Costa d’Avorio. Sull’orlo della guerra civile e del genocidio

Traduzione di Rachele Baglieri e Daniela Cabrera 

La testimonianza di uno scrittore e giornalista che è sul posto e che vive direttamente l’emotività e il contatto con la violenza che va crescendo di giorno in giorno e con la paura di chi si vede braccato dalle forze dei repressori e dalla brutalità dilagante. Una riflessione di come l’uomo genera relazioni ingiuste, guerra e violenza, che causano sempre morti, distruzioni, umiliazioni e dolori. Sono sempre e comunque una sconfitta

ABIDJAN – Origine d’una crisi. 1960-2011. Cinquant’ anni d’indipendenza politica. Teorica e convulsa. In seguito agli sconvolgimenti che il continente ha vissuto, gli osservatori benpensanti che hanno sempre trovato una giustificazione per l’impossibilità dei paesi i quali hanno raggiunto la loro sovranità dal 1960 in poi, pongono in dubbio la capacità dell’ élite africana a condurre il suo popolo verso la modernità. E’ questa veramente cosciente della portata del suo dovere e dell’attesa della popolazione che aspira ad un maggiore benessere? Come sottolineato, con un certo disprezzo, da alcuni uomini politici della destra francese, gli africani sarebbero veramente pronti ad entrare definitivamente in uno stato di diritto legittimato dalla democrazia? In ogni caso, la crisi ivoriana ci fa riflettere giacché alimenta l’opinione di quelli che pensano, come una volta il professore René Dumont, che l’Africa nera sia sulla cattiva strada.

La Costa d’Avorio d’oggi, infatti, è un caso emblematico che aggrava la disperazione di tutti quelli che credono che non ci sia più niente da fare per l’Africa. Citata come modello di sviluppo in Africa, quando la guerra fredda creava l’illusione che l’antagonismo est-ovest fosse controllato, la Costa d’Avorio serviva come stimolo, come incentivo allo sviluppo: il paese di Félix Houphouët-Boigny, piazzato tra i primi stati post-indipendenza che difendevano una politica ispirata al liberalismo economico. Questa scelta ha permesso alla Costa d’Avorio di beneficiare di una assistenza economica e politica importante da parte dell’Occidente, su istigazione della Francia.

Mentre i paesi che avevano scelto, come il Ghana, la Guinea, il Mali, la Tanzania ecc., il socialismo scientifico o marxista leninista come via di emancipazione, venivano asfissiati dalle difficoltà economiche, per mancanza di aiuti dai principali organismi finanziari, la Costa d’Avorio riceveva i benefici della sua scelta screditata dagli intellettuali la cui cecità gareggiava con la loro demagogia utopica. Grazie a quest’assistenza costosa ma sicura, la Costa d’Avorio si era messa risolutamente sulla via del progresso e dello sviluppo. Tra l’ideale e il necessario, Félix Houphouët-Boigny, scelse il necessario.

Cosi come l’Italia del dopo guerra, il paese di Houphouët-Boigny-il-pragmatico attraverso’ un periodo di “miracolo economico” negli anni 60. Questo permise ugualmente la costruzione, grazie a piani triennali e quinquennali, di una infrastruttura audace, al punto che tutti gli ivoriani erano fieri di vedere, giorno dopo giorno, il loro paese uscire letteralmente dal nulla verso una urbanizzazione moderna. Abidjan, la capitale (ora economica), si è trasformata rapidamente in polo d’attrazione con i suoi innumerevoli grattacieli, strade e corsi ben organizzati e asfaltati. La popolazione europea aumento’, tanto che la comunità italiana raggiunse più di 5000 membri in un paese con il quale il Quirinale aveva poche relazioni prima dell’indipendenza. Una grande immigrazione africana si produsse e raggiunse, in meno di un quarto di secolo, più di un quarto della popolazione autoctona. Anzi, il commercio e parte dei settori vitali dell’economia nazionale erano gestiti preferentemente da stranieri venuti da altre regioni e sopratutto dalla comunità libanese.

