Libia. la fine del rais. Ecco perchè i dittatori amici vivono così a lungo

ROMA – Il Colonnello Muammar Gheddafi è morto. Da  parecchi minuti le foto del corpo di quest’uomo, ormai privo di vita, si stanno diffondendo nella rete del web.

Il rais, stando a quanto riportato da un medico libico dell’ospedale di Misurata, sarebbe stato ucciso in seguito alle ferite da arma da fuoco riportate alla testa e allo stomaco a Sirte, sua città natale. A stanarlo sarebbe stato un ragazzo di appena 20 anni che si è trovato faccia a faccia con il rais nel tunnel da dove tentava la fuga.
Il cadavere secondo le testimonianze sarebbe già arrivato a Misurata, presso l’obitorio dell’ospedale.

Insomma l’incubo è finito. La guerra è arrivata alla sua conclusione, la dittatura sembra essere stata sepolta assieme al suo carismatico leader che per anni ha dettato legge in questo territorio un tempo colonia degli italiani.
E ora la politica italiana esulta. Tutta la politica, anche quella che fino a pochi mesi fa portava sul palmo della mano quest’uomo, già accusato di crimini contro l’umanità, tanto che Berlusconi della sua amicizia ne aveva fatto un vanto. Lo aveva portato nella capitale, facendo allestire la sua tenda beduina nel centro della capitale, per discutere dei loro progetti affaristici, tra sfarzose feste ed esibizioni di cavalli berberi.

Tutto impresso sul famoso trattato tra Italia Libia che avrebbe riempito le casse del Colonnello di tanti soldi italiani per ricompensarlo dall’occupazione del  ventennio. Eppure gli unici esclusi sono stati proprio gli stessi italiani, quelli che un tempo avevano vissuto in quel luogo chiamato Libia e che dopo la venuta del rivoluzionario Gheddafi sono stati costretti ad abbandonarlo in fretta e furia per non cadere nelle mani del sanguinario Colonnello.

“Ora la guerra è finita, sic transit gloria mundi”, ovvero “così passa la gloria del mondo”, ha detto Silvio Berlusconi appena appresa la notizia della morte del suo amico davanti al quale poco tempo fa si inchinò  per baciarli l’anello. Una delle tante contraddizioni che attraversano la vita politica del cavaliere, tant’è che Italo Bocchino riferendosi al presidente del Consiglio ha detto: ” Più passa il tempo  e più somiglia nel modo di fare al suo amico Gheddafi, che appena qualche settimana fa diceva che tutto andava bene e che la Libia era tutta dalla sua parte”.

Ma in questo frangente c’è poco da sorridere o da cantare vittoria. Questa guerra non ha vinti nè vincitori. E’ la causa dell’opportunismo da una parte e dal menefreghismo dall’altra. Si sarebbe potuto fermare molto tempo fa la lunga scia di sangue dei disperati rinchiusi nelle galere libiche, magari senza aver commesso un vero reato,  o di quelli costretti a fuggire per non essere uccisi. Ma non si è fatto. Abbiamo assistito inermi a questa carneficina, agli abbracci e alle strette di mani dei leader mondiali che hanno intrattenuto solidi rapporti con Gheddafi, ignorando volutamente i metodi del dittatore, specie quando si trattava di “pecunia”.

Dalle prevaricazioni, alle violenze di un uomo che si è sentito fino alla fine un rivoluzionario, ma che  ha cancellato in un solo colpo la dignità del suo popolo, dopo il golpe nel 1969 che lo ha portato al potere.
Dignità che solo ora sembra essere stata riconquistata, almeno apparentemente. Ma è ancora presto per dirlo.
Bettino Craxi diceva di Gheddafi? “Un dittatore senza scrupoli, un nemico dell’occidente, un odioso sfruttatore del suo popolo. Uno stronzo, insomma. Lo ammiro tantissimo!   
Ecco perchè i dittatori amici vivono così a lungo.

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