In Italia non si studia e non si lavora. I numeri dell’Istat, le statiche commuovono

ROMA – In fondo leggere i dati statistici con un po’ di spirito critico è facile, solo che mette addosso una brutta sensazione, di tristezza o di fallimento.

Oggi l’Istat ha diffuso l’edizione del 2011 del rapporto “Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo” e purtroppo si capisce molto più del paese in cui viviamo, si comprende molto, o quantomeno si riesce ad immaginare con vividezza e precisione dei particolari, come sarà l’Italia in cui cresceranno i nostri figli. Come sarà un paese che ha rinunziato a costruire un qualsiasi futuro per i propri cittadini di domani a cominciare proprio dall’investimento principe sul futuro, l’istruzione.

La situazione attuale non è delle migliori tanto che circa il 46 per cento della popolazione in età compresa tra i 25 e i 64 anni ha conseguito come titolo di studio più elevato soltanto la licenza di scuola media inferiore, valore che pone il nostro Paese ben distante dalla media europea che segna il 27,9 per cento nel 2009.
Occorrerebbe investire per porre le basi di una situazione migliore? Forse ma evidentemente non tutti sono d’accordo.

I soldi investiti sul futuro sono infatti pochi, tanto che l’incidenza sul Pil della spesa in istruzione e formazione è pari appena al 4,6 per cento (2008), contro un valore medio dei 27 paesi dell’Unione che si attesta al 5,2 per cento.
Pochi soldi ma tanta efficienza come ha più volte affermato la titolare del dicastero di Viale Trastevere? Forse ma intanto la quota di giovani (ovvero di persone con una età compresa tra i 18 ed i 24 anni) con al più la licenza media, che ha abbandonato gli studi senza conseguire un titolo superiore, è pari al 19,2 per cento. Tale cifra colloca il nostro Paese in una delle posizioni peggiori nella graduatoria europea, nei paesi europei l’abbandono degli studi ha fatto segnare in media il 14,4 per cento nel 2009.

Ed i risultati di un tale disimpegno dello Stato nella educazione e formazione purtroppo non si fa attendere; l’Italia segna infatti un vero e proprio record per quanto riguarda i giovani Neet (Not in Education, Employment or Training), ovvero quelle  persone che non sono più inserite in un percorso
Scolastico o formativo, ma non sono neppure impegnati in un’attività lavorativa, sono oltre due milioni,
il 21,2 per cento tra i 15-29enni  nell’anno 2009, uno su cinque, e non c’è nessuno stupore nell’apprendere che è la quota più elevata a livello europeo.

12° in Europa per Pil pro capite

Il livello del Prodotto interno Lordo per abitante, misurato in parità di potere d’acquisto, è pari a 24.400 euro, valore che mette l’Italia al 12° posto della graduatoria europea, ultima dei paesi ricchi o prima dei paesi poveri a seconda di come si voglia vedere la classifica. Siamo infatti subito dietro a Finlandia, Regno Unito e Francia e precediamo Spagna, Cipro e Grecia, all’interno di un campo che va dai 10.700 euro della Romania ai 63.900 del Lussemburgo. Da segnalare come rispetto all’anno precedente il Pil pro capite ai prezzi di mercato è diminuito del 5,7 per cento in termini reali e le differenze regionali siano rimaste notevoli perpetuando il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord.

Balza infine agli occhi la singolare similitudine tra la classifica delle regioni per pil pro capite e per spesa statale. Le cinque regioni in cui la spesa statale è più elevata sono infatti tutte comprese nei primi 8 posti della classifica per pil pro capite. Valle d’Aosta, Bolzano, Trento, Lazio e Friuli Venezia Giulia assorbono infatti spesa statale per importi che vanno dai 17.479 euro annui della Vallée agli 11.387 del Friuli, mentre non arrivano nemmeno a 8.000 euro annui pro capite le tre regioni che chiudono questa classifica, Puglia, Veneto e Campania.

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