Queste performance tanto celebrate, meritatamente o no, cominciarono ad incupirsi con la congiuntura internazionale sfavorevole caratterizzata dal crollo dei prezzi delle materie prime, giacché la Costa d’Avorio è il primo produttore mondiale di cacao. Ciononostante, la società ivoriana continuava a funzionare grazie essenzialmente all’agricoltura e alle realizzazioni economiche de l’era Houphouët-Boigny e del suo successore Henri Konan Bédié.

Dopo la morte di Houphouët-Boigny, ebbe inizio una guerra di successione assurda tra i diversi eredi per il controllo del potere. Naturalmente, questo fu la causa di fratture nella classe politica, portando ad una polarizzazione della problematica dell’”identità ivoriana”, presentata come un concetto culturale da Bédié, ma  attaccata dai suoi avversari come una visione xenofoba e di netta esclusione, particolarmente da Alassane Dramane Ouattara, ex primo ministro di Houphouët, diventato nel frattempo vice direttore generale dell’FMI accanto al francese Michel Camdessus. Questa disputa interna condusse al primo colpo di stato riuscito nel paese dopo l’indipendenza del 7 Agosto 1960. A partire dal colpo di stato che depose Henri Konan Bédié (il quale succedeva Houphouët nel dicembre 1993), la Costa d’Avorio precipita nel ciclo di violenze che caratterizza il modo di governare il paese. Benché allora sembrasse che l’ex primo ministro Alassane D. Ouattara fosse all’origine del colpo di stato del 24 dicembre 1999, in realtà si trattava della comparsa di un ufficiale in pensione, il generale Robert Gueï, sulla scena politica ivoriana. Quest’ultimo formerà un governo militare e civile nel quale avranno un posto, oltre ai militari golpisti, il “Rassemblement des Républicains” (RDR) di Alassane Ouattara e il “Front Populaire Ivoirien” (FPI) de Gbagbo Laurent, oppositore storico del “Parti démocratique de Côte d’Ivoire” (PDCI) allora partito unico. Pochi mesi dopo la formazione di questa coalizione post colpo di stato, Gbagbo Laurent e il suo partito esigeranno l’uscita del RDR dal governo, obbligando questo partito a raggiungere l’antico partito unico del quale è dissidente nell’opposizione. Infatti, tutto il potere politico si trova di colpo spostato verso l’ovest del paese, Gbagbo e Gueï essendo ambedue dello stesso gruppo etnico Krou. Questa connotazione tribale-etnica sarà allora utilizzata per imporre una nuova costituzione che riprende le tesi dell’identità ivoriana contro la  quale era stato fatto il colpo di stato. Almeno in apparenza.

Nel momento delle elezioni presidenziali dell’ottobre 2000, organizzate per ridare il potere ai civili, Gbagbo Laurent farà di tutto per ottenere dal Generale Gueï l’esclusione dei candidati del PDCI e del RDR. Questa mossa, l’eliminazione dei candidati virtualmente più pericolosi, considerando che i loro partiti sono maggioritari nel paese, permetterrà a Gbagbo di assicurarsi una vittoria facile sopra il suo fratello d’etnia, Robert Gueï. Questa elezione in  “condizioni calamitose”, come lo confesserà in seguito Gbagbo Laurent, darà luogo ad affrontamenti cruenti a Abidjan. Alla fine dei quali, il generale sarà obbligato ad abbandonare la capitale e lasciare il commando del paese a suo ex alleato, Gbagbo.

L’FPI del professor Gbagbo, al potere dal ottobre 2000 al 19 settembre 2002, s’appoggerà su di una visione settaria e discriminatoria per governare. Questo partito, radicato profondamente nel sudovest del paese, realizzerà una depurazione de l’amministrazione pubblica attraverso l’istituzione di criteri etnici, tribali e di appartenenza al FPI, come modo di selezione del personale statale a tutti i livelli gerarchici. Per consolidare il suo controllo del paese, è necessario ricordare che dal novembre 2000, Gabgbo Laurent intraprenderà una guerra spietata contro il RDR nel tentativo di impedire la presentazione del partito alle legislative di quel mese. Con questo scopo, sono stati organizzati dei massacri contro i militanti dell’opposizione, sopratutto contro i militanti del RDR, con la successiva scoperta di macabre carneficine  come quella della piazza pubblica del quartiere di Yopougon, ad ovest di Abidjan. In questa strage furono incolpati i militanti dell’FPI.

