Irene passa, l’uragano delle polemiche sul piano della prevenzione rimane

NEW YORK – Parola d’ordine “Prevenzione”. Se è vero che l’uragano Irene, declassato a tempesta tropicale, ha raggiunto le province marittime del Canada e il Quebec, dove sono oltre 250.000 le persone rimaste senza energia elettrica, è anche vero che al momento non si registrano vittime, ma solo una persona dispersa. Eppure è salito a 20 morti il bilancio delle vittime del suo passaggio da sabato mattina sui 1.200 chilometri della East Coast degli Stati Uniti.

Come se non bastasse i venti soffiano per i costi della prevenzione che ha portato alla evacuazione di 370000 persone. Passato Irene rimane dunque l’uragano delle polemiche che sta investendo il presidente Obama ed il sindaco di New York Bloomberg, accusati dai repubblicani di aver creato un eccessivo allarmismo e di aver speso troppo denaro pubblico per attuare le misure di sicurezza e i piani di evacuazione ritenuti necessari. Sono polemiche senza fondamento che non tengono conto dell’impatto psicologico che un effetto devastante avrebbe avuto sulla popolazione. Basti ricordare la psicosi da panico che solo pochi giorni fa ha causato la scossa di terremoto… subito si pensò a bombe ed attentati a riprova che gli americani hanno i nervi a fior di pelle. E che dire di ciò che accadde nel 2005 con Katrina?

«Abbiamo imparato la lezione di Katrina» ha detto il capo della Fema, Craig Fugate, che esalta la legge approvata dal Congresso dopo la tragedia di New Orleans, il post-Katrina Emergency Reform Act, che ha riformato radicalmente il comparto della Protezione civile americana.

Bisogna imparare a considerare la prevenzione un “non costo” e peraltro mai “esagerato”. Katrina insegna, con i suoi 130.000 morti, che non esiste prezzo che possa sostituire una vita umana e quanto è stato stabilito in attesa dell’arrivo di Irene, solo un caso fortuito ha evitato che si verificasse. Quando Irene ha investito la città di New York la sua potenza era ben al di sotto a quel livello 2 che aveva conservato fino a poche ore prima e dunque, se avesse mantenuto la sua potenza ed investito la Costa Orientale degli Stati Uniti, le misure di sicurezza adottate sarebbero state adeguate a scongiurare un disastro compresa l’inondazione di Manhattan.
L’uragano politico nasce invece col “senno di poi” e non può trovare ragione di esistere di fronte al tentativo di evitare una ennesima catastrofe annunciata. Piuttosto, se Obama ha superato brillantemente la prova, parimenti non lo si può dire per il sistema dei Media, colpevole di un’eccessiva spettacolarizzazione. Si è continuato a paragonare il “vero” che doveva accadere con i film catastrofisti considerando le tragedie del North Carolina, della Virginia, del Delaware e persino del New Jersey, come dei semplici test, delle prove generali, di quello che doveva essere lo show reale, il “big event” ovvero l’allagamento di Manhattan, l’armageddon della Grande Mela, il set perfetto per una riedizione, reale del “film”.I cronisti di tutto il mondo erano lì, pronti a raccontare la “fine del mondo” e registrare il The day After per entrare nella storia.
Giulia Fresca

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