Governo frantumato. Esce Miccichè e Tremonti è in bilico

ROMA – A via XX settembre Giulio Tremonti è impegnato in questi giorni a chiedersi con il suo staff se dimettersi o no. Dopo ore di riunioni e conciliaboli, analisi di tabelle e richiami all’ordine della Commissione di Bruxelles, il tandem Berlusconi-Bossi lo tiene sempre sulla graticola per quella fantomatica riforma fiscale che il superministro non vuole fare. Sia il premier che il Senatur si sono messi in testa che l’abbassamento della pressione fiscale, tutto in un colpo, è la bacchetta magica per risuscitare una maggioranza boccheggiante, che oramai vive soltanto grazie alla bombola di ossigeno dei “Responsabili”, anche loro però sulla via della frantumazione.

RIFORMA FISCALE CAMPATA IN ARIA. Una riforma fiscale, così come ipotizzata da Berlusconi e da Bossi (ma i due non sono dei tecnici e ci capiscono poco di numeri e conti), è impossibile perfino da pensare dopo che lo stesso premier ha solennemente firmato, qualche mese fa, l’accordo con l’Ue per il piano di rientro dal debito, che attualmente è pari al 119% del prodotto interno lordo. Tremonti ha ricordato questo piccolo particolare ma non ha trovato orecchie disposte ad ascoltarlo. Ed anche l’ipotizzata reimpostazione della curva dell’Irpef, con una diminuzione di un punto per la prima o la seconda aliquota sui redditi personali, compensata da un aumento di un punto dell’Iva pare al superministro economico improponibile per tutta una serie di ragioni. In primo luogo perché potrebbe rivelarsi un boomerang per le famiglie, che vedrebbero vanificata la maggiore liquidità da un aumento dell’inflazione e, in secondo luogo, perché comunque creerebbe un immediato buco nelle casse dello Stato e, in terzo luogo, perché potrebbe avere un effetto nefasto sul rating dei nostri titoli di Stato, vera e propria anticamera di una bancarotta simile a quella della Grecia.

I NODI STRUTTURALI. È la solita pratica della mistificazione quella che in queste ore Berlusconi e i suoi “servi liberi” stanno cercando di spacciare agli italiani. Già, perché la crisi dei consensi dell’attuale maggioranza non è certo in grado di invertire il suo trend per il solo effetto di un abbassamento della prima aliquota dell’Irpef. Né possono valere le risibili perorazioni di un Ferrara che, dal palco di un cinema romano, continua ad inneggiare ad uno sconosciuto Berlusconi antesignano della “lotta liberale” o di una “rivoluzione”, in grado di prendere sulle sue spalle il peso intero di un Paese in profondissima crisi economica e culturale. O i gemiti della Santanchè che, poverina, lancia la sua soluzione miracolistica asserendo che “Berlusconi deve comandare di più”, in un empito schiavista al quale manca soltanto l’offerta delle braccia incrociate già pronte per le catene.

LA MAGGIORANZA SI SFALDA. I nodi strettamente politici di una maggioranza raccogliticcia stanno venendo tutti al pettine. Il leader di “Forza del Sud” Gianfranco Miccichè, uno dei tanti sottosegretari “ad personam” del Governo, annuncia di lasciare il Pdl e di costituire un gruppo autonomo alla Camera, con la massima libertà di azione. “Non si può più essere succubi dei capricci della Lega e dei capricci di Bossi. Noi oggi rimaniamo nella maggioranza ma – ha avvertito Miccichè – se prenderanno ancora in giro il Mezzogiorno ce ne andiamo”. Fra “Responsabili” ed altri, oramai la cosiddetta “terza gamba” della maggioranza è formata da otto-dieci minigruppi in grado di ricattare continuamente il premier su ogni provvedimento. Una situazione esplosiva, alla quale si potrebbe porre rimedio soltanto con le dimissioni del governo e del suo premier. “Il governo va avanti se c’è responsabilità da parte di tutti. Abbiamo una legislatura da completare con le riforme” ha ripetuto ieri sera in una riunione con lo stato maggiore del Pdl Silvio Berlusconi ma è una convinzione oramai sempre più stracca, incolore, rancida. Sullo sfondo di una debolezza così eclatante dell’Esecutivo ci sono gli accordi economici con l’Ue da rispettare e la gestione della crisi greca, che potrebbe influire non poco su un Paese come l’Italia. Una situazione che imporrebbe la presenza di un Governo vero con un premier che sa quello che deve fare. Insomma, tutta un’altra cosa da Silvio Berlusconi e da Giulio Tremonti.

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