Il 19 settembre 2002, quando il presidente Gbagbo Laurent era in visita ufficciale in Italia, scoppia una ribellione ad Abidjan. Questo tentativo di colpo di stato, condotto da militari le cui motivazioni erano in tutto simili alle rivendicazioni che condussero alla partenza forzata del presidente Henri Konan Bédié nel 1999, anche se subito sconfitto, condurrà ad una divisione di fatto del paese in due entità con due amministrazioni parallele nel nord e nel sud. Per evitare che questa divisione potesse diventare effettiva, hanno avuto luogo delle riunioni tra i protagonisti della crisi ad Accra (Ghana, a Lomé (Togo), a Pretoria (Sudafrica) e a Linas Marcoussis (Francia). I participanti a quest’ultimo summit sono stati invitati a formare un governo unitario di transizione, lasciando il capo di stato Gbagbo Laurent nel suo posto. Alla fine del suo mandato, in ottobre del 2005, Gbagbo rimanda le elezioni presidenziali, appoggiandosi su di una risoluzione dell’ONU le cui truppe sono presenti nel paese dal 2004, ad ottobre del 2006, adducendo la presenza di ex ribelli, secondo lui ancora armati, diventati un partito politico con una forza militare (Forces Nouvelles). Nel 2007, Gbagbo Laurent esige una soluzione africana per risolvere la crisi nazionale. Incoraggiata dalla Commissione Economica degli Stati dell’Africa de l’Ovest (CEDEAO), una ennesima conferenza ebbe luogo a Ouagadougou sotto l’egida di Blaise Compaoré, presidente del Burkina Faso.

La mediazione africana richiesta dagli attori principali della crisi ivoriana, tra cui il presidente, Laurent Gbagbo, dall’ex capo di Stato Henri Konan Bédié e dall’ex primo ministro Alassane Ouattara, risulterà in un compromesso firmato nell’Accordo politico di Uagadugu (OPA). Tale accordo che doveva portare alla partecipazione elettorale per uscire dalla crisi, passa sia per il disarmo che per la smobilitazione dei due eserciti in guerra, la loro riunificazione, la creazione di una lista elettorale affidabile e il rilascio di una carta nazionale d’identità biometrica e di un certificato elettorale, tutto ciò a partire da un consenso politico gestito dalla Commissione elettorale indipendente (IEC).

Nonostante l’avvio di tutti questi criteri, Gbagbo, che gioca al dilatorio, riusci a far rinviare sei volte di seguito lo svolgimento delle elezioni presidenziali approfittando di questo lungo periodo per dotarsi di armi aggirando l’embargo delle Nazioni Unite sulla vendita di armi ai due campi antagonisti. Nello stesso tempo ha arruolato numerosi sostenitori soprannominati “giovani patrioti”, affidando loro il ruolo di cani da guardia del suo regime, sottolineando così il proprio disprezzo per l’esercito nazionale (FANCI) ribattezzato Forze di Difesa e di Sicurezza (SDS), di cui non si fida più in quanto non è riuscito a sconfiggere la ribellione nel settembre del 2002.

Nel 2010, dopo aver sciolto il CEI e il governo dell’Unione, Gbagbo accetta finalmente la lista elettorale definitiva e  firma un decreto che convoca l’organizzazione delle elezioni presidenziali, la prima dopo dieci anni, sicuro di poter vincere al primo turno.

Il 31 ottobre 2010, si svolge il 1° turno delle elezioni presidenziali con 14 candidati tra cui tre pezzi grossi: Henri Konan Bédié (PDCI-RDA), Alassane Ouattara (RDR) e Laurent Gbagbo (FPI), l’ultimo presidente. In conformità con l’accordo di Pretoria, di Ouagadougou e delle numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, l’elezione si svolge sotto la supervisione del rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Mr. J. Young Choi, cui è assegnata la funzione di certificare la votazione finale, oltre a quella di molti osservatori nazionali, africani, europei, americani, ecc.

