso. Addirittura nel Golfo di Aden era stato creato un corridoio di sicurezza, inaccessibile ai pirati. Ora invece, capita che quando scatta l’allarme la nave militare più vicina può essere anche a 200migla marine e quindi con tempi di intervento lunghissimi dando modo ai predoni del  mare di poter ‘lavorare’ in tranquillità. La fame, la povertà sono le cause principali che hanno spinto le popolazioni che vivono lunghe le coste a compiere queste azioni criminali per sopravvivere. I banditi del mare sono infatti, in gran parte, pescatori. Il 2009 è stato l’anno più terribile per le compagnie marittime commerciali. Ormai sono alla disperazione, in molte stanno cercando alternative alla rotta che porta dall’Oceano Atlantico verso l’Asia passando per il canale di Suez. Le compagnie negli ultimi anni si sono viste catturate e trattenute in ostaggi, anche per mesi, centinaia di navi con carichi ed equipaggi. Per loro un danno materiale ed economico non quantificabile, ma certamente, solo in riscatti pagati, di alcune centinaia di milioni di dollari. Il fenomeno è vasto. Non se ne ha una mappa precisa in quanto qualcuno o non ha dichiarato ne il sequestro della nave ne tanto meno il pagamento del riscatto, o ha denunciato il sequestro, ma poi ha negato spudoratamente di aver pagato mai un riscatto, come il governo italiano. Una verità nascosta che comunque alla fine è venuta a galla ed è stata denunciata da un’inchiesta giornalistica seguita dalla pubblicazione di un libro: ‘Quel maledetto viaggio nel mare dei pirati’ edito da Liberoreporter.

Un libro denuncia che come racconta la Logimar  su questo sito  si narra dei retroscena del sequestro del rimorchiatore italiano ‘Buccaneer’  catturato dai pirati somali, con il suo equipaggio di 16 marittimi, dei quali 10 italiani, nell’aprile  2009 mentre era in navigazione nel Golfo di Aden. A nulla servono i tentativi di tergiversare o di cercare mediazioni impossibili. I pirati somali hanno come loro unico scopo quella di ricavarci quanti più soldi è possibile. E per raggiungere questo scopo sono disposti anche ad attendere mesi. Tanto è vero che nelle loro mani trattengono in ostaggio almeno 31 navi e 716 marittimi, membri degli equipaggi di queste navi. Alcune di queste navi sono trattenute anche da un anno. Il fatto che la situazione nel ‘mare dei pirati vive un continuo crescendo impensierisce fortemente oltre le compagnie marittime anche gli armatori specie di fronte alla inefficacia delle azioni di contrasto messe in atto dalla comunità internazionale. Per fine gennaio l’Associazione degli armatori della Danimarca intende organizzare a Copenaghen, una riunione internazionale sulla pirateria, in collaborazione con la Camera internazionale della navigazione. “Questo non è soltanto un problema marittimo che possiamo risolvere da soli, ma anche e soprattutto un problema geopolitico di sicurezza che richiede l’aiuto degli stati, poiché la pirateria al largo della Somalia è diventata un’industria”, ha affermato il vicepresidente dell’associazione, Jan Fritz Hansen.

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