Il 23 ottobre elezioni per la Presidenza della Repubblica e per eleggere il nuovo Parlamento
ROMA – Il prossimo 23 ottobre l’Argentina si recherà alle urne per eleggere il suo nuovo Presidente della Repubblica e rinnovare il Parlamento. Ma l’esito del voto sembra già segnato. Il 14 agosto, come previsto da una nuova legge del 2009, si sono tenute le elezioni primarie nazionali, obbligatorie e simultanee per tutti i raggruppamenti e a votare sono andati quasi 23 milioni di argentini sui circa 28 milioni di aventi diritto.
I risultati sono stati contundenti a favore dell’attuale Presidente Cristina Elisabet Fernández de Kirchner con 10.762.217 di preferenze e il 50,24% delle schede valide, 38 punti di vantaggio dai suoi avversari, Ricardo Alfonsin della Uniòn Civica Radical e il peronista justicialista Eduardo Duhalde, 40 da Hermes Binner del Partito Socialista; una vittoria netta in tutto il paese e anche in 132 dei 134 distretti elettorali della popolatissima provincia di Buenos Aires che poche settimane prima aveva eletto con più del 64% dei voti l’imprenditore liberista Mauricio Macri alla carica di “Jefe de gobierno” della città. Un risultato che la stessa Fernández ha definito inatteso e che le dà ampie possibilità di essere rieletta senza bisogno del ballottaggio, visto che la legge prevede il superamento della soglia del 45% o del 40% con un 10% di vantaggio dal secondo più votato.
I sondaggi avevano visto crescere la candidata nel corso di tutto il 2011 e dopo il 14 agosto la danno con un vantaggio ancor più ampio.
Solo un fatto di estrema eccezionalità potrebbe cambiare il corso degli eventi. Di conseguenza le analisi si spostano sulle ragioni di questa volontà popolare così netta e su cosa potrà accadere dopo il 23 ottobre nel paese sudamericano.
Quasi tutti gli analisti parlano, a ragione, di debolezza e frammentarietà delle opposizioni. Alcuni di essi, avallati dai commenti – di taglio denigratorio e più adatti al gossip – di importanti media internazionali come lo spagnolo El Paìs, arrivano a parlare di effetto ‘commozione’ per la vedova dell’ex Presidente Néstor Kirchner. È necessario sottolineare, invece, l’egemonia che il variegato mondo nato dal peronismo ancora esercita nel paese, con tutte le sua forme di ‘caudillismo’, l’identificazione verso talune personalità politiche capaci di parlare al ‘popolo’ e lo spostamento verso politiche antiliberiste. Bisogna anche parlare dei tanti passi avanti compiuti dall’Argentina, con Kirchner e la Fernandez, dopo il baratro in cui l’aveva trascinata Menem con la sua politica totalmente piegata alle ricette della globalizzazione. E bisogna riconoscere a Cristina il merito di essersi saputa districare e trarre vantaggio dal nuovo corso politico argentino, dal riposizionamento geopolitico del continente sudamericano, dagli effetti della crisi finanziaria mondiale e dal conseguente rimescolamento delle aree produttive, estrattive e degli acquirenti delle materie prime di cui il paese è ricco.
La strada è stata spianata dagli effetti macroeconomici positivi derivanti dai prodotti che l’Argentina vende nel mercato internazionale. A catena si sono potute mettere in pratica politiche di creazione di posti di lavoro; l’aumento, seppur modesto, di stipendi, salari e pensioni; il vasto ampliamento della copertura previdenziale per le donne casalinghe; alcune politiche di tipo assistenziale che hanno mitigato i casi di povertà e favorito l’inclusione, come la “Asignaciòn Universal por Hijo” – una somma mensile di cui beneficiano i genitori di circa 3 milioni e seicentomila minori di 18 anni -, il programma “Collegando uguaglianza” che ha visto l’assegnazione di più di un milione di computer portatili (ma si arriverà a consegnarne 3 milioni entro il 2012) agli studenti medi e superiori dell’Argentina, e altri piani sociali che coinvolgono altri 3 milioni e mezzo di cittadini.
Ci sono poi da considerare le risolute posizioni assunte, in continuità con la presidenza di Néstor Kirchner, a fianco degli altri governi progressisti del continente e per sottrarsi dall’egemonia delle nazioni a ‘vocazione globale’ – per usare la locuzione che indica le nuove politiche imperialiste -, dalle istituzioni internazionali fiancheggiatrici di questi interessi e dalle imprese transnazionali – loro braccio operativo – attive nel territorio argentino e impadronitesi del controllo di molte sue risorse, in particolare dopo le politiche liberiste messe in atto da Carlos Saùl Menem a partire dal 1990. L’Argentina, durante il mandato di Cristina Fernández, ha sempre appoggiato le delibere dell’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), vere e proprie prese di posizione per arginare le pretese espansionistiche nell’area da parte degli Stati uniti, e ne ha favorito la creazione e l’ampliamento; ha cercato di allargare l’ambito dei paesi che decidono le sorti del pianeta entrando nel G20 e promuovendo la creazione del G77 (di cui la Fernández è l’attuale Portavoce); ha sostenuto politiche commerciali di apertura ai paesi emergenti per diversificare gli acquirenti dei prodotti di esportazione, limitare la dipendenza dai compratori tradizionali e ha rafforzato la cooperazione con gli altri Stati del continente.