Al termine del primo turno delle elezioni presidenziali che hanno visto un’affluenza record di oltre l’84% degli elettori iscritti, Laurent Gbagbo é in testa con il 38% dei voti, mentre Alassane Ouattara ottiene il 32%. Tuttavia, dopo la riconciliazione nel 2004 a Parigi tra l’ex presidente Henri Konan Bédié e Alassane Ouattara, ex primo ministro di Houphouèt, è stata predisposta una struttura politica per confermare l’unione di tutti gli ivoriani che si riconoscono nell’opera del di Felix Houphouet-Boigny. L’Unione degli Houphouëtistes per la Pace e la Democrazia (RHDP), in realtà, rappresentava una forza politica di gran lunga superiore alla formazione politica del presidente uscente, Laurent Gbagbo, benché l’FPI sia stato sostenuto dai disertori del RDR e, soprattutto, del PDCI. Con certe personalità ed altri partiti minori, Gbagbo viene supportato da un nuovo gruppo chiamato “La Maggioranza Presidenziale” (LMP), mentre la somma matematica dei componenti di questo nuovo gruppo politico non raggiunge la soglia del 50% dell’elettorato.

Il secondo turno delle elezioni che si terranno, a seguito di un decreto firmato da Laurent Gbagbo, il 28 novembre invece del 21 così come costituzionalmente previsto, vedrà anche una folla record di oltre l’81%. Alle urne vince Alassane Ouattara, che ha goduto del sostegno di altri partiti  di cui il solo PDCI-RDA aveva ottenuto il 25% dei voti al primo turno. Alassane Ouattara indossando i colori dell’RHDP, si è accreditato con il 54,10% dei voti contro il 45,9% del suo avversario Laurent Gbagbo, che aveva minimizzato la consistenza politica e popolare dell’RHDP.

Colpo di scena, Laurent Gbagbo che durante un faccia a faccia storico tra i due turni negli studi della Radio Televisione Ivoirienne (RTI), aveva promesso di essere leale nel riconoscere la vittoria al suo avversario, se avesse vinto le elezioni, fa dietro front. Rifiuta, contro l’evidenza, il risultato emerso dalle elezioni, impedendo al CEI di annunciare in diretta i risultati in onda su RTI, strappa i fogli con i risultati davanti alle telecamere e ai giornalisti accorsi da tutto il mondo. Tutto ciò per arrivare al termine di prescrizione che permette al Presidente del Consiglio costituzionale di dichiarare nulla e nulla d’effetto la proclamazione dei risultati di cui la CEI è costituzionalmente responsabile. Il Presidente del CEI minacciato fisicamente presso la sede dell’ente, si rifugiò presso il Golf Hotel dove procede alla designazione del vincitore delle elezioni presidenziali, e cioè Alassane Dramane Ouattara, che ha beneficiato del riporto dei voti dell’RHDP. Da quel momento, il presidente del consiglio costituzionale, il professore di diritto Paul Yao N’dré proclama Laurent Gbagbo, suo amico e compagno di partito, quale nuovo Presidente della Repubblica nei confronti dei voti espressi alle urne da parte del popolo sovrano annullando allo stesso tempo, l’elezione di Alassane Ouattara proclamata dalla CEI e certificata dal rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon. Per raggiungere un tale risultato, il presidente del Consiglio costituzionale ai piedi di Gbagbo, fa sopprimere il voto in 13 dipartimenti da 5 regioni dal centro al nord del paese. Dopo aver eliminato 600.000 voti, è riuscito rendere Laurent Gbagbo vincitore con il 51% dei voti.

Dal 3 dicembre, data della caduta di Paul Yao N’dré, il paese è immerso in un caos indescrivibile con la sua partita quotidiana di uccisi, rapiti, donne umiliate, violentate e delle case dei membri dell’ RHDP saccheggiate e bruciate dal FDS (soldati ancora fedeli al despota), dalla milizia (giovani patrioti) e dai mercenari venuti dall’ Angola, dalla Liberia, ecc. Tutti i tentativi di mediazione, il riconoscimento unanime della vittoria di Alassane Dramane Ouattara da parte della comunità internazionale a partire  dall’Unione Africana, l’Unione europea, la Francia, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite non sono riusciti a piegare Laurent Gbagbo che si aggrappa alla poltrona presidenziale e prende in giro il mondo. Anche l’abbandono da parte dei suoi ultimi sostegni politici, Jacob Zuma del Sudafrica e José Eduardo Dos Santos dell’Angola, lo lascia inflessibile.