Negli ultimi mesi si è inoltre riaperto il conflitto con la Gran Bretagna per la sovranità sulle isole Malvinas/Falklans, nei dintorni delle quali il paese europeo, che le ha occupate nel 1833 e difese dalle rivendicazioni argentine anche con la guerra del 1982, ha iniziato un vasto lavoro di prospezione petrolifera affidato a ben tre compagnie (Desire Petroleum, Falkland Oil &Gas e Rockhopper). La Rockhopper ha annunciato, a metà settembre 2011, la scoperta di un deposito di alta qualità a 2.696 metri di profondità che, sommato alle altre riserve già individuate porterebbe le riserve a circa 1 miliardo di barili di petrolio. La Presidente dell’Argentina ha definito le trivellazioni “una nuova provocazione” e chiesto spiegazioni a Londra disponendo l’obbligo di autorizzazione per ogni imbarcazione che transiti tra il suo paese e l’arcipelago australe. Dopo il rifiuto di dialogo da parte di David Cameron, Cristina ha ottenuto l’appoggio dell’OSA (Organizzazione Stati Americani), protestato ufficialmente contro il dispiegamento bellico britannico e dichiarato con risolutezza che “solo l’arroganza di una potenza coloniale in decadenza può pensare di mettere da sola il punto a una disputa sulla sovranità, in spregio ai numerosi inviti al negoziato”.
Oltre che nella politica estera, anche in alcune componenti di quella interna la Presidente ha saputo esprimere e imporre posizioni progressiste. È il caso delle leggi sui media (Ley de servicios de comunicaciòn audiovisual, del 2009) che limita lo strapotere delle grandi catene e gli oligopoli e che ha fatto schierare il potente gruppo del Clarìn nettamente e in maniera propagandistica contro le politiche del suo governo. Di quella sul matrimonio tra coppie omosessuali (ley de matrimonio igualitario, del 2010) che ha provocato dure reazioni delle autorità cattoliche. La politica sui Diritti umani è continuata senza esitazioni per evitare indulti e prescrizioni a favore dei militari e civili resisi protagonisti di delitti di lesa umanità negli anni della dittatura (1976-1983) e a fianco delle associazioni dei familiari delle vittime. Sono aumentati processi e condanne esemplari contro i militari, come i 25 anni inflitti nel 2010 a Reynaldo Benito Bignone, l’ultimo presidente militare dell’Argentina, giudicato colpevole, insieme ad altri 5 ufficiali, per le torture e le sparizioni di 56 militanti dal noto Campo de Mayo della periferia di Buenos Aires. In campo economico ci sono stati i provvedimenti che hanno permesso il ritorno a gestione pubblica dei fondi pensionistici AFJP (Administradoras de Fondos de Jubilaciones y Pensiones de Argentina) che, dal 1993, erano stati trasformati in imprese private con fini di lucro e con una redditività legata al mercato che, per i lavoratori, si era rivelata inferiore a quello che era stato pronosticato e la nazionalizzazione, nel 2008, e successivo rafforzamento della compagnia aerea Aerolìneas Argentinas, svenduta nel 1991, e del sistema aeroportuale Aeropuertos Argentina 2000.
Ma proprio nella politica interna, in particolare nella struttura economica che regge il processo di produzione e di distribuzione, Cristina Fernández, se riconfermata, dovrà essere più incisiva e andare oltre le misure assistenziali. Il modello generato negli anni della dittatura e consolidatosi con i due mandati di Menem si fonda ancora sul predominio finanziario, le cui rendite sono esentate da obblighi tributari, sulla depredazione delle risorse naturali da parte di imprese straniere – difficili da controllare e con interessi non certamente nazionali – e sulla riproposizione della monocoltura da agrobusiness, legata principalmente alla soia, che va a scapito delle piccole e medie imprese locali. Questo sistema produttivo genera terziarizzazione e precarietà nei contratti di lavoro.
Sono questi i punti su cui il nuovo quadriennio della Fernández, in sintonia con il raggruppamento politico Frente para la Victoria (nato dal peronismo di sinistra) in Parlamento, dovrà essere più incisivo, per passare da misure palliative e modifiche di settore a una reale redistribuzione e a cambi di struttura.
La particolare storia dell’Argentina e le peculiarità introdotte da Juan Domingo Perón, che tuttavia condizionano la politica del paese, danno ancora una volta a un partito ispirato ad alcune delle sue intuizioni politiche la possibilità di essere protagonista di un cambio radicale che può modificare le relazioni sociali della nazione. I partiti di sinistra e, ancor di più, i movimenti sociali, già protagonisti negli anni della crisi del 1999-2002, schiacciati sistematicamente da tale forza organizzativa, culturale e simbolica al tempo stesso, devono comunque portare le novità e le esigenze emancipatrici e antagoniste nell’agone politico, per trainare dal basso e dare forza al processo di cambiamento e per evitare possibili spostamenti del raggruppamento nato da Néstor Kirchner verso politiche di semplice maquillage del sistema.
La congiuntura, sia politica che economica, appare favorevole alla Fernández e matura per il cambiamento ma le frenate sono possibili e i movimenti popolari devono continuare a darle dinamicità e forza. La crisi del capitalismo globalizzato e del suo motore, gli Stati Uniti d’America, non permettono, in quell’area semiperiferica del pianeta e in questa fase storica, una pronta reazione o accondiscendenza populista da parte dei poteri economici egemonici ma certamente questi cercheranno di mantenere le posizioni acquisite in attesa di una fase più opportuna per riappropriarsi di tutte le leve del potere.
Il movimento kirchnerista, oggi leaderato da Cristina Fernández, ha ben operato nella critica al neoliberismo e ha guadagnato la fiducia popolare ma oggi non può accomodarsi sui risultati ottenuti e conservare, in Argentina, le contraddizioni e le sperequazioni portate dal modello precedente. Deve fare lo sforzo, e ne ha la storica opportunità, per superare il sistema neoliberista che tanto male ha fatto al paese sudamericano.