Il socialista Laurent Gbagbo, (curiosamente il suo partito è ancora membro dell’Internazionale Socialista), già sostenuto dai socialisti francesi, ha appena resa evidente la definitiva sconfitta degli intellettuali ivoriani, anzi africani. O meglio, è la disfatta totale di ciò che restava ancora come vestigio di un certo socialismo nel continente. È anche un fallimento sonoro degli intellettuali africani, che diventano tiranni una volta giunti al potere. Gbagbo che rivendica l’eredità di Lumumba, Sekou Toure, Kwame Nkrumah, ecc., uccide il proprio popolo ivoriano e come un Don Chisciotte pretende portare avanti una guerra immaginaria contro l’imperialismo occidentale, contro le Nazioni Unite, e contro il neo-colonialismo francese, allorché mai le imprese francesi hanno cosi prosperato in Costa d’Avorio come  durante i dieci anni della sua gestione disastrosa, agli antipodi dei precetti del socialismo di cui si professa convenientemente l’araldo. Il sostegno di alcuni intellettuali demagoghi dalla vuota retorica, dimostra, se ancora necessario fosse, la povertà di spirito dei pensatori africani che crocifiggono l’Occidente, ma vi vivono confortevolmente, lontano dagli africani che sostengono di amare. Questi sono truffatori che scoprono, una volta al potere, che non esiste un FMI di destra e un FMI di sinistra, e che le condizioni di accesso al credito e ad altri prestiti soddisfano gli stessi criteri dai quali é rigorosamente escluso ogni sentimentalismo. Imparano a proprie spese che gli Stati non hanno amici, ma interessi così come ripeteva il generale Charles De Gaulle.

Dopo aver esaurito tutte le corde della diplomazia per persuadere Gbagbo a lasciare il potere ottenuto illegalmente ed illegittimamente, gli ivoriani hanno ora lo sguardo rivolto verso la CEDEAO, con la speranza che la forza militare (ECOMOG) dell’istituzione dell‘Africa occidentale verrà a sloggiare gli occupanti del palazzo presidenziale. Si dicono delusi della comunità internazionale che ha riconosciuto, senza esitazione, la vittoria del candidato dell’RHDP e imposto sanzioni mirate contro il presidente in carica, il suo governo illegale e i suoi parenti, in particolare il congelamento dei loro beni e il divieto di visto per l’Europa e gli Stati Uniti, ma che guarda impassibile il decimare della popolazione senza reagire, dopo averla incoraggiata al perseguimento della democrazia attraverso il voto. Per il cittadino medio di Abobo, la città martire, è difficile capire la riluttanza dell’Occidente e in particolare le ragioni del veto di Russia e Cina che bloccano tutte le risoluzioni raccomandando l’uso della forza legittima per cacciare Gbagbo dal potere e al tempo stesso, la stessa comunità internazionale, le grandi potenze in testa, decide di neutralizzare il colonnello Gheddafi in Libia in poche ore di dibattito nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Gli Ivoriani credono che la comunità internazionale usi due pesi e due misure riguardanti il trattamento della rivolta in Libia e la rapina elettorale di cui sono vittime.

Mentre la comunità internazionale tergiversa, il sanguinario regime di Laurent Gbagbo sostenuto da tre generali tribali con al loro servizio corpi di élite, continua a massacrare le persone sparando su di loro colpi di mortaio, razzi e granate. Qui ad Abidjan, ogni giorno che passa avvicina inesorabilmente la Costa d’Avorio alla guerra civile e al genocidio. Gli Ivoriani che fuggono dalla capitale economica per paura dei combattimenti che ritengono inevitabili, chiedono alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità se non vuole vedere un altro Ruanda nel cuore dell’Africa Occidentale. All’inizio di ciò che accadrà se gli ivoriani saranno abbandonati al loro destino, occorre sottolineare che le orde selvagge di Laurent Gbagbo uccidono anche cittadini delle regioni meridionali. Molti di loro sono stati orrendamente mutilati o bruciati vivi in alcune zone della periferia, soprattutto a Yopougon. Questi omicidi immondi sono documentati dall’ ONUCI e dal governo del presidente eletto, Alassane Dramane Ouattara, così come da alcune organizzazioni umanitarie sul campo. Domani sarà troppo tardi